12/03/2014 15:23 CEST - TENNIS AL FEMMINILE

Mona Barthel, talento speciale del tennis tedesco

TENNIS AL FEMMINILE – A Indian Wells c'è stata una débâcle del tennis tedesco. In particolare Mona Barthel nelle ultime settimane ha perso molte decine di posti in classifica. Eppure rimane una giocatrice dal talento unico nel circuito femminile. AGF

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Mona Barthel
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Credo che chi segue un po' il tennis femminile concorderà con me: mai come nel caso delle tenniste tedesche i luoghi comuni sulla Germania risultano ingannevoli e inappropriati. I Tedeschi: quadrati e tenaci; rigidi ma efficienti, etc. etc. E poi pensi alle giocatrici tedesche di oggi e vedi che, se hanno in comune alcuni aspetti, semmai si potrebbero ritrovare in caratteri completamente differenti, di solito associati ai popoli latini: incostanti e umorali; talentuose e inaffidabili.

Giocatrici emerse quasi tutte insieme (nel giro di due-tre anni) e che, stagione dopo stagione, rischiano di consumare una carriera piena di aspettative senza che quasi nessuna riesca realmente a mantenere quanto prometteva. Altro che la concretezza di Steffi Graf, il modello inarrivabile e un po' opprimente a cui fare riferimento per tutte le sue connazionali.

A Indian Wells sono state tutte eliminate subito. Che partissero con i favori del pronostico o meno, nessuna è riuscita a raggiungere la seconda settimana di torneo. Petkovic ha perso da Camila Giorgi (seconda volta nel giro di poche settimane); Lisicki da Wozniak; Kerber da Torro-Flor; Barthel da Schiavone. Goerges ha passato un turno ma poi l'ha fermata Sharapova. L'unica capace di vincere due partite è stata Annika Beck, l'ultima arrivata del gruppo, la più giovane. Che però “in premio” per essere riuscita a spingersi più avanti delle altre ha ricevuto una bicicletta (6-0, 6-0) da Agnieszka Radwanska.

Volendo drammatizzare la situazione, con un costume non infrequente per i giornalisti sportivi (tanto poi chi se ne ricorderà tra qualche settimana?) sarebbe un'ottima occasione per decretare la crisi di un movimento. A me però questo modo di fare non convince: i periodi-no possono capitare, e utilizzare le partite di Indian Wells per emettere un verdetto di condanna del tennis tedesco mi sembrerebbe un atteggiamento troppo sbrigativo. Non solo: ho appena sostenuto che i luoghi comuni non sono adatti per descrivere le giocatrici in questione; pretendere di accomunarle tutte in uno stesso destino senza riconoscere le loro specificità significherebbe solo un modo diverso di peccare di superficialità, continuando a ragionare “un tanto al chilo”.

E se non basta la semifinale di Fed Cup raggiunta qualche settimana fa (sconfiggendo in trasferta la Slovacchia di Cibulkova e Hantuchova) a smentire i catastrofismi, qualche difensore della Germania potrebbe sempre sfoderare l'argomento culturale: Lisicki e Kerber in realtà sono quasi polacche e Petkovic è figlia della triste diaspora jugoslava. Ma con questi discorsi ci si incamminerebbe su una china pericolosa, che preferirei non percorrere; anche perché oggi vorrei concentrarmi su un'altra tennista. Una tennista, guarda caso, anche lei talentuosa e discontinua, imprevedibile e umorale: Mona Barthel.

Il 18 marzo 2013 Barthel aveva raggiunto il suo best ranking (numero 23). A distanza di un anno, al termine del torneo di Indian Wells 2014 e con i punti non confermati in uscita, si dovrebbe ritrovare attorno alla 85ma posizione (il dato esatto dipende da cosa faranno in settimana alcune giocatrici dietro di lei). Una brutta piega per una carriera anomala che però fino a poco tempo fa aveva avuto il pregio di essere in ascesa. Ascesa discontinua e condotta a strappi, ma comunque caratterizzata dal segno più.

Carriera anomala perché il curriculum di Mona Barthel è diverso da quello della maggior parte delle attuali giocatrici e, nella sua particolarità, molto somigliante agli inizi di Andrea Petkovic.


Entrambe infatti hanno scelto di ritardare l'attività agonistica a favore degli studi; e così solo dopo il conseguimento del diploma di scuola superiore si sono dedicate al tennis. Oggi la preparazione scolastica l'ha resa capace di preparare in prima persona il suo sito ufficiale in cui racconta anche episodi curiosi (come quando dormiva in tenda durante i tornei estivi). In pratica sino a 18 anni ha disputato solo qualche torneo durante il periodo delle vacanze oppure piccoli eventi vicino a casa; l'epoca dei viaggi internazionali e sistematici nel circuito ITF è cominciata successivamente.

E' sufficiente un semplice confronto per spiegare cosa questo ha comportato. Mona Barthel è nata l'11 luglio del 1990, esattamente lo stesso giorno di Caroline Wozniacki. Eppure rispetto alla sua coetanea danese ha percorso strade molto diverse.

Caroline vinceva Wimbledon junior da giovanissima e diventava pro nel 2005, secondo i classici canoni delle baby promesse. Nel settembre 2009 raggiungeva il suo miglior risultato negli Slam (finale persa da Kim Clijsters a Flushing Meadows). In quegli stessi giorni di settembre 2009, Barthel, fresca di diploma, passava professionista, cercando punti validi per crescere nella classifica WTA (era oltre il 500mo posto).
E mentre Wozniacki nel 2010 conquistava il primato nel ranking mondiale, Mona otteneva i primi successi nei piccoli tornei da 10-50 mila dollari di montepremi totale. Insomma: coetanee per carta di identità, ma certo non sul piano tennistico.

Non deve quindi meravigliare che per Barthel il risultato che l'ha portata all'attenzione del grande pubblico sia arrivato solo nel 2012. E per quanto mi riguarda l'ho vista giocare per la prima volta proprio nel torneo della svolta, vinto ad Hobart nel gennaio 2012. Di lei sapevo che era stata semifinalista a Copenhagen 2011, ma non avevo avuto ancora occasione di seguirla. Recuperando uno streaming dalla Tasmania mi sono trovato di fronte ad una giocatrice che per accedere al tabellone principale aveva ancora dovuto passare dalle qualificazioni.

Il suo è stato uno dei pochi casi di fascinazione istantanea che ho provato: mi è bastata una partita per rimanere particolarmente colpito dal suo modo di giocare. Non avevo mai visto nessuna come lei, capace di far viaggiare la palla a velocità altissime senza che trasparisse il minimo sforzo nell'esecuzione dei colpi.

Ricordo ancora che mentre la seguivo per la prima volta ero convinto fosse alta poco più di un metro e 70. La ragione era semplice: non potevo concepire esistesse qualcuna oltre il metro e 80 di statura capace di muoversi con tanta fluidità. In realtà secondo la scheda WTA, Mona risulta essere addirittura 1,85: figlia di un ex atleta (lanciatore del peso degli anni '70) e di una dottoressa, secondo me rappresenta un unicum nel circuito femminile. A maggior ragione dopo aver appreso la sua reale statura,  non ho cambiato idea da quella prima volta: la sua souplesse, la sua naturalezza di esecuzione sono straordinarie.

E' capace di generare potenza e velocità alla palla come per magia, e il solo vederla giocare tanto facilmente per me è uno spettacolo nello spettacolo. Certo, poi c'è la partita, ma già l'esecuzione dei suoi colpi mi sorprende e mi affascina.

Con il passare del tempo ho imparato a conoscerla un po' meglio: il “suo” colpo è il rovescio, possiede un lungolinea che quando è in forma è un tracciante imprendibile. Anche il servizio può essere molto veloce, visto che è in grado di battere oltre i 180 km/h. Può variare anche in kick, e slice.

Il dritto è un colpo meno solido. Nelle giornate di vena sembra poter fare male come con il rovescio, ma quando ci sono i momenti-no saltano fuori i problemi: tende a faticare a trovare tempo e distanza corrette rispetto alla palla. Lo si nota ancora meglio quando viene inquadrata di spalle dal basso: il movimento non è quasi mai costante, “aggiustato” con piccole variazioni estemporanee.

A volte impatta correttamente, con la palla ben davanti al corpo, altre volte invece tende a farsela scappare troppo dietro. Ma soprattutto non è stabile nella distanza dalla palla: invece che lavorare di fino con i piedi, addirittura compensa variando l'angolo del gomito. Inevitabilmente in questi casi il colpo diventa una specie di terno al lotto.Rendimento simile in risposta: incisiva di rovescio, ma erratica con il dritto.

A mio avviso tutti questi problemi derivano da una certa pigrizia nel footwork, che a dispetto della sua altezza secondo me potrebbe essere più efficace, anche perché nei giorni favorevoli dimostra che può muoversi più che discretamente.

Sia di dritto che di rovescio può giocare degli slice per introdurre variazioni di ritmo; variazioni di ritmo che però a mio avviso sono ancora un punto debole: a me in alcune situazioni dà l'impressione di colpire tanto per farlo, come se in alcuni momenti del gioco non avesse chiaro in mente cosa fare e la necessità di rimandare di là la palla la cogliesse impreparata sul piano tattico.

Ama anche cercare la rete, ed è capace di discrete volèe; mentre, curiosamente (vista l'altezza) ha nello smash un evidente punto debole. Non direi tanto sul piano tecnico, quanto sul piano psicologico: troppo spesso mostra di avere paura di sbagliarlo e questo la porta a giocarlo a metà potenza. Se poi per caso ne fallisce uno, si può stare sicuri che quelli successivi diventeranno dei veri e propri appoggi senza la minima decisione, tutti recuperabili da parte delle sue avversarie.

Magari mi sbaglio, ma in campo a me dà l'impressione di timidezza: come se le piacesse giocare a tennis, ma con un atteggiamento particolarmente introverso, più per se stessa che per il pubblico; a volte ho la sensazione che se gli spalti fossero vuoti finirebbe per rendere di più, senza pressioni e meno paura di sbagliare. In passato, per mancanza di killer instinct, ha solo sfiorato successi contro diverse top ten. Ricordo una partita contro Kvitova a Cincinnati e soprattutto una contro la Azarenka schiacciasassi di inizio 2012: era la Vika che lasciava pochissimi game a tutte, e che invece a Indian Wells (torneo che poi avrebbe vinto facilmente) rischiò di essere eliminata all'esordio. Finì 4-6, 7-6, 6-7.

Prima del 2014 Barthel aveva sempre avuto la stessa caratteristica: giocava bene nei primi mesi dell'anno, e poi si spegneva progressivamente con il susseguirsi degli impegni. Ma quest'anno ha cominciato male e inevitabilmente ha finito per perdere tanti punti in scadenza (su tutti la vittoria a Parigi indoor 2013), con conseguente crollo in classifica.
 

Da adesso in poi non ha più molti punti da difendere e c'è quindi la speranza che possa risollevarsi piuttosto in fretta se dovesse tornare a buoni livelli. Io me lo auguro: e non lo dico pensando solo a lei, ma anche a tutti quegli spettatori (come me) che rimangono affascinati dal suo modo speciale di giocare.


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