20/11/2013 15:13 CEST - Personaggi

40 anni fa la sfida storica di Ashe in Sudafrica

TENNIS - Il 20 novembre 1973 Arthur Ashe batte Sherwood Stewart a Johannesburg. E' il primo match professionistico mai giocato da un tennista di colore in Sudafrica. Ashe chiede spalti desegregati, incontra giornalisti di colore e i ragazzi di Soweto. Inizia quel giorno la strada che porterà Nelson Mandela alla presidenza. Alessandro Mastroluca

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Arthur Ashe, Althea Gibson, Nelson Mandela: protagonisti del libro "Il successo è un viaggio" di Alessandro Mastroluca (ed. Ultra Sport)
Arthur Ashe, Althea Gibson, Nelson Mandela: protagonisti del libro "Il successo è un viaggio" di Alessandro Mastroluca (ed. Ultra Sport)

Un dritto vincente per entrare nella storia. Un dritto vincente per fare la storia. È il primo punto della prima partita di Arthur Ashe a Johannesburg, contro il texano Sherwood Stewart, che ha deciso di partecipare al torneo proprio per veder giocare Ashe. È il primo punto mai giocato da un tennista nero in Sudafrica. È il 20 novembre 1973.

Arthur Ashe ha chiesto di giocare gli Open del Sudafrica dal 1968, ma il governo, che mantiene il regime di apartheid, gli ha sempre negato il visto, fino al 1973, quando ammettono Ashe per ragioni di opportunità politica. Il campione di colore è una pedina di scambio. Nel luglio 1972, infatti, la federazione sudafricana, che è tra i membri fondatori dell'ITF, è stata sospesa per un anno dalla Coppa Davis e ha indicato alla federazione internazionale un programma di iniziative in otto punti per evitare una nuova squalifica: uno di questi è proprio l’ammissione di Ashe a Johannesburg. La squalifica non sarà revocata e il Sudafrica vincerà la Davis grazie al boicottaggio dell'India che rifiuta di partecipare alla finale in protesta contro il regime razzista.

La difesa di questo interesse superiore spiega anche perché il ministro dello sport, Koornhof, accetti le tre condizioni che Ashe pone: spalti non segregati per i suoi match, libertà di andare dove vuole e quando vuole, ammissione non vincolata a uno status di “bianco onorario”. In realtà, scoprirà poi, i cartelli che segnalano gli ingressi separati allo stadio restano ma il direttore del torneo fa vendere a neri e colored una quota di biglietti per tutti gli altri settori dello stadio per assistere alle sue partite.

Ashe atterra a Johannesburg il 17 novembre 1973. Due settimane dopo, il 30 novembre, con la  Convenzione sulla Soppressione e la Punizione del Crimine dell’Apartheid l’Onu denuncia la  discriminazione razziale in atto in Sudafrica come un “crimine contro l’umanità in violazione delle leggi internazionali”.La città, come scrive Frank Deford, è colorata dal rosso degli alberi di jacaranda. “Per un breve periodo, in questo luogo bizzarro domina il colore della gioia. Ma il colore, in un altro senso, è la piaga di questa nazione, dove l’apartheid è legge”.

Alla vigilia del suo debutto nel torneo, incontra un gruppo di giornalisti di colore che non sono soddisfatti della sua presenza: agli occhi della comunità nera, dicono, la partecipazione al torneo di Ashe è una forma di legittimazione del governo. Tra loro c’è anche Don Mattera, giornalista e poeta di origine italiana (suo nonno è un immigrato che ha sposato una donna Xhosa), cresciuto dai nonni a Sophiatown, un’area di etnia mista di Johannesburg, prima che il governo imponesse loro di spostarsi a Westbury, una zona riservata ai colored. Tra i fondatori dell’Union of Black Journalists e del Congress of South African writers, Mattera è uno dei pochi convinti che la presenza di Ashe sia di aiuto alla causa dell'integrazione, e organizza per il 21 novembre un incontro con i giornalisti allo Shakespeare Palace. Non potrà parteciparvi, però, perché verrà bannato il giorno prima, il giorno dell'esordio di Ashe a Ellis Park. Ma gli dedica una poesia, “Anguished Spirit – Ashe”:

Ho profondamente ascoltato quando parlavi
Dell’evoluzione passo a passo
di un raccolto graduale,
offerto dai raggi della tolleranza
e della pazienza.
Il tuo volto giovane,
una maschera,
che nascondeva uno spirito bramoso, angosciato
e ti ho voluto bene fratello
non per la tua pacata filosofia
ma per la rabbia della tua anima,
allenata al rimprovero e al richiamo.
Come la mia.
Quando chiedevo loro pane,
mi davano il campo di grano,
e credevano di volere il mio bene.
Quando chiedevo acqua,
mi davano il pozzo,
e credevano di prendersi cura di me.
Quando ho chiesto libertà
si sono ripresi il campo di grano
e il pozzo,
hanno stretto le catene
e mi hanno detto, avevo chiesto troppo.
Ora non aspetterò più
per il grano e per l’acqua, ma lotterò
per la libertà

Molti sono contrari alla sua presenza. “Arrivi, giochi poi te ne torni a casa e qui non cambia niente, qui i neri staranno sempre a pulire i bagni” gli dicono. “Il progresso arriva un po' per volta” li convince Ashe, “quando me ne sarò andato, qualcosa resterà”. Resta un messaggio, che è tutto nelle parole di uno degli uomini presenti allo Shakespeare Palace che verso la fine si alza in piedi: “Tu per me sei una sfida, una sfida a non avere paura, a essere più libero, e se non lo sarò io, lo saranno i miei figli”.

Ashe vince la sua prima partita, 6-1 7-6 6-4, e arriva fino alla finale, contro Jimmy Connors. Alla vigilia ha incontrato i ragazzi di Soweto che gli hanno assegnato un nuovo soprannome, Sipho (Dono). Per la finale, Ellis Park è stracolmo. Ashe subisce due break nei primi tre game di servizio, strappa un break nel finale di primo set ma è troppo tardi: 6-4 Connors, che chiude con un dritto apparentemente lungo ma chiamato buono senza che Ashe protesti. Il servizio lo tradisce pesantemente nel terzo gioco del secondo set, in cui subisce il break a zero anche a causa di due doppi falli consecutivi. Ma recupera e nel dodicesimo game, avanti 6-5, si procura un set point con un pallonetto vincente (30-40). Connors comunque si salva con un devastante rovescio incrociato e riesce ad allungare al tiebreak, dominandolo per 7 punti a 2. Il terzo set non ha storia: a Connors basta un break per suggellare il 6-4 7-6 6-3. Il nome di Ashe compare comunque nell’Albo d’Oro: vince, infatti, il titolo di doppio.

Tra i ragazzi che in quei giorni erano a Ellis Park, e oggi da lontano contemplano il declino e il decadimento di un impianto oggi deserto e quasi in rovina nonostante recenti tentativi di rinnovamento e recupero, c'è Mark Mathabane. Allora tredicenne, si innamora del tennis guardando Ashe. “Come può un nero giocare in maniera così eccellente e farsi applaudire anche dai bianchi?” scriverà anni dopo nella sua autobiografia, Kaffir Boy (Kaffir è l’equivalente afrikaner di negro). In quei giorni, segue il campione ovunque, tanto che Ashe un giorno gli domanda perché. “Perché lei è il primo nero davvero libero che io abbia mai visto”. Qualche anno dopo Ashe e il suo amico Stan Smith lo aiuteranno a ottenere una borsa di studio negli Stati Uniti. “Il tennis è stato il mio passaporto per la libertà” ha dichiarato qualche mese fa dalla sua casa a Portland. “Ellis Park è stato un luogo essenziale, dove ho cominciato a ottenere quel passaporto. Se non fossi andato a Ellis Park, forse oggi non sarei vivo”.

La forza dell'eredità di Ashe è tutta qui. E non può essere un caso se 22 anni dopo, a Ellis Park, la desegregata nazionale di rugby del Sudafrica vince in casa i Mondiali del 1995. Una finale che inizia con Nelson Mandela, neo eletto presidente della Rainbow Nation, in campo con la maglia della nazionale dello sport simbolo degli oppressori bianchi per stringere la mano al capitano degli Springboks, Francois Pienaar, “il figlio biondo dell’apartheid”.

Alessandro Mastroluca

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