08/07/2013 10:27 CEST - Wimbledon

28.127 giorni dopo lo scozzese Murray ha messo a riposo Perry

TENNIS A WIMBLEDON _ E’ mancata solo la Regina. La maledizione di Del Potro, che logora una volta Federer e un’altra Djokovic, favorisce sempre Murray. Con Andy anche Ivan Lendl vince finalmente a Wimbledon. Ubaldo Scanagatta

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Andy Murray con il trofeo di Wimbledon 2013
Andy Murray con il trofeo di Wimbledon 2013
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WIMBLEDON _  Il miracolo è avvenuto, il Regno Unito è in festa, 28.127  giorni  e qualche ora dopo Fred Perry che aveva vinto anche lui in 3 set il suo terzo Wimbledon ma in 45 minuti su un infortunato Gottfried Von Cramm ed era anche lui testa di serie n.2 (e per chi crede nello zodiaco, anche lui Toro, nato il 18 maggio 1909 …Andy Murray invece il 15 maggio 1987)!

“Abbiamo aspettato 77 anni” ha sospirato Sue Barker (77 anni, vince il 7-7…se non è il 7 il suo numero magico…) suscitando l’ilarità di tutto il centre court nel presentare the New Champion Wimbledon 2013 Andy Murray davanti ad un Royal Box gremito di illustri personalità, dal primo ministro David Cameron al premier scozzese Alex Salmond, al presidente della Repubblica serba Tomislav Nikolic, al presidente del CIO Rogge (e preferisco ricordare che c’erano pure Laver, Fraser, Emerson, Kodes, Santana, Seixas, Zivojinovic, Tracy Austin, anche se i calciofili magari si eccitano di più per Wayne Rooney e addirittura Victoria Beckham).

E’ mancata a uno dei giorni più trionfali della storia del tennis britannico dacchè il Major Clopton Wingfield brevettò questo gioco, solo la Regina Elisabetta, ma era venuta il 24 giugno 2010 e non ha voluto esagerare.

La volta precedente era stata nel 1977 l’anno del centenario quando Dan Maskell, storico commentatore della BBC, nel celebrare il matchpoint trasformato da Virginia Wade su Betty Stove non trovò di meglio che esclamare: “She has done it, she has done, she won in front of Her Queen!!! Mica giusto che tutti abbiano continuato a nominare solo Perry, dimenticandosi di Virginia Wade. Da l trionfo della Wade sono passati 36 anni: i giorni non li ho contati, ma la Robson forse sì...

Vabbè, Andy Murray se ne farà una ragione. Mancava anche Fred Perry, che per anni veniva qui scuotendo il testone e dicendo: “Mi sa che non vedrò mai un inglese vincere questo torneo”. Ed aveva ragione. Perry è morto il 2 febbraio 1995, a 86 anni, ma appena varcati i Doherty Gates resterà sempre a suo ricordo la sua statua. E nei negozi di tutto il mondo le magliette con l’alloro. Adesso Murray può vantarsi anche di essere il primo vincitore in pantaloni corti.

Poco più in là, a sinistra del Royal Box per chi lo guardava, c’era un campione che non era mai riuscito a vincere Wimbledon ma che in questo successo di Andy Murray ha sicuramente svolto un ruolo importante: il suo coach Ivan Lendl, qui due volte finalista (nell’86 battuto da Becker, nell’ 87 da Cash) e altre cinque semifinalista.

“Penso che avrebbe preferito vincerlo lui il torneo, _ ha detto Murray nella più affollata sala stampa che io abbia mai visto in 40 anni di Wiimbledon, posti in piedi _  ma forse questa è la seconda miglior cosa che lui avrebbe desiderato, lo dico seriamente. Ha creduto in me quando molta gente non ci credeva, mi ha sostenuto quando ho subito anch sconfitte pesanti negli ultimi anni. E’ stato molto paziente e sono proprio contento di essere riuscito a fare quello che ho fatto per lui”.

Come Buster Keaton, Ivan Lendl non è tipo che ami sorridere in pubblico…ma ieri quando Novak Djokovic ha messo in rete l’ennesimo rovescio (non ricordo di aver visto Nole commettere 40 errori gratuiti in un match. Murray ne ha fatti 21…e più vincenti di lui, 36 a 31, il che è abbastanza inconsueto), si è finalmente lasciato andare a un memorabile sorrisone a 32 denti, largo fino alle orecchie.

“Mi ha insegnato a imparare dalle mie sconfitte più di quanto avessi fatto in passato _ ha detto Andy a una platea di colleghi Brit adoranti (chissà perché ma è a loro che è sembrato rivolgersi per prima cosa Andy appena conquistato il punto della vittoria, forse perché era lì sotto i nostri posti: “Forse mi ha spinto il subconscio…ovviamente ho avuto a volte rapporti difficili negli anni. Ma negli ultimi anni sono molto migliorati. Capisco…lo so che per voi è importante che io vinca questo torneo. Lo sapete che ci ho provato. Ho fatto del mio meglio, ho lavorato più duro che potevo…ma non è che prima di cominciare io pensassi che in caso di vittoria sarei andato davanti a voi giornalisti, ma quando ho chiuso il punto, i meii occhi si sono posati su voi…”) _ Ivan è sempre stato molto onesto con me. Mi ha sempre detto esattamente cosa pensava. E nel tennis non è sempre così facile farlo, nel rapporto fra giocatore e coach. Il giocatore è…colui che comanda spesso, e per i coach non è facile qualche volta dire quello che pensano. Ma lui è estremamente onesto con me. Se lavoro bene è felice, se non lo faccio è deluso e me lo dice. E sì, quando ho perso alcuni incontri, la finale dell’anno scorso, mi ha detto che era orgoglioso di come avevo giocato perché ci avevo provato, avevo preso dei rischi quando avevo avuto le opportunità. E’ stata la prima volta che l’ho fatto in una finale di uno Slam. Mi ha fatto cambiare mentalità nell’affrontare questo genere di incontri”.

Direi che in linea di  massima ho riscontrato generale soddisfazione anche fra i colleghi non Brit, anche se a fare qualche battuta un tantino irrispettosa qualcuno non si è tirato indietro: “Finalmente ci siamo liberati del fantasma di Fred Perry”.

La cronaca della finale l’avete già letta nell’articolo di Riccardo Nuziale (così come per quella di Gianluigi Quinzi in quella di Alberto Giorni) e solo il risultato finale e la nazionalità del vincitore giustifica il suo ingresso nella storia, perché altrimenti una finale conclusa nell’arco di tre set, anche se di tre lunghi visto che ciascuno è mediamente durato più di un’ora, non resterebbe a lungo memorabile.

E’ vero però che Djokovic è stato avanti 4-2 sia nel secondo sia nel terzo set, ma non è stato abbastanza lucido da giocare bene in quei momenti. A differenza di Murray che invece è stato determinato ed efficace proprio in quegli  Nel terzo set _ quando già ero andato a vedere che l’unica finale in cui l’ultimo vincitore aveva rimontato un handicap di due set a zero era stato il mousquetaire Henri Cochet nel 1927 contro Big Bill Tilden  _  Djokovic credeva di aver trovato la chiave giusta per spezzare l’infinita ragnatela di palleggi ricorrendo alla palla corta. Ma quella è un’arma di cui non si può abusare. Se se ne fanno troppe l’avversario non sprovveduto impara a scorgerle in tempo. Perché poi DjokerNole le giocasse in prevalenza sul dritto di Murray, anziché sul rovescio bimane che ha minor allungo (25 cm in meno) e che è più difficile da manovrare sulle palle basse è un mistero.

Secondo me, e secondo Billie Jean King che è assolutamente contraria ai match tre set su cinque (“Si perde in qualità e i giocatori che giocano quelle battaglie non possono non risentirne, non bastano due giorni, non bastano settimane intere a volte si se fanno sforzi di quel tipo, 5 ore, ma siamo matti. Così facendo i campioni che arrivano a giocare maratone di quel genere si logorano molto prima…finiscono prima…io vorrei invece  che durassero il più  a lungo possibile. Il tennis dovrebbe proteggere i suoi campioni, non distruggerli”) Djokovic ha risentito della faticaccia sostenuta con Del Potro: quattro ore e 43 minuti giocati a quel ritmo non possono non lasciare scorie, fatica, stress fisico e mentale.

Deve essere il destino di Del Potro perdere e…far perdere gli avversari di Murray. Lo scorso anno nel torneo olimpico si arrese soltanto 19-17 al terzo con Federer e in finale contro Murray lo svizzero si palesò chiaramente provato. Stavolta la vittima …a distanza di Del Potro è stata Djokovic.

Va detto che con molto fairplay Novak ha voluto solo riconoscere i meriti dell’amico e coetaneo Murray. Solo quando ce l’hanno tirato per i capelli ha ammesso: “Beh quella partita mi ha portato via parecchio. Non posso cercare scuse per un match giocato due giorni fa. Quasi cinque ore, cinque set, sono stato altre volte in sitazioni simili, mi sentivo bene, ma magari nei momenti importanti non avendo abbastanza benzina  ho preso più rischi su certi colpi di quanto io non faccia abitualmente. Vabbè, questa è la vita, devi andare avanti”.

Metteremo qua il link _ se qualcuno dei miei collaboratori troverà il pezzo che io scrissi quando vidi Murray perdere al quinto set,ma dopo essere stato avanti 2 set a uno, con Nadal in Australia _ all’articolo che scrissi. Nel 2010 ne ho scritto un altro con titolo: A me Murray piace molto, e all'interno "Perchè Murray è un campione" Ricordo che paragonai questo scozzese a Miloslav Gattone Mecir per l’intelligenza tattica che dimostrò allorquando era ancora fragile fisicamente ma dimostrava di avere le carte in regola per diventare un campione.

Lo era già diventato, naturalmente, anche solo arrivando a giocare  le prime finali di Slam, sebbene in Australia ne avesse persi tre a  fila senza vincere un set.

La vittoria nel torneo olimpico e poi il trionfo all’US Open lo avevano già…santificato tale. Oggi la consacrazione è definitiva. Anche se non ci dovessero volere altri 77 anni prima di un’altra vittoria di un tennista britannico a Wimbledon. Andy ha solo 26 anni, penso che lo rivincerà ancora lui.

Da Wimbledon, Ubaldo Scanagatta

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