19/09/2013 18:27 CEST - Approfondimenti

Tennis e Big Data Rivoluzione in arrivo? Andre Agassi il primo?

TENNIS - L'ITF ha approvato l'uso dei Google Glass e delle racchette intelligenti, tecnologie che aiutano a migliorare la prestazione atraverso una gran mole di dati. Cahill è stato un pioniere della video-analisi con Agassi e Hewitt. Ma solo la federazione australiana, o quasi, l'ha seguito. Perché? Alessandro Mastroluca

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Il tennis e i Big Data
Il tennis e i Big Data

Siamo alle soglie di una rivoluzione guidata dai Big Data nel tennis? L'Hawk-Eye, lo Slamtracker, il sistema con cui l'IBM analizza i match durante gli slam fornendo una serie di dati per comprendere lo sviluppo dell'incontro punto per punto, e la decisione dell'ITF di approvare l'utilizzo di strumenti come i Google Glasses o le racchette intelligenti farebbe pensare di sì.

Nel tennis, l'uso delle statistiche e dei dati, dei numeri che raccontano la storia di una carriera, di una rivalità o anche solo di una partita, è sempre stato più importante per i giornalisti, per gli addetti ai lavori e per gli appassionati (sia in qualità di tifosi-fruitori, attentissimi al bilancio degli scontri diretti, al numero di titoli vinti in carriera dal proprio beniamino o dal ranking medio dei suoi avversari in un determinato torneo; sia da fornitori, come i nostri Stefano Rosato e Guido Tirone, in grado di fornire analisi e letture sincroniche e diacroniche del tennis grazie a un database costruito per passione). Basti pensare all'entusiasmo con cui è stato accolto nel mondo dei media l'accordo tra la WTA e la SAP, che già cura la parte statistica di NBA.com, diventata in pochi mesi il prodotto di punta dell'azienda, e inizierà a fornire supporto tecnologico e una mole maggiore di dati per il circuito femminile.

I giocatori, però, guardano con molta meno attenzione al numero degli ace o degli errori gratuiti nell'analizzare la partita appena giocata. E sembrano anche poco inclini a utilizzare dati e statistiche per preparare il match ancora da giocare.

I Big Data nello sport
Il concetto di Big Data, scriveva Gianni Riotta, è diverso dal concetto di internet, anche se la rete è una condizione necessaria per raccoglierli e condividerli (Wikileaks insegna). "Big data è molto di più della sola comunicazione: l’idea è imparare da un’enormità di informazione che non riuscivamo a comprendere quando ne analizzavamo solo piccole quantità. Nel III secolo avanti Cristo, la Biblioteca di Alessandria era considerata la summa della conoscenza umana. Oggi disponiamo di abbastanza informazione per dare a ciascun essere umano 320 volte di più del sapere contenuto ad Alessandria, 1200 exabytes. Se copiassimo questi dati su dischi CD e li mettessimo in colonne, potremmo formarne 5 alte dalla Terra alla Luna”.

Il potenziale analitico e commerciale di questi dati è enorme, tanto che secondo una ricerca ABI-Research, nel giro di 5 anni gli investimenti delle imprese nei Big Data saranno quintuplicati, raggiungendo i 114 miliardi di dollari nel 2018. Secondo il giornalista dell’Economist Kenneth Cukier e il docente a Oxford Viktor Mayer-Schoenberger, i “Big Data” (titolo del loro ultimo libro edito in Italia da Garzanti) rappresentano, come recita il sottotitolo, “una rivoluzione che trasformerà il modo in cui viviamo, lavoriamo e pensiamo”. Una rivoluzione che ha ancora degli aspetti etici poco chiari, che deve ben definire il limite tra analisi e sorveglianza, tra riservatezza e sicurezza, come dimostra lo scandalo del programma Prism della National Security Agency statunitense con cui Obama ha avuto accesso perfino alle conversazioni Skype dei privati cittadini, come ha rivelato il “whistleblower”, la talpa Edward Snowden. Un caso che ha evidenziato quella che l'intellettuale bielorusso Evgenij Morozov ha definito in un suo libro del 2011 “L'ingenuità della rete”. Ma questa è un'altra storia.

Il pioniere del metodo scientifico applicato allo sport è indiscutibilmente Valerij Lobanovs'kyj. Mezzala creativa e tutt'altro che disciplinata da giocatore, da allenatore dimentica il suo passato: amante della matematica, laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Kiev, applica al calcio i suoi studi. Lo considera un sistema  dove 22 elementi, soggetti a una serie di restrizioni, si muovono all'interno di un'area definita. Nel 1969, l'anno dello sbarco sulla Luna, lui sbarca sulla panchina del Dnepr. E il suo piccolo passo è un passo enorme per il mondo del calcio. Chiama in rosa il professor Anatoly Zelentsov, specialista in bioenergetica,  che lo seguirà anche alla Dinamo Kiev. Con lui, Lobanovs'kyj elabora teorie e strategie rivoluzionarie. Prepara le partite dividendo il campo in nove quadrati, perché ogni giocatore deve sapere dove passare la palla ancor prima di averla ricevuta. Organizza tre diversi programmi di allenamento, con un regime personalizzato e istruzioni tattiche diverse per ciascun giocatore che variano da partita a partita. Sulle pareti del campo d'allenamento appende le istruzioni: 14 per i difensori, 13 per gli attaccanti, 20 per il pressing e le “azioni collettive”. La mattina dopo la partita, sulle stesse pareti, la prestazione di ogni giocatore veniva valutata, scomposta e analizzata in base alla sua partecipazione al gioco e al numero di obiettivi personalizzati che aveva raggiunto.

Se oggi Rafa Benitez utilizza i suoi software per preparare le partite, se Arsene Wenger ha portato per primo le statistiche in Premier League, se Mancini ha cambiato gli schemi sui calci d'angolo del suo Manchester City, che adesso segna molto più di prima sugli sviluppi dei tiri dalla bandierina, lo si deve al “Colonnello” ucraino.

La patria delle statistiche nello sport sono comunque gli Stati Uniti: dalle corse motoristiche al basket, con i Toronto Raptors che hanno passato più di cinque anni a sviluppare un sistema in grado di dire esattamente dove ciascun giocatore deve posizionarsi in una determinata azione, dalla vela, con le “scatole nere” permesse sui nuovissimi catamarani dell'America's Cup, ai libri dei giochi dei coach di football; dal golf al baseball, con la storia esemplare di Billy Beane (raccontata in Moneyball), general manager dei piccoli Oakland Athletics che usando la sabermetrica (l'analisi del baseball attraverso le statistiche) costruisce una squadra capace di vincere 20 partite di fila in American League, record tuttora imbattuto.

Il tennis: l'empirismo vince sull'analisi

Nel tennis, però, le principali testimonianze di utilizzo sistematico dei dati arrivano dall'Australia. Darren Cahill è stato uno dei primi coach a usare la videoanalisi per migliorare il rendimento dei top player. Ispirato dal padre, prima giocatore e poi coach nella Australian Football League, ha comprato dalla lega di football australiano, che a sua volta l'aveva importato dalla NFL, il sistema SportsCode. Cahill impiegava anche sei o sette ore a isolare e analizzare gli elementi di un match durato tre ore. In questo modo ha aiutato Lleyton Hewitt e Andre Agassi a dissezionare gli schemi e le strategie degli avversari. “Se ti siedi con un giocatore e rivedi una partita di tre ore, stai sicuro che perderai la sua attenzione. Se invece gli dici: ho bisogno che tu ti concentri su tre aspetti precisi, e in un quarto d'ora tu puoi mostrargli chiaramente quei tre aspetti specifici, il messaggio arriva meglio e arriva prima” ha detto qualche tempo fa al New York Times.

“Per me, quando allenavo Agassi, che voleva sessioni di video-analisi brevi, 10-15 minuti, quel lavoro era fondamentale. Potevamo utilizzare i materiali video per scoprire dove un giocatore tende a servire su un punto importante, o quale lato della rete Andre avrebbe fatto meglio a coprire o ancora per verificare se negli scambi rovescio contro rovescio Andre stesse o meno lasciando troppo campo aperto sul lato del dritto. Ho sempre pensato che la video-analisi sia un grande valore aggiunto, anche se è molto sottovalutata. E l'ho tenuta segreta allora: pensavo fosse un vantaggio per noi” ha detto candidamente.

Oggi la federazione australiana ha il programma di video-analisi più sviluppato al mondo. Diretto da Darren McMurtrie, l'unità di analisi è in grado di fornire video aggiornati e di individuare le principali strategie di gioco degli avversari dei giocatori australiani, dai top-player fino ai mestieranti che frequentano il circuito ITF alle periferie della geografia tennistica. “Siamo i soli che possono garantire questa profondità di dettagli” ha spiegato McMurtrie. “Per esempio, possiamo chiedere al programma 'Fammi vedere dove serve Serena Williams sulle palle break' e avere tutte le clip da tutte le partite in archivio”. Non a caso, una delle giocatrici che ha fatto maggiormente ricorso ai dati di McMurtrie, ed è tra le sue più entusiaste sponsor, è Sam Stosur, che proprio contro Serena Williams si è regalata il più grande successo della sua carriera.

Perché, allora, nonostante gli esempi positivi, l'uso dei Big Data ancora non si è affermato come una strategia vincente nel tennis? Perché perfino Youzhny, che ha dedicato la sua tesi di laurea proprio alla sperimentazione dell'analisi video per preparare le sue sfide contro Djokovic, ha abbandonato questa tecnica dopo due sconfitte?

Da un lato, per la particolare natura di questo sport, che lo rende diverso da altre discipline individuali, come il golf, in cui hanno trovato terreno molto più fertile. Perché nel golf lo scopo di ogni colpo è chiaro: raggiungere il green, andare in buca e così via. Nel tennis il solo scopo è fare punto, ma i modi per farlo sono quasi infiniti, e le combinazioni, senza scomodare la trigonometria di Foster Wallace, aumentano in maniera esponenziale con l'aumentare dei colpi nello scambio, senza considerare poi le variabili legate alle traiettorie, agli angoli, ai tagli e alle variazioni.

Ma c'è anche un altro motivo, che ha sottolineato durante il Roland Garros Gilles Simon, giocatore che fa dell'intelligenza tattica, della capacità di leggere il gioco il suo punto di forza e che ha scelto un nuovo coach, Jan De Witt, proprio per il suo uso estensivo dei dati nell'elaborazione della strategia di gioco. “La maggior parte dei giocatori” ha spiegato, “si concentrano solo su di loro, su quello che succede nella loro metà campo. Io mi concentro di più su quello che avviene dall'altra parte della rete”.

Allo stesso tempo il francese avverte: le statistiche potrebbero essere pericolose. Ed è il terzo motivo, forse la ragione principale, che spiega la ritrosia di coach e top player verso i Big Data. “I dati potrebbero dirti che vinceresti l'80% dei punti andando a rete attaccando il tuo avversario sul rovescio. Ma se in campo lo attacchi ogni volta sul rovescio, non otterrai mai l'80% dei punti perché il tuo avversario capirà che la palla arriva sempre dalla stessa parte”.

Alessandro Mastroluca

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