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07/11/2010 18:55 CEST - FED CUP

Fed Cup: tops e flops

TENNIS - A un passo dalla terza soddisfazione che le nostre ragazze possono regalarci in cinque anni, guardiamo le più grandi e le più deboli formazioni ad aver vinto la competizione del mondo di tennis al femminile. Dalla cenerentola Sud Africa allo strapotere di Steffi Graf, ecco a voi una top e una "flop" 3 estrapolate dai 47 anni di storia della sorella minore della Coppa Davis. Riccardo Nuziale

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Oggi (ci?) verrà assegnata la 48a Fed Cup (ex Federation) della storia e, nell’attesa di poter vedere se le nostre ragazze porteranno a casa il secondo trofeo consecutivo, è nata in noi la curiosità di guardare indietro e vedere la storia di questa competizione; le campionesse che vi hanno giocato e vinto, ma anche le formazioni che, pur denotando limiti tecnici e/o di prestigio evidenti, sono riuscite a conquistare il titolo. Quali sono, insomma, le migliori e le peggiori formazioni all time della Fed Cup? Abbiamo scelto un podio per entrambe le categorie, disponendo i gruppi in ordine “dantesco”: partendo dal fondo, ovvero dalla più scarsa, per poi salire fino alla più forte. Buon viaggio.

LE PEGGIORI

1. SLOVACCHIA 2002 – A conferma di una sensazione diffusa tra gli appassionati, ovvero che il tennis femminile sia in preoccupante crisi, portiamo subito un dato emblematico: dal 1963, anno della fondazione della Federation Cup, al 2000, solo una nazione ha alzato il trofeo con braccia non vincitrici di Slam, vale a dire il Sud Africa nel 1972 (ad essere estremamente pignoli, anche la Cecoslovacchia nel 1988, dove Helena Sukova, già vincitrice nei tornei di doppio di Wimbledon e US Open, giocò solo in singolare, mentre Jana Novotna aveva sì quell’anno trionfato in Australia e negli Stati Uniti, ma nel doppio misto); negli ultimi 10 anni l’episodio si è ripetuto quattro volte, con Belgio (2001), Slovacchia (2002) e Italia (2006 e 2009). Scartando immediatamente il Belgio, che vinse i singolari grazie a due giocatrici che negli anni successivi si sarebbero imposte prepotentemente ai vertici (nominarle sarebbe un’offesa all’intelligenza del lettore), rimangono la squadra della Hantuchova e, ahinoi, le nostre ragazze. A conti fatti, scegliamo di assegnare il ben poco ambito primato alla Slovacchia non per patriottismo, ma per diverse considerazioni. Innanzitutto, punto più importante, la nostra nazionale è riuscita in seguito a vincere uno Slam, cosa mai riuscita alla Hantuchova, mai andata oltre una semifinale e che al momento della vittoria aveva in palmares un solo titolo, seppur prestigioso come quello di Indian Wells (va aggiunto, ad onor di cronaca, che in doppio ha un palmares importante), né tantomeno alla Husarova, comunque discreta singolarista (best ranking 31, un ottavo in Australia) e buona doppista (best ranking 3, nel 2002 fece finale a Flushing Meadows e vinse il Master con la Dementieva); punto secondo, mentre il nostro gruppo ha saputo mantenere una continuità di rendimento e risultati di prima categoria, con quattro finali intervallate dal solo passo falso di Napoli 2008 contro la Spagna, la Slovacchia si è dimostrata un’assoluta meteora, scomparendo nelle retrovie immediatamente. Va poi ricordato che le due singolariste della nazione vincitrice nel 2002, al momento della vittoria, vantavano un trofeo (uno) a livello WTA. Impressionante. Di certo, però, poco meglio fecero le nostre nel 2006, con quattro titoli (anzi, l’Indian Wells della Hantuchova vale più dei quattro titoli minori delle azzurre). La finale del 2002 fu vinta e per follia tattica della Spagna che, pur giocando in casa, scelse il cemento indoor, e per una formazione avversaria, quella spagnola, che annoverava due giocatrici al tramonto: la Sanchez Vicario, che avrebbe dato l’addio al tennis proprio in questa finale, e Conchita Martinez, che comunque combatté con grande onore. L’Hantucova, una Sanchez Vicario tutto fuorché competitiva e la meteora Serna furono più che sufficienti per assegnare il titolo.

Palacio de Congresos de Maspalomas, Gran Canaria, Spagna
2-3 novembre 2002
Cemento (indoor)

SLOVACCHIA b. SPAGNA 3-1
Conchita Martinez (SPA) b. Janette Husarova (SVK) 6-4 7-6
Daniela Hantuchova (SVK) b. Magui Serna (SPA) b. 6-2 6-1
Daniela Hantuchova (SVK) b. Conchita Martinez (SPA) 6-7 7-5 6-4
Janette Husarova (SVK) b. Arantxa Sanchez Vicario (SPA) 6-0 6-2

2. SUD AFRICA 1972 – Non hanno mai vinto un torneo di singolare. In doppio 5 tornei. Negli Slam una delle due raggiunse la finale ’67 del Roland Garros, per il resto assolute comprimarie. Eppure le sudafricane Brenda Kirk e Pat Walkden, nel torneo giocato in casa, il 24 e 25 marzo 1972 riuscirono a battere prima gli Stati Uniti (in cui, curiosità cinefila, giocava Linda Tuero, futura signora Blatty; i due si conobbero sul set de L’Esorcista, dove la Tuero ha una comparsa), poi la Gran Bretagna di Virginia Wade. Quest’ultima, con il ritiro di Ann Jones nel 1970, rimase l’unica giocatrice di valore di una squadra completata da Winnie Shaw, che giocò il singolare nonostante la sua mediocrità nella specialità (nel doppio invece fece finale al Roland Garros), e Joyce Williams, che in Federatio Cup vanta un record appena sufficiente (6 vittorie e 5 sconfitte). Dominato il primo match dalla Wade nei confronti della Walkden, la Kirk riuscì a rimontare un set di svantaggio alla Shaw per poi vincere piuttosto facilmente, con l’affiatata compagna, il doppio britannico, composto dalla Wade e dalla Williams. Attenzione però: a chi potrebbe pensare che le sudafricane ballarono una sola estate, diciamo che le due riuscirono quasi a ripetersi l’anno seguente, portando nuovamente in finale la propria nazione. In quell’occasione, però, trovarono nell’Australia della Goolagong un avversario davvero troppo ostico e vennero sconfitte nettamente 3-0.

Ellis Park, Johannesburg, Sud Africa
25 marzo 1972
Cemento

SUD AFRICA b. GRAN BRETAGNA 2-1
Virginia Wade (GBR) b. Patricia Walkden (SOU) 6-3 6-2
Brenda Kirk (SOU) b. Winnie Shaw (GBR) 4-6 7-5 6-0
Brenda Kirk/Patricia Walkden (SOU) b. Virginia Wade/Joyce Williams (GBR) 7-5 6-1

3. ITALIA 2006 – Nel ben poco piacevole dovere di scegliere una delle due formazioni che tanto hanno dato al nostro tennis, scegliamo la prima, quella del 2006. Perché se è vero che in quell’occasione le nostre vinsero sempre fuori casa (caso più unico che raro), trionfando nelle difficili trasferte francesi e spagnole, è altrettanto vero che quella formazione non aveva ancora il prestigio, la consapevolezza e l’autorità maturata negli anni successivi. Inoltre, se l’anno scorso (e quest’anno?), seppur per manifesta inferiorità di un avversario ridicolo per la storia del tennis del suo Paese, vincemmo inequivocabilmente sul campo, nel 2006 una Henin monca ci stava da sola umiliando e solo il suo ritiro per crescenti problemi fisici ci diedero il terzo punto, quello del doppio, e quindi la coppa. Senza dimenticare che, sotto 1-2, il secondo punto arrivò con non poche difficoltà, con la vittoria in rimonta della Santangelo sulla Flipkens, carta della disperazione di un Belgio che non poteva contare sulla Clijsters. In definitiva, come la nazionale maschile di calcio di quello stesso anno, quella formazione vinse per una compattezza di gruppo e una voglia di vincere che mascherava e andava ben oltre i propri limiti. La grandezza di Schiavone, Pennetta e le altre è stato (a differenza dei maschietti del calcio) quella di fissare, con quella vittoria, un punto di partenza e non di arrivo. Non possiamo quindi che essere orgogliosi di un gruppo che ha riacceso un po’ di passione nelle sopite coscienze nazionalpopolari per quanto riguarda il nostro sport.

Spiroudome, Charleroi, Belgio
16-17 settembre 2006
Cemento (indoor)

ITALIA b. BELGIO 3-2
Francesca Schiavone (ITA) b. Kirsten Flipkens (BEL) 6-1 6-3
Justine Henin (BEL) b. Flavia Pennetta (ITA) 6-4 7-5
Justine Henin (BEL) b. Francesca Schiavone (ITA) 6-4 7-5
Mara Santangelo (ITA) b. Kirsten Flipkens (BEL) 6-7 6-3 6-0
Francesca Schiavone/Roberta Vinci (ITA) b. Justine Heninh/Kirsten Flipkens (BEL) 3-6 6-2 2-0 ret.

LE MIGLIORI

3. GERMANIA 1987 – Ovvero quando si comincia a fare sul serio. La diciottenne Steffi Graf nel 1987 cominciò a far capire al mondo chi fosse vincendo il primo Slam, battendo a Parigi la Navratilova, per poi essere battuta in finale dalla stessa statunitense a Wimbledon. In seguito, a fine stagione, avrebbe fatto finale anche negli States (sconfitta ancora dalla Navratilova) ed avrebbe vinto il Master. In mezzo, nella settimana tra il 26 luglio e il 2 agosto, la futura signora Agassi vinse quasi da sola la Federation Cup, battendo la Sabatini nei quarti, la cecoslovacca Mandlikova sia in singolare che in doppio (il curriculum dell’avversaria diceva 4 Slam in singolo, due finali Slam e un Master in doppio) in semifinale e Chris Evert, anch’ella in entrambe le specialità, in finale. A darle una mano la specialista del doppio Claudia Kohde-Kilsch, fresca regina di Wimbledon. Un trionfo per Steffi, un fortissimo segnale di quello che sarebbe arrivato l’anno successivo, il magico ’88 del Grande Slam. Saremo forse ingenerosi nei confronti della Kohde-Kilsch, la quale vanta 9 finali Slam in doppio, di cui due vinte, ma probabilmente mai come in quella edizione si poté parlare di one woman team, un equivalente tennistico dell’Argentina di calcio di Messico ’86. Tecnicamente sarebbe quindi inesatto parlare di terzo team di sempre, ma i fuoriclasse hanno questa caratteristica: zittiscono tutti.

Hollyburn Country Club, Vancouver, Canada
2 agosto 1987
Cemento

GERMANIA b. STATI UNITI 2-1
Pam Shriver (USA) b. Claudia Kohde-Kilsch (GER) 6-0 7-6
Steffi Graf (GER) b. Chris Evert (USA) 6-2 6-1
Steffi Graf/Claudia Kohde-Kilsch (GER) b. Chris Evert/Pam Shriver 1-6 7-5 6-4

2. AUSTRALIA 1971 – Nessuna nazione più dell’Australia rimpiange un passato glorioso che ora sembra lontanissimo. L’albo d’oro è impietoso: nelle prime 18 edizioni (quando la Federation Cup era la Federation Cup) le “cangurine” sono andate in finale 15 volte, vincendo 7 trofei. Negli ultimi 30 anni (periodo in cui la Federation Cup ha progressivamente perso valore, raggiungendo le bassezze odierne) due finali, entrambe perse, di cui l’ultima nel 1993. Meglio quindi parlare di quando l’Australia era una superpotenza assoluta, sia in campo maschile che femminile. Delle sette edizioni vinte, la più bella rimane probabilmente quella del 1971, anno in cui Margaret Court (che all’epoca aveva già vinto 22 dei suoi 24 Slam in singolare, 15 dei 19 in doppio e 17 dei 19 in misto) e Evonne Goolagong (vincitrice quell’anno dei suoi primi due Slam in singolare e il primo in doppio: ne avrebbe poi vinti rispettivamente sette e sei, più uno nel misto) composero una delle formazioni più vincenti di sempre e batterono, sulla terra battuta di casa, la Gran Bretagna di Virginia Wade e Ann Jones, che al momento della finale, di Slam, ne avevano a loro volta quattro. Quella fu l’ultima partecipazione della grande Margaret, che non segnò però la fine dell’Australia; a partire dal 1973, infatti, questa conquistò 8 finali consecutive (record assoluto), sebbene solo le prime due siano poi andate effettivamente a buon esito. L’oblio sarebbe arrivato dopo.

Royal King’s Park Tennis Club, Perth, Australia
29 dicembre 1970
Terra

AUSTRALIA b. GRAN BRETAGNA 3-0
Evonne Goolagong (AUS) b. Virginia Wade (GBR) 6-4 6-1
Margaret Court (AUS) b. Ann Jones (GBR) 6-8 6-3 6-3
Margaret Court/Lesley Hunt (AUS) b. Virginia Wade/Winnie Shaw (GBR) 6-4 6-4

1. USA 1989 – Impossibile non assegnare il primo posto ad una nazione che, con 27 finali, di cui 17 vinte, ha scritto la storia di questa competizione e, con tutto il rispetto per le comunque fortissime formazioni degli anni 90, con le varie Davenport, Capriati, Seles e Williams, a nostro avviso (anzi, ad avviso dell’albo d’oro) gli Stati Uniti da leggenda non possono che essere quelli delle sette vittorie consecutive (1976-82), l’invincibile corazzata con Billie Jean King, Rosie Casals, Chris Evert, Tracy Austin e, nell’ultimo anno, Martina Navratilova, diventata cittadina statunitense nel 1981. In carriera, in totale, sono 50 Slam nel singolare e 81 nel doppio (misto compreso). Ogni parola di commento sembra superflua. Nelle nostre preferenze, però, prevale la compagine del 1989, per un semplice motivo: è l’ultimo trionfo delle due amiche-nemiche Chris e Martina. La fine di un’era per gli Stati Uniti, non solo simbolica: quella fu infatti l’ultima partecipazione tout court per la Evert, in singolare per la Navratilova, che sarebbe tornata in doppio solo nel ’95 e nel biennio 2003-04. Edizione 1989 naturalmente dominata dalle statunitensi, la cui formazione era completata dalla coppia olimpica in carica Garrison-Shriver (altri 25 Slam di doppio tanto per gradire; anche se la Shriver, avendo come compagna la Navratilova…): 14 vittorie su 14, dominando in finale la Spagna delle due stelle emergenti Sanchez Vicario e Martinez (allora diciassettenni). Unico momento di sbando, il 6-0 preso ad inizio partita da Martina contro la Sanchez. Quello fu il secondo e ultimo set perso dalle statunitensi (curiosamente entrambi da Martina: il primo in semifinale contro la cecoslovacca Sukova) in quattordici partite. Ulteriore dato statistico a conforto di una squadra che, ben aldilà delle statistiche, ha incarnato la storia del tennis femminile.

Ariake Coliseum, Tokyo, Giappone
9 ottobre 1989
Cemento

STATI UNITI b. SPAGNA 3-0
Chris Evert (USA) b. Conchita Martinez 6-3 6-2
Martina Navratilova (USA) b. Arantxa Sanchez Vicario 0-6 6-3 6-4
Zina Garrison/Pam Shriver b. Conchita Martinez/Arantxa Sanchez Vicario 7-5 6-1
 

Riccardo Nuziale

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker