26/02/2014 12:31 CEST - TENNIS AL FEMMINILE

Venus e i campioni anziani: quando è giusto smettere?

TENNIS AL FEMMINILE – Venus Williams ha vinto di nuovo il torneo di Dubai a distanza di quattro anni, un periodo trascorso con più bassi che alti. Da Safina a Federer, da Connors a Sampras: quando è il momento di smettere? AGF

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Venus Williams con il trofeo vinto a Dubai
Venus Williams con il trofeo vinto a Dubai
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Il successo di Venus al torneo di Dubai mi ha fatto piacere per diverse ragioni. Per una ragione tattica: apprezzo la sua capacità di chiudere gli scambi a rete; anche se non cerca più il movimento verticale con la stessa frequenza di inizio carriera, è comunque rimasta una giocatrice che sa venire avanti per raccogliere i frutti del vantaggio costruito da fondo.

Poi per come colpisce; il suo è un tennis particolare: tira forte, ma in modo tipicamente femminile. Nel nuovo millennio l'aspetto che differenzia sempre più il gioco maschile da quello femminile è la quantità di top spin dato alla palla. E Venus di top spin ne usa ben poco: i suoi colpi viaggiano veloci e tesi grazie alla spinta delle lunghe leve.

Ma forse l'aspetto che mi ha fatto più piacere è che con questa vittoria probabilmente Venus avrà, almeno per un po' di tempo, posto fine ad un argomento che spesso affiorava nei suoi confronti e che non condividevo: l'idea del ritiro.

E' una idea che si sente aleggiare da qualche anno; per la precisione dal 2011, il suo annus horribilis in cui ha vissuto guai di salute a ripetizione. Guai iniziati sin da gennaio, con il primo ritiro in uno Slam a Melbourne per infortunio alla gamba; passando poi per malanni vari nei mesi successivi, culminati nella diagnosi della Sindrome di Sjögren, dopo che agli US Open aveva dovuto rinunciare a giocare contro Sabine Lisicki.
Solo 11 match disputati in tutta la stagione e crollo nel ranking: da numero 5 del mondo a numero 103.

Ad inizio 2012 Venus prova ad invertire la rotta, tanto da risalire al posto 58 prima di Wimbledon, il “suo” torneo, dove ha vinto cinque volte e raggiunto la finale in altre tre occasioni.Qui però perde  6-1, 6-3 al primo turno da Elena Vesnina. La sconfitta è inequivocabile, quasi brutale, e per molti osservatori sancisce una specie di punto di non ritorno. Le perplessità sul suo futuro diventano sempre più diffuse, tanto che c'è chi parla esplicitamente di smettere.
 

Allora non condividevo l'idea del ritiro, perché Venus aveva spiegato che voleva prendersi del tempo per cercare di capire se poteva convivere da tennista professionista con la sua malattia, e quella motivazione per me era un atto di coraggio che meritava una specie di apertura di credito quasi illimitata.
E poi per Venus il problema fisico non dipendeva dal tennis e quindi credo che a maggior ragione ci sarebbe voluta cautela nel darla per finita come sportiva.

Ricordo al contrario le difficoltà di Dinara Safina nelle sue ultime partite prima dello stop definitivo del 2011, quando il mal di schiena le impediva di effettuare correttamente alcuni movimenti fondamentali per poter giocare. Il problema per Safina era che soffriva di una cronica “malattia professionale”: nel suo caso, purtroppo, tennis e salute erano diventati incompatibili. Agli Australian Open 2011 perse al primo turno da Kim Clijsters 6-0, 6-0 in 44 minuti.

Era triste vedere Dinara in quelle condizioni, ma ugualmente pensavo che avrebbe potuto decidere solo lei quando fermarsi in modo definitivo. Non credo possa farlo chi giudica dall'esterno, senza avere il quadro della situazione completo. In fondo quella era la professione della sua vita, e pensavo avesse il diritto di provare fino a che ne aveva voglia prima di alzare bandiera bianca.

Invece appena i grandi giocatori non riescono più a mantenere gli standard eccelsi a cui ci hanno abituato, non manca mai da parte di alcuni appassionati e giornalisti chi inizia a suggerire il ritiro
Indico alcune delle ragioni che vengono più spesso avanzate quando i passi falsi diventano frequenti:

1) Un grande campione non dovrebbe ridursi così
2) E' meglio smettere un giorno prima che un giorno dopo
3) Il grande campione dovrebbe concludere con prestazioni degne del suo passato

Posso dire che non condivido nemmeno uno degli argomenti citati? Provo a spiegare.

- Primo punto:
“Un grande campione non dovrebbe ridursi così”.
Questo concetto l'ho letto in diversi articoli che riguardavano Venus a Wimbledon nel 2012; ma l'ho letto anche nei post da parte di alcuni tifosi di Federer nei momenti difficili dell'anno scorso; e l'avevo sentito dire per Wilander negli ultimi anni di carriera, etc etc.

Ora io non capisco cosa ci sia di tanto grave nel perdere nei tornei dello Slam, fosse anche al primo turno.
In tutti i casi che ho citato, non si stava assistendo a vicende tipo quelle del pugile ormai mezzo suonato che si presta a diventare un fenomeno da baraccone prendendo parte a qualche incontro di wrestling.
No, qui stiamo parlando di match di tennis a livello dei primi cento del mondo, nei tornei più prestigiosi del pianeta.

Rispetto a quando vincevano Slam il passo indietro è abissale? Certo, ma si parla pur sempre di livello molto alto. E poi nei match persi da questi campioni in declino si continuano a vedere sprazzi di grande livello, perché il talento non si cancella mai completamente.
Preferisco una partita con bagliori di talento perdente ad un incontro con protagonisti in piena salute e forza fisica ma dal gioco grigio e banale.

- Secondo punto
“E' meglio smettere un giorno prima che un giorno dopo”.
Se un grande campione ha ancora il desiderio e la soddisfazione di giocare, per quale ragione non dovrebbe continuare a farlo? Trovo sia meglio che smetta dopo aver subito una sconfitta in più, ma con la certezza definitiva di non essere competitivo, piuttosto che ritirarsi con il rimpianto di averlo fatto troppo presto, e con il dubbio di non aver dato tutto quello che aveva dentro.

Ricordate il Connors trentanovenne degli Us Open 1991? Era precipitato al numero 174 del ranking, dopo un 1990 quasi senza match. Se avesse seguito questo consiglio non avremmo mai avuto la possibilità di assistere al suo straordinario torneo. Che naturalmente non vinse, perché ormai da anni non era più in grado di farlo. Ma questo non gli impedì di regalare ugualmente grandi emozioni al pubblico di Flushing Meadows.
 

- Terzo punto
“Il grande campione dovrebbe concludere con prestazioni degne del suo passato”
Il riferimento sempre citato è quello di Pete Sampras, capace di chiudere l'attività addirittura con una vittoria agli US Open. E' una teoria che a me pare consideri gli appassionati di tennis come esseri dotati della cosiddetta memoria del pesce rosso. Non ho mai capito la ragione per cui cattive prestazioni dovrebbero intaccare una carriera ricca di grandi imprese nel passato.


Ma veramente c'è qualcuno che si fa così influenzare dall'ultima impressione? Per quanto mi riguarda ricordo il match perso da Venus contro Vesnina nel 2012, ma non capisco come questa sconfitta possa modificare nella mia memoria, ad esempio, quest'altra partita di Venus del 2005, contro Lindsay Davenport.
 

- C'è un ultimo argomento, quello che è forse il più lontano dal mio modo di pensare:
“Il grande campione che continua l'attività a livelli più bassi rovina i suoi record”.
Questo è il concetto del tifoso che tiene soprattutto all'albo d'oro e ai confronti diretti. E quindi non digerisce che il suo beniamino peggiori i numeri negli Slam o negli h2h.

E' davvero preferibile che un fuoriclasse smetta per non guastare le sue statistiche, piuttosto che continuare a vederlo giocare con qualche sconfitta in più? Ma allora conta solo la vittoria, non la partita. Tanto vale a questo punto limitarsi a leggere dati e risultati su Wikipedia, e non assistere nemmeno ai match.

A me pare che dietro a tutti questi ragionamenti stia sostanzialmente una sola grande preoccupazione: il timore della sconfitta. Un timore ingigantito all'eccesso, quasi fosse un disonore che macchia la dignità dei giocatori.

A questo aggiungerei una motivazione impropria, derivata dai ragionamenti fatti in altri sport, quelli collettivi: il fatto che un “vecchio” campione possa con le sue performance insufficienti danneggiare la squadra di cui fa parte; in questi casi non sempre si ha il coraggio di togliergli il posto, e la sua ostinazione nel voler continuare finisce per penalizzare i compagni.

Si associa così, quasi automaticamente, voglia di tener duro con scelta sbagliata. Evidentemente la motivazione è impropria perché ha senso negli sport di squadra, ma non vedo come possa essere trasposta in una disciplina individuale come il tennis.

Qualcuno potrebbe farmi notare che sostenere queste cose dopo l'affermazione di Venus a Dubai sia una contraddizione. Insomma: sto dichiarando che la vittoria non è tutto, e poi aspetto che si aggiudichi un torneo importante per uscirmene con un “l'avevo detto che doveva continuare”. Beh, in realtà ho deciso di scrivere questo articolo dopo la partita di Williams contro Flavia Pennetta.

Non solo avevo visto Venus giocare bene, ma mi aveva anche dato l'impressione di divertirsi e di provare soddisfazione  per come riusciva a stare in campo. Questa è una rubrica settimanale e quello era l'aspetto che mi aveva colpito di più di tutta la settimana di tennis giocato. Le partite successive non hanno fatto altro che confermare quella impressione, indipendentemente dal successo finale nel torneo.

Dopo la partita contro Flavia semplicemente avevo fatto una specie di bilancio dell'inizio di stagione di Venus; avevo valutato non tanto il suo rendimento in termini di ranking, quanto quello che avevo ricevuto come spettatore. E mi sono reso conto che, malgrado in quel momento fosse ancora al numero 44 del mondo, come appassionato di tennis non potevo che ringraziarla.

Mi aveva divertito nel suo match contro Pennetta (vinto); e mi aveva divertito contro Kvitova a Doha (partita buttata via da Venus); ma anche contro Ivanovic nella finale di Auckland e contro Makarova agli Australian Open. Venus aveva perso tutti e tre i match decisi al terzo set (e che perda spesso i match in tre set viste le sue condizioni non sorprende), ma in ogni caso erano state partite ricche di spunti tecnici, con grandi scambi e soluzioni di gioco degne di essere ricordate.

Insomma, avendola seguita diverse volte nel 2014, indipendentemente da Dubai, vorrei solo dirle: continua a giocare, Venus, se ti fa piacere. Se non sarà possibile essere sempre al meglio perché la salute le consentirà di sostenere solo qualche partita ai livelli di un tempo, non mi pare una ragione sufficiente per smettere. E non sarà qualche brutta sconfitta a farmi cambiare idea.

Indice della rubrica:

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AGF

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