31/08/2013 09:18 CEST - Rassegna Nazionale

Bum-Bum Giorgi non si ferma, Seppi soffre nel terzo set (Martucci); iI discolo Evans re d'Inghilterra (V.M.); Djokovic sbiadito Murray è apatico Federer invece... (Azzolini); Sara, torna a divertirti (Valenti, Valesio)

31-08-2013

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A cura di Davide Uccella

Bum-Bum Giorgi non si ferma, Seppi soffre solo nel terzo set (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 31-08-2013)

«Little Italy» cresce. Camila Giorgi porta a quattro le italiane al terzo turno, oggi agli Us Open, aggiungendo il suo tennis bum-bum, unico, a quello potente di Karin Knapp, quello classico di Roberta Vinci e quello da fondo di Flavia Pennetta. Il suo match, giovedì sera contro la bimane totale Hsieh, non poteva essere facile, per lo sconcerto anche del capitano di tutte le nazionali, Corrado Barazzutti, fortemente coinvolto dai rischi estremi della 2lenne marchigiana, che tira qualsiasi colpo a mille e, nei campi laterali, privi di «Falco», è anche sfavorita in almeno un paio di occasioni. Il suo secondo set, dopo il 6-4 già combattuto, è da far saltare le vene ai polsi, con 4 set point salvati e un secondo match point concretizzato dopo un'ora e 40 senza respiro. Normale, sulla carta, sulla base della classifica (n. 40 la veterana di Taiwan, 136 la qualificata italiana, al rientro dopo due mesi di cura-Parra alla spalla), ma con l'italiana dal visino di porcellana e dai colpi pesanti superiore per gran parte degli scambi però incapace di gestire.

Sfide Camila è caricata a mille per il match contro l'ex n. 1 del mondo, Wozniacki. «Lei non rispetta nessuno», chiosa papà Giorgi. «Camila ha il 60% di possibilità di farcela». Dopo il colpaccio del derby contro Sara Errani, Flavia Pennetta (n. 83 del mondo), che a New York è arrivata tre volte ai quarti (2008, 2009, 2011) e che non batteva una top 5 da Pechino 2011, per poi operarsi il 30 agosto 2012 al polso e rientrare a febbraio, troverà la russa Svetlana Kuznetsova (n. 29), con cui ha perso tutti i 5 precedenti. Altro derby, fra Roberta Vinci (n. 13, 30 anni) e Karin Knapp (n. 55, 25 anni): testa a testa 2-1 per la più giovane. Avanza Seppi tra gli uomini, in tre set, con qualche patema solo nel terzo, quando era avanti 4-1 e Dewerman risale fino al 5-4 e servizio e spreca 5 set point. Intanto Mats Wilander su Eurosport tira le orecchie a Fabio Fognini, subito eliminato dall'americano Ram: «Che peccato che abbia perso, è un tennista di qualità. Il suo problema è l'immaturità: quando non scende in campo nello stato mentale corretto gioca male, mentre quando riesce a tenere la testa sulla partita, è da Top 20».


Non solo Murray, iI discolo Evans re d'Inghilterra (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 31-08-2013)

Non solo Murray. C'è un altro figlio di Sua Maestà alla ribalta: Dan Evans, che adora la terra rossa, ha rovescio a una mano e predilige slice ed inventiva. S'è svegliato ad aprile con una chiamata all'ultimo momento in coppa Davis, il mese scorso ha infilato due finali Challenger (Vancouver e Aptos) e, qui agli Us Open, dalle qualificazioni, da 179 del mondo, entra per la prima volta in un tabellone Slam e poi supera a sorpresa Nishikori (n. 12) e Tomic (52), proponendosi al terzo turno con Robredo. E' il classico studente dotato, ma pigro, che sta maturando a 23 anni: «Ho appena scoperto che è bello svegliarsi la mattina e non sentirsi stanco. E che vincere partite di tennis è meglio che andar fuori con gli amici, ed è anche meno caro».

Tatuaggio Non sono idee proprio sue. Un po' gliele ha imposte mamma Lta (la federtennis brit) che l'ha coccolato per anni e che poi, nel 2008, gli ha tagliato i viveri per quattro mesi perché l'avevano fotografato alle 3 del mattino in un night alla vigilia di un doppio a Wimbledon, e ha dovuto replicare un anno fa. «Prima, il tennis brit non era una squadra, adesso sembra che davvero tutti vogliano che l'altro vinca. Tutti si parlano fra loro e si sostengono», sorride lui che ha mediato da Oscar Wilde il tatuaggio sul braccio («Tutti i santi hanno un passato, tutti i peccatori hanno un futuro») e si è trasferito al centro tecnico federale di Roehampton «Una guardia controlla che tutti siano rientrati e alle 22.30 spegne le luci: è come tornare a 15 anni, ma ne avevo bisogno». Molto ha fatto Andy Murray, il campione di due Slam e campione olimpico a Wimbledon: «Mi ha parlato. Toccava solo a me: dovevo aumentare il lavoro fuori dal campo, tenere un ritmo più alto e più a lungo. Non lavoravo abbastanza, mancava la continuità. Dovevo essere più concentrato solo sul tennis».

Ironia Le cose cambiano. Un anno fa, a Miami: «Fu divertente, ma anche imbarazzante. Era tutto fissato per allenarmi con Bernard Tomic, arrivò il padre e mi cacciò letteralmente dal campo perché non ero all'altezza del figlio, visto che giocavo le qualificazioni». Una motivazione in più per battere A-Tomic sul cemento di New York, quando Evans è salito alla ribalta per un S.O.S. medico particolare, che ha spopolato su twitter: «Non stavo male, sono nella forma migliore di tutta la mia vita, stavo molto meglio del mio avversario che, con quel caldo era sempre più giù, ma dovevo farmi incerottare i capezzoli perché mi sfregavano contro la maglietta e mi facevano un male cane». Mercoledì, «Evo» ha palleggiato con Federer, che potrebbe ritrovarsi di fronte: «Se vi avessi detto che ci avrei giocato nel quarto turno avreste riso di me... Che bello palleggiare con uno così grande». I complimenti del re: «Non lo conoscevo, bel gioco, mi ha sorpreso: ha battuto Tomic ed è al terzo turno Slam. Gli darà fiducia, e sarà un bene anche per l'Inghilterra».

Ace La grande speranza delle donne brit, Laura Robson, si ferma davanti agli 11 ace di Li Na, e sul muro del 5-4 al secondo set. «Mi fermerò un po' per il polso, ma non sono lontana dal salto nell'élite. È la giusta direzione, ma so che ci vorrà tanto lavoro». A 19 anni, è 32 del mondo: il tempo lavora per lei.


Djokovic sbiadito Murray è apatico Federer invece... (Daniele Azzolini, Tuttosport, 31-08-2013)

Sono trascorsi cinque giorni, ma non arrivano segnali. Le ricerche continuano, senza un attimo di sosta. Vi sono coinvolti i 256 tennisti presenti agli Us Open, e i quarantamila spettatori giornalieri di un torneo che viaggia su numeri da record, con l'obiettivo dichiarato di battere i 720 mila di tre anni fa Tanti quanti ne fa la Juventus in una decina di match nel suo Stadium. Cenni di speranza si sollevano, qua e là, e allora la voce si sparge, il taro tam risuona. L'hanno trovato finalmente. Ma si tratta di sparute apparizioni, improvvisi barbagli di gloria, ingannevoli baluginii di un desiderio comune. L'unica notizia da dare è quella di sempre. Da cinque giorni, agli Us Open, è scomparso il bel tennis. I Fab Four non incoraggiano, al momento, fausti presagi E lo Slam di fine anno, e loro hanno giocato più degli altri. Di favoloso vi sono le vestigia del passato recentissimo, ma s'intuisce lo sforzo del tenerle assieme, con il supporto di ginocchiere rinforzate e cinture articolari. E un tennis incerottato, liso, generoso finché si vuole, ma stento. Anche Djokovic, che non vince dal torneo di Montecarlo e sembrava es-semi trattenuto nei tornei estivi sul cemento che precedono questi Open, appare involuto, fin quasi a mostrami confuso. Basta un Benjamin Becker, ormai scaduto a giocatore di challenger, per fargli venire le traveggole, in un primo set giocato più con la testa che con le braccia e i polsi. Si arriva al tie break senza colpo ferire, e li finalmente l'uomo della dieta gluten free, il paladino delle immersioni nel magico "uovo" rigenerante (un macchinario che sta prendendo piede, a quanto è dato sapere), decide che è meglio mettere qualche grammo di distanza fra lui e un avversario che medita di avvicinarlo sempre di più. Vince in tre, ma è normale amministrazione. Anche lui non pare esaltarsi. »Qui è difficile giocare», sentenzia.

Non è piaciuto Murray, Nadal sta sulle sue, un pa' meglio Federer, che se non altro tre o quattro incantesimi li ha regalati, e su di essi è venuto giù lo stadio, con acclamazioni degne di una grande impresa. Ma è lui stesso a tenere bassa l'asticella. «Ogni match che gioco e vinco mi permette di fare un passo avanti, di mettere in cascina un po' di tennis». Il mal di schiena che lo ha condizionato per i primi sei mesi della stagione (la peggiore, da che Federer è Federer) sembra acquietato, ma non è ancora un ricordo. Herr Più (tranquilli, lo chiamano così a Roma) gioca ancora preoccupato, di buono c'è che può di nuovo permettersi tutti o quasi i movimenti, e non sbaglia più gli smash, come l'avevamo visto fare nelle giornate più nere della sua stagione. Il primo match di lusso è per Nadal, negli ottavi con Isner. Un brutto cliente il pivot americano. Volandri, che ci ha giocato contro in primo turno sostiene che si tratti del prodromo di un tennis futuro che porterà questo sport a cambiare faccia «Fra tutte le discipline largamente internazionali», sostiene Filippo con accurata scelta delle parole, «il tennis aveva mantenuto una sua prerogativa, quella di offrire chance a una vasta tipologia di atleti. Oggi si va invece verso una sorta di NbaTennis.Atleti di due metri, racchette da superuomini e superfici che attizzano le loro qualità. Per fortuna sono a fine carriera Mi chiedo se ci sarà ancora spazio, nel futuro, per quelli come me, alti poco più di un metro e ottanta e nella norma quasi in tutto». Bella domanda. Quasi quanto quella iniziale. Dov'è finito il bel tennis?

 

L'analisi - Una ricetta per la crisi della Errani (Gianni Valenti, La Gazzetta dello Sport, 31-08-2013)

Cosa succede a Sara Errani? La numero uno del tennis italiano sta attraversando un momento difficile. L'adrenalina e l'incoscienza che l'hanno accompagnata nell'ultimo anno e mezzo durante l'imperiosa scalata verso la vetta della classifica mondiale hanno lasciato il posto alla difficile normalità che è chiamata a vivere ogni campionessa: tutti si aspettano qualcosa di più e soprattutto non sono disposti a perdonare nulla. Per questa ragione le parole pronunciate da Sara a New York dopo l'inattesa sconfitta contro Flavia Pennetta («Non sono tranquilla, sento troppo la pressione») appaiono come un vero e proprio sfogo. Chissà da quanto tempo la testa della Errani stava facendo i conti con questo nemico invisibile che inevitabilmente le sta girando intorno. C'era bisogno di far saltare il tappo. E lei l'ha fatto, confessando questa sua debolezza. Ora, liberatasi del macigno, deve cercare di ripartire. Come? Gestendosi meglio, limitando l'enorme stress agonistico vissuto fino ad oggi. Innanzitutto, meno tornei ma di qualità. Nel tentativo di fare sempre più punti per la classifica e di conseguenza denaro, Sara ha giocato davvero troppo. Le statistiche dipingono perfettamente la situazione. Se guardiamo all'anno passato, quello della completa maturazione che l'ha portata al best ranking di numero 5 del mondo, ha disputato 77 match di singolare (4 tornei vinti) e 62 di doppio (8 successi con la Vinci). Nel 2013, finora, ha marciato su ritmi simili: 64 incontri di singolo (vittoria solo ad Acapulco), 44 nel doppio (3 trionfi). Così è facile scoppiare. Non solo fisicamente, ma anche sotto il profilo psicologico. Dover continuamente pensare solo alla sfida che verrà non permette di metabolizzare nel modo giusto le vittorie e digerire le sconfitte. E di allenarsi con tranquillità lavorando sui punti deboli (servizio) e su geometrie di gioco che ormai non sorprendono più le avversarie. Un ruolo importante, dunque, lo dovrà recitare il suo staff a cominciare dall'allenatore Pablo Lozano. Ma anche la Federazione ha il diritto di dire la sua. La Errani, infatti, è un patrimonio del tennis italiano da salvaguardare e far crescere finché sarà possibile. I suoi successi hanno rinvigorito un movimento femminile già forte che oggi vede avanzare a grandi falcate ragazze come Karin Knapp e Camila Giorgi. Senza dimenticare che all'orizzonte (2-3 novembre) c'è una finalissima di Fed Cup da vincere a Cagliari contro la Russia.Salvate la campionessa Sara, verrebbe da dire.


Sara, torna a divertirti (Piero Valesio, Tuttosport, 31-08-2013)

QUELLE che non ce la fanno più, ad un certo punto. E quelle (o quelli) che invece non farebbero altro. Quelli che una sconfitta brucia: quelle o quelli che una sconfitta è una bellezza perché c'eri, che è già tantissimo. Da un lato c'è Sara Errani; dall'altro Alisa Kleybanova. Una è caduta in crisi, l'altro è uscita da una crisi gravissima di natura certo non psicologica e non sportiva. Sara e Alisa non hanno nulla direttamente in comune ma rappresentano oggi due volti opposti del tennis femminile. E una, Alisa, può essere oggi di grande aiuto all'altra, Sara. Vediamo perché.

LUCE NERA Dopo la batosta contro la Pennetta la Er-rani ha usato una splendida espressione per chiarire lo stato del suo essere: «Entro in campo e vorrei già uscirne». Come a dire: mi si è spenta la luce. Ed è come se avesse aggiunto: quella stessa attività per la quale ho vissuto ogni momento della giornata o quasi fino all'altro ieri oggi mi pesa. Evviva, Sara: sei umana pure tu. E non sei mica la prima, credici. A ben vedere la crisi (che poi è una semplificazione ma si capisce di cosa stiamo parlando) di Salita era più che prevedibile. Quando arrivano tristezza apatia e magari un pizzico di malcelata depressione? Quando si deve restare al massimo sempre: e soprattutto quando quel massimo sta un po' più su di cosa siamo realmente. Nell'ultimo biennio la Errani si è trovata a reggere sulel spalle la responsabilità di un ruolo (finalista di Slam, plurivincitrice di tornei, leader di Fed Cup etc etc) che forse manco lei immaginava di arrivare a rivestire cosi' di colpo e per così tanto tempo. Quando arrivi a quei livelli è il mondo stesso attorno a te che non ti considera più capace di fallimento. E quel peso può diventare pesante, sempre più pesante fino a che ti fa piegare le ginocchia. Tennisticamente parlando la tua palla diventa più corta, i tuoi movimento più prevedibili, la tua strategia meno lucida. E allora cominci a perdere anche incontri che pochi mesi prima avresti vinto. E il tennis, i suoi allenermanti da marine, la dedizione quasi totale che ti richiede ti diventa insopportabile. Non ti diverti più. Dopo aver smesso di giocare Arantxa Sanchez è sparita dalla circolazione per anni. E quando qualcuno chiese a suo fratello Emilio che fine avesse fatto lui rispose: si sta godendo la vita. Quando il sorriso del tennis scompare, sparisce anche il tennis giocato.

STRADA Detto che dunque quella di Sara è un comprensibilissmo passaggio a vuoto dal quale uscirà riprendendo a pensare che l'unico ruolo che deve reggere è quello banalissimo di essere se stessa, che c'entra Alisa Kleybanoya? C'entra perché potrebbe rappresentare, per l'azzurra, l'indicazione di una strada. Quella in cui il tennis non è una costrizione ma quasi quasi una speranza. La russa ha perso giovedì contro Jelena Jankovic nel primo match che ha disputato in un torneo dello Slam dopo la malattia. Ad Alisa, 24 anni, è stato diagnosticato due anni fa il linfoma di Hodgkin, una forma tumorale curabile di cui, tra l'altro, Nanni Moretti ha parlato in «Caro Diario». Sei mesi di chemioterapia e la sacca con le racchette ovviamente lasciata a poltrire per terra perchè mica si possono curare diritto e rocescio quando si deve curare tutt'altro. Poi la malattia se n'è andata e la moscovita ha ripreso a giocare nei tornei minori fino a tornare a New York. Lei la racconta così, la sua avventura: «Quando ero malata pensavo continuamente di essere su un campo da tennis. Avevo una voglia di giocare tremenda e quel pensiero e quella voglia mi hanno dato la forza di superare quei momenti e pensare di avere un futuro. Volevo so- lo tornare in campo, presto e bene. Sono stata paziente ma il pensiero di tornare ad allenarmi a giocare a vincere e anche a perdere ecco quel pensiero è quello che mi ha aiutato. Quando si ha un grande obiettivo l'importante è concentrarsi su quello per raggiungerlo. Io ce l'ho fatta».

SPREMUTA Ogni commento sarebbe superfluo. La Errarti si è spremuta forse oltremisura in questi due anni e l'altro giorno ha dovuto fare i conti anche con la voglia spasmodica della Pennetta di tornare a essere ciò che era stata. Il pensiero che il tennis possa essere anche gioia oltrechè fatica e pressione la aiuterà a lasciarsi alle spalle l'incubo della semifinale newyorchese dell'anno scorso da difendere (ormai è andata) e a vivere alla giornata tornando a cogliere ogni successo con la giusta dose di sorpresa. E la sua palla tornerà a rimbalzare più alta a più vicina alla linea di fondo.


Williams «Ho il seno più bello del tennis» (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport, 31-08-2013)

È la numero 1 Serena Williams. Ma non solo per quello che riguarda il tennis. Anche nel corpo. «Non c'è atleta che ha un seno come il mio». Lo ha dichiarato orgogliosa in una intervista rilasciata a DuJour Magazine che poi ha titolato il servizio in un modo che ognuno può giudicare da solo: «The Softer Side of Serena Williams., che poi vuol dire «il lato più morbido...» e non ci sarebbe nemmeno bisogno della traduzione. Ma se non c'è in effetti un ranking... ufficiale per il seno, familiarmente«boobs» in America, è naturale che l'occhio spesso lì ci cada. Ecco allora che Simona Halep, la tennista romena, aveva «boobs» così grandi che si è dovuta sottoporre a un intervento chirurgico per trovare l'equilibrio e le vittorie. Sania Mirza, campionessa indiana, anche lei non scherza in fatto di dimensioni. Poi c'era l'australiana Jelena Dokic e fece colpo anche l'argentina Victoria Vanucci, che forse in pochi ricorderanno in quanto ha dovuto lasciare presto il tennis per problemi fisici (no, solo la schiena), ma a conferma di quanto di buono si era visto si è poi buttata sulle copertine di Playboy e non solo. Due anni fa poi Kim Clijsters, agli Australia Open, in mezzo al campo parlò del suo seno al microfono con un telecronista, pizzicato dopo aver inviato un messaggino a un'altra tennista, Rennae Stubbs, alla quale chiedeva lumi sull'apparente aumento delle «boobs» della belga.

FATE COME ME - Ma per Serena si tratta di un percorso diverso, all'inizio anche difficile, in quanto si è dovuta accettare con 'curve' che non appartenevano alla famiglia. «Mia sorella Venus - ha raccontato - è stata sempre tosi alta e magra e in una società dove molta gente è scarna è stato difficile, specialmente come atleta». Poi però, anche se all'inizio non si è trattato di un percorso semplice, Serena ha capito e ha cominciato ad apprezzare il suo corpo. «Non c'è atleta che ha un seno come il mio - lo dice ora con vanto e fierezza - ma ho dovuto imparare ad... abbracciare me stessa e le mie curve. Ed è qualcosa con la quale molte altre donne si possono relazionare». Adesso a quasi 32 anni, li compirà il 26 settembre, si sente perfettamente a suo agio in quel corpo un po' 'robusto» come lo definisce anche lei, che si è sempre differenziato da quello delle sue sorelle, a cominciare innanzitutto da Venus. Ma la Williams junior si è anche spogliata per una rivista già qualche anno fa, poi lo ha ripetuto per il magazine di Espn e adesso nel suo status di «role model» si lascia andare a qualche consiglio che può essere utile specialmente per le più giovani: «È ok se ti Serena Williams, 31 anni. A destra, dall'alto, Tamira Paszek, Marta Domachowska, Roberta Vinci e Simona Malep, quest'ultima prima dell'operazione dl riduzione del seno senti a disagio con te stessa - spiega - Io ero anch'io, è normale. Adesso amo chi sono e incoraggio le altre persone a fare l'identica cosa con loro stessi. Ma non è stato facile, c'è voluto del tempo».

LA CONFESSIONE - Per arrivare al punto di amarsi com'era fisicamente, Serena, la campionessa, la star, la milionaria tennista, ha impiegato del tempo: «Ho cominciato a sentirmi completamente a mio agio con me stessa solo sei, sette anni fa». E forse la longevità come atleta «number 1», capace di dominare la scena ancora oggi dopo 18 anni di professionismo, la deve anche a questo rapporto d'amore con il suo corpo che è non da modella, dimostrato in tante occasioni, soprattutto fuori dal campo come la settimana scorsa quando è apparsa in tivù con un super attillato vestitino nero di pelle che non nascondeva nemmeno una delle sue curve.

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