La recensione

L’ultimo libro di Rino Tommasi

In anteprima assoluta per Ubitennis un passaggio del libro: “Quella volta che mi presentai candidato alla presidenza Fit per non lasciare soli Binaghi e Panatta…”. Ai lettori di Ubitennis Limina offre il 15 per cento di sconto


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Il libro, ultima fatica editoriale di Rino Tommasi, sarà presentato martedì 15 dicembre alle 19 presso FUTBOL CLUB (Viale degli Olimpionici 75, Roma) martedì 15 dicembre. Hanno assicurato la loro presenza Paolo Garimberti, presidente Rai, Nicola Pietrangeli, Nino Benvenuti, Adriano Panatta e Franco Falcinelli, presidente Federazione Pugilistica.

Gianni Brera ha scritto: «Stimo Rino Tommasi uno dei più culti giornalisti sportivi in assoluto, un cervello essenzialmente matematico però capace di digressioni epico-fantastiche quali consente uno sport come il pugilato. Io lo chiamo professore senza la minima ombra di esagerazione scherzosa». E Indro Montanelli, in un libro sull’esperienza della «Voce»: «Berlusconi non ha mai nascosto di considerare Rino Tommasi come il miglior cronista sportivo italiano e la sua trasmissione Fair Play una risposta di civiltà al processo biscardiano». Due dei più grandi giornalisti italiani di ogni epoca con queste parole rendevano omaggio a quello che di buon grado può essere considerato uno dei massimi esperti italiani.

Di seguito potete leggere in anteprima assoluta e in esclusiva per Ubitennis uno stralcio del suo ultimo lavoro, “Da Kinshasa a Las Vegas passando per Wimbledon (Forse ho visto troppo sport)” (Limina editore, 19,90€). Un libro a metà strada tra la biografia e la cronaca, che contiene le esperienze del giornalista sportivo italiano che ha viaggiato di più. 157 trasferte negli Stati Uniti, 138 tornei del Grande Slam, 400 incontri di pugilato valevoli per un titolo mondiale, undici edizioni dei Giochi Olimpici. Pugilato, tennis, calcio sono le discipline delle quali Rino Tommasi si è occupato di più ma l’interesse per ogni aspetto dell’attività sportiva gli ha consentito osservazioni importanti anche al di fuori delle manifestazioni che ha avuto la possibilità di seguire. Un capitolo descrive il particolare ed affascinante rapporto tra lo sport e gli Stati Uniti. Avendo partecipato, in posizione privilegiata, alla nascita di Canale 5 prima e di Telepiù poi, Tommasi offre testimonianze interessanti sulle più importanti trasformazioni avvenute nel nostro paese nel connubio tra lo sport e la televisione. Il doping, la scommessa sportiva, la letteratura, il giornalismo costituiscono alcuni aspetti utili per comprendere la posizione dello sport nel nostro ma anche in altri paesi. Tommasi li ha attraversati e ne scrive con l’autorevolezza che la sua carriera gli consente.


Dirigente dilettante

Il mio rapporto con il tennis si è sviluppato in varie fasi e con diversi ruoli. Sono stato presidente del Comitato Regionale del Lazio, una carica dalla quale ho dato le dimissioni dopo essere stato riconfermato all’unanimità, ho fatto parte insieme a Vanni Canepele ed a Vasco Valerio della Commissione Tecnica, ho fatto il capitano della nazionale italiana (Francia-Italia a Tolosa nel 1964), ho fatto il giudice arbitro degli Internazionali d’Italia. Ho commesso un peccato di civetteria quando ho accettato una candidatura alle elezioni della Federazione Tennis del 2000. L’ho fatto soprattutto perché non volevo che una coalizione formata da Angelo Binaghi ed Adriano Panatta vincesse le elezioni con il 90 per cento dei voti. L’ho fatto anche perché sapevo di non avere alcuna possibilità di successo. Non dico che se avessi voluto avrei potuto vincere ma se fare il Presidente della Federazione fosse stato veramente il mio desiderio certamente mi sarei impegnato di più ma probabilmente avrei perso lo stesso. La verità è, anche se io sono naturalmente un agonista, non volevo vincere. Infatti senza fare una sola telefonata e con una semplice conferenza stampa presso il Circolo Canottieri Roma ho preso il 34,5 per cento dei voti. Dell’Assemblea di Fiuggi mi occuperò più avanti. E’ stata comunque un’esperienza divertente ma che non ripeterò mai più..

Tra l’altro ritengo che fare bene il presidente di una Federazione sia un lavoro a tempo pieno ed io non ho nessuna intenzione, fino a quando avrò le energie di farlo, di cambiare il mio lavoro che è evidentemente incompatibile con quello di dirigente ad alto livello. Uno dei problemi che lo sport, almeno nel nostro paese, non ha mai risolto è quello che riguarda il quadro dei suoi dirigenti. Premesso che il volontariato è fondamentale ed insostituibile nell’organizzazione periferica, è invece necessario che i ruoli centrali e di maggiore responsabilità siano occupati da professionisti, possibilmente reclutati tenendo conto della specificità della materia e delle attitudini personali. E’ evidente che esiste un problema economico di non facile soluzione. Per dirigere una federazione sportiva importante o comunque i settori più delicati dell’intera organizzazione occorrono qualità che possono trovare nelle aziende private condizioni economiche ed opportunità di lavoro molto interessanti. Per battere questa naturale concorrenza è necessario che lo Sport – e per esso il Coni che detiene il monopolio dell’organizzazione sportiva, almeno nel nostro paese – abbia le risorse per incoraggiare le candidature più interessanti, le vocazioni più sicure.

Inoltre non è produttivo il dualismo che inevitabilmente si crea – faccio solo un esempio – tra il presidente ed il segretario generale di una qualsiasi federazione sportiva. Il presidente è quasi sempre un dilettante nel senso che non percepisce uno stipendio (molto spesso ha una sua attività professionale e si occupa della sua federazione part-time), il segretario è un professionista che può, anzi deve, dedicare tutto il proprio tempo e le proprie energie alla conoscenza ed alla soluzione dei molti problemi che l’organizzazione della sua disciplina comporta. Ne consegue che di regola il segretario ha una preparazione specifica superiore a quella del presidente a meno che non svolga il suo incarico con la stessa indifferenza con la quale svolgerebbe un qualsiasi altro lavoro. Di qui la necessità che il reclutamento avvenga dopo una opportuna valutazione non solo delle qualità professionali ma anche della quota di interesse che un candidato ha per lo sport di cui deve occuparsi oltre che per lo sport in genere.

Temo che negli ultimi tempi questa quota sia diminuita anche perché nell’ambito del Coni vediamo che può succedere che il segretario di una Federazione venga da un giorno all’altro destinato ad un’altra. E’ vero che succede anche nel governo che il Ministro dei Lavori Pubblici diventi Ministro della Difesa, ma mi piacerebbe che lo sport copiasse il meno possibile dalla politica. Anni fa al presidente appena eletto di una Federazione sportiva il Coni offrì di scegliere come segretario tra due funzionari che potevano essere disponibili. “Ho scelto immediatamente il più stupido !” mi confidò quel presidente , facendomi capire che non voleva avere tra i piedi un collaboratore che, proprio perché bravo e competente, poteva essere fastidioso ed ingombrante. Mi scuso di lasciare questo esempio nell’anonimato ma fare dei nomi potrebbe essere un’inutile cattiveria nei confronti di quel presidente e del segretario prescelto. Pur rendendomi conto che la mia affermazione possa suonare come una bestemmia, penso che lo sport sia ammalato di democrazia. Infatti per vincere le elezioni e per diventare presidente di una Federazione bisogna firmare tante cambiali, voglio dire bisogna fare tante promesse che quasi sempre, per essere mantenute, comportano un errore.

Editrice Limina – pag. 302 - € 19,90
 

Luigi Ansaloni

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