“Il tennis vuole andare alle Olimpiadi in modo da avere una scusa per andare a vedere l’atletica”. Questo più o meno il pensiero espresso a più riprese dal decano dei giornalisti sportivi italiani, Rino Tommasi, che ha sempre sostenuto come il “matrimonio” tra tennis e Olimpiadi sia sempre stato “difficile”. E se è difficile il connubio con le Olimpiadi, figuriamoci quello con manifestazioni polisportive dello stesso stampo ma di portata e prestigio inferiore, come i Giochi Panamericani che sono in corso di svolgimento a Toronto (12-26 luglio).
L’evento, che si disputa a cadenza quadriennale ed ha raggiunto la sua diciassettesima edizione, vede affrontarsi gli atleti delle 41 Nazioni affiliate al PASO (Pan American Sports Organization), una organizzazione affiliata al CIO (e con il quale condivide il valori della Carta Olimpica) che raggruppa essenzialmente tutti i Paesi del continente americano.
Tra i più di 7000 atleti che si stanno dando battaglia per conquistare medaglie in 35 discipline (ben 7 in più di quelle ammesse alle Olimpiadi) ci sono anche i tennisti, anche se chi non se ne fosse accorto potrebbe essere perdonato. Il torneo di tennis ha visto ben cinque tabelloni (singolare, doppio e doppio misto) con un livello di partecipazione che potrebbe essere equiparato a quello di un Challenger di media importanza.
La testa di serie n.1 del singolare maschile era l’argentino Facundo Bagnis, n.133 della classifica ATP, che si è aggiudicato la medaglia d’oro superando in finale il colombiano Nicolas Barrientos (n.8 del seeding e n.275 del ranking mondiale) per 6-1, 6-2. La finale del bronzo è stata ad appannaggio dello statunitense Dennis Novikov, ex campione nazionale Under 18 nel 2012 ed ora parte della squadra della UCLA (University of California Los Angeles) nel campionato universitario NCAA.
Tra le donne, affermazione per la colombiana Mariana Dunque Marino (n.89 WTA), che da testa di serie n.3 ha prima sconfitto la capolista del seeding Lauren Davis (n.84) in semifinale ed ha poi avuto la meglio in finale della messicana Victoria Rodriguez (n. 321). Il bronzo è andato alla portoricana Monica Puig (n.88), vincitrice dell’altra sconfitta in semifinale Davis.
Nei tornei di doppio, oro nel maschile alla coppia cilena composta da Nicolas Jarry e Hans Podlipnik Castillo, mentre tra le ragazze sono state le padrone di casa del Canada a portare a casa la medaglia del metallo più pregiato con la coppia Gabriela Dabrowski e Carol Zhao, in un tabellone composto solamente da sette coppie. Nel misto, infine, affermazione per gli argentini Guido Andreozzi e Maria Irigoyen sui canadesi Philip Bester e Gabriela Dabrowsky.
Come si può vedere, nessun nome noto al grande pubblico in tutti e cinque i tabelloni, ed anche pochi nomi conosciuti per chi non segua da vicino il circuito Challenger. D’altra parte la collocazione anomala in calendario (tutti gli incontri sono stati compressi in sei giorni, da sabato a giovedì, disturbati peraltro in maniera pesante dalla pioggia nelle fasi finali) e la corrispondenza del weekend iniziale con le finali di Wimbledon non hanno certo aiutato la promozione di un evento che il tennis considera solamente come un male necessario per rimanere con pieno diritto agganciati al carrozzone olimpico, che tanto fa gola ai giocatori ed ai loro sponsor (scegliete voi quale sia la direzione del rapporto causa-effetto).
La mancanza totale di copertura televisiva e la collocazione periferica rispetto al centro di Toronto ed all’epicentro delle altre competizioni, poi, hanno contribuito ad un clamoroso flop di pubblico e di interesse, che ha fatto sì che gli spalti del Canada Tennis Centre siano rimasti desolatamente vuoti anche durante i giorni del weekend. L’impianto è lo stesso che annualmente ospita la Rogers Cup di Toronto, ed essendo chiaramente sovradimensionato per una competizione di questo tipo, ha disperso i pochi spettatori (confusi dalla mancanza di tabelloni elettronici e di microfoni per l’arbitro) in spazi troppo grandi per poter creare anche un minimo di atmosfera. Anche la sala stampa, che siamo abituati a vedere stipata fino all’inverosimile durante i tornei ATP e WTA, era desolatamente vuota, con una media di quasi due volontari per ogni giornalista presente.
Come già accennato, non vi erano tabelloni elettronici sui campi secondari, ed i giudici di sedia dovevano far affidamento alle proprie corde vocali “alla Kader Nouni” per farsi sentire dai pochi spettatori. Solitamente prima dei tornei professionistici i campi vengono preparati all’uopo e ridipinti: in questo caso era abbastanza evidente che non era stato fatto nulla di ciò, trasmettendo una sensazione di torneo di periferia.
Uno degli autisti che ci ha accompagnato nei trasferimenti tra il centro di Toronto e lo stadio di Tennis Canada (a circa 50 km dalla sala stampa principale) ci ha spiegato come la metropolitana dovrebbe raggiungere presto il quartiere universitario della University of York, dove è localizzato l’Aviva Centre (come si chiama da quest’anno) che ospita la Rogers Cup. Dal 2016, dunque, dovrebbe essere più semplice per gli spettatori arrivare alla Masters 1000 canadese, che negli anni in cui si disputa a Toronto fa registrare presenze del 20-25% inferiori rispetto agli anni nei quali si disputa a Montreal. Ma purtroppo la metro non è riuscita ad arrivare in tempo per questi giochi Panamericani, ed il tennis ne ha sicuramente sofferto. Non che avrebbe fatto molta differenza, ma sicuramente avrebbe aiutato.