23/01/2014 18:18 CEST - Australian Open

Australian Open, day 11: (s)punti tecnici del giorno

TENNIS AUSTRALIAN OPEN- Undicesimo appuntamento con gli spunti tecnici del giorno. Oggi parliamo dei successi di Li Na e Cibulkova e della testa dello svizzero Wawrinka, alla sua prima finale Slam. lucabaldi

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Stan Wawrinka
Stan Wawrinka

Le prospettive di Eugenie
Professionalmente, una delle mie convinzioni è che si può capire molto di più di un giocatore guardandolo perdere che guardandolo vincere. E questo vale per tutti, dalle “belvette da tennis” delle categorie amatoriali che alleno io fino ai “mostri da Slam” che gli appassionati ammirano in televisione.
La reazione alle difficoltà, il tentativo di risolvere i problemi posti dall'avversario, il saper superare e gestire le fasi di gioco nelle quali, per qualsiasi motivo, il proprio tennis “non va”, sono situazioni che danno informazioni decisamente più utili e significative, in ottica di miglioramento e crescita agonistica, rispetto a quando il tennista rimane nella sua “comfort zone”, gli funziona tutto (magari per pochezza dell'avversario), e se la porta a casa in scioltezza.
Come sei capace di giocare lo so già, insomma, mi interessa piuttosto verificare sul campo cosa riesci a produrre quando questo non basta, e che opzioni proponi per limitare i danni e cambiare l'inerzia negativa.
Letta da questo punto di vista, la sconfitta in semifinale di Eugenie Bouchard contro la favorita del torneo (per qualità, classifica ed esperienza) Li Na fa davvero ben sperare.
La giovane canadese comincia contratta ed emozionata, ovviamente avere di là una che ti chiude un vincente dopo l'altro non aiuta, e in pochi minuti è sotto 5-0. Non si disunisce, continua a provarci, supera la tensione, aumenta spinta e profondità, fa un paio di game, cede 6-2, va avanti 2-0 nel secondo, poi palla del 3-1, poi raggiunta e superata va sotto 3-2 e servizio, fa il contro-break e va 3 pari, e alla fine perde 6-4. Il tutto contro una grande Li Na, veramente, ma veramente centrata (35 vincenti, sono due a game di media!).
Tolti i primi 5, chiamiamoli “pedaggio d'ingresso ai piani altissimi degli Slam”, la canadese ha uno score di 6 giochi a 7: cioè, se la è giocata assolutamente alla pari.
Tecnicamente, Eugenie è una specie di Wozniacki (rovescio quasi identico, ma anche il modo di stare in campo e la tipologia fisica) con la non trascurabile differenza che spinge, cerca i vincenti e attacca molto ma molto di più, oltre a difendere in modo efficace. Bene, davvero bene: ne sentiremo parlare. Brava.

La consistenza di Dominika
Purtroppo, la “semifinale rasoterra” che tanto ben prometteva tra le due giocatrici che flettono maggiormente le gambe, e stanno più basse di tutte, non è stata una partita: si è capito come sarebbe andata quando, dopo un lottatissimo game sul 2-1 e servizio per Dominika Cibulkova, nel quale Agnezska Radwanska ha mancato il contro-break, il primo punto del gioco successivo è stata una palla corta piuttosto leggibile della slovacca che Aga non ha minimamente intuito, e che non è stata abbastanza rapida da recuperare. Una Radwanska in condizione fisica accettabile quella palla la prende comoda, e ti scherza con il contro-drop.
Da lì in poi, solo Dominika in campo, e al suo meglio. Forse il quarto di finale più impegnativo giocato da Aga, forse qualche problema fisico, sta di fatto che la maga delle variazioni era talmente scarica da non riuscire a essere competitiva.
Interessante, dall'altra parte, una tendenza che non è usuale (anzi, inedita) per la Cibulkova, e che in questo torneo inizia ad avere una regolarità degna di nota: la consistenza di rendimento.
Primo turno, 6-3 6-4 a Schiavone, poi 6-0 6-1 a Voegele, 6-1 6-0 a Suarez Navarro, 3-6 6-4 6-1 a Sharapova, 6-3 6-0 a Halep, 6-1 6-2 a Radwanska. In 13 set, solo uno dei suoi tipici “crolli” nel secondo contro Masha (era avanti 5-0 e ha rischiato di farsi rimontare, il primo se lo era meritato la russa). Per il resto, le ha prese a sberle tutte dall'inizio alla fine dei match.
Quando una in grado di spingere, anticipare, liftare, stringere e aprire le traiettorie così bene, e con tanta potenza, diventa anche regolare e tiene di testa, beh, stiamo parlando di un salto di qualità probabilmente decisivo. Macchinetta sparapalle.

La testa di Stan
Come spesso fa celebrando i suoi successi, anche dopo aver chiuso il match contro Tomas Berdych, Stanislas Wawrinka si è puntato l'indice alla testa, rivolgendosi al suo box e anche a se stesso.
Ha ragione a farlo, e ha avuto doppiamente ragione a farlo oggi.
Perchè la chiave della prima finale Slam conquistata, e più in generale del livello assoluto, da top-player, raggiunto dallo svizzero nell'ultimo anno di tennis è proprio lì.
Dal punto di vista tecnico, la sfida contro il ceco è stata un confronto molto lineare tra giocatori che esprimono un gioco simile. Grandi servizi, potenza da fondocampo, più pesanti le traiettorie di Tomas, più varie sia come geometrie che come rotazioni quelle di Stan; meglio la mobilità di Wawrinka, più propositivo a rete Berdych.
In una situazione caratterizzata da tanto equilibrio, la capacità di colpire e far male nei rarissimi momenti in cui si ha la possibilità di incidere nel punteggio fa la differenza.
Nel primo set, Stan trasforma la prima e unica palla break, e chiude 6-3. One shot, one kill.
Nei tre tie break successivi, il primo lo molla disastrosamente, gli altri due li porta a casa, ed è finita lì. Fossero girate diversamente tre-quattro palle al massimo, sarebbe finita 3 set a uno per Berdych.
Ma stavolta la testa, la freddezza, il rischio calcolato e le corrette scelte tattiche su quelle tre-quattro palle sono state dalla parte di Stan. Cecchino.

One-handed backhand appreciation corner
Ed è trionfo per la One-Handed Band: Stan-The-Man entra nella leggenda, e nella finale del primo Slam stagionale. La nemesi bimane si inchina per l'ennesima volta dinanzi alla Luce della presa eastern a una mano: perchè se pure l'Era degli Eroi è al crepuscolo, noi non ce ne andremo in silenzio nella notte, ma faremo pagare caro alle orde barbariche ogni metro conquistato.

E se poi dovesse avvenire l'impensabile, nella sfida tra il Vecchio Jedi Roger e il Giovane Sith Rafael, anche se l'antico maleficio del top-spin mancino attanaglia da sempre il cuore del Cavaliere del Bene... le profezie andrebbero riscritte, così come la definizione stessa di Epica.
Ma di tutto questo ci preoccuperemo domani, che come sempre, sarà un altro giorno.

 

 

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lucabaldi

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