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07/12/2010 00:58 CEST - IL PERSONAGGIO

Troicki, la classe operaia in paradiso

TENNIS - Nonostante il maggior contributo "numerico" di Djokovic, è Viktor Troicki l'inatteso eroe della finale di Davis vinta dalla Serbia sui francesi: portare il punto decisivo ha sempre un sapore speciale. La parabola del 24enne di Belgrado somiglia in molti punti a quella di Verdasco, bello ed incompiuto fino alla finale 2008 con l'Argentina e poi finalmente sbocciato. Ecco il suo profilo, dalle incertezze del passato alle prospettive future. Samuele Delpozzi

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 Alla fine i pronostici sono stati rispettati: la Serbia ha conquistato la prima Coppa Davis della sua breve storia, battendo la Francia con uno sprint clamoroso, e la Beogradska Arena ha potuto celebrare un nuovo eroe nazionale. Non quello che tutti attendevano, però: a siglare il punto decisivo non è stato il figliol prodigo Djokovic (pur principale artefice del successo, a conti fatti), ma un incantevole deuteragonista, al secolo Viktor Troicki. Un giocatore certamente dotato, ma finora oscurato da connazionali più vincenti o celebri... e non stiamo parlando del solo Nole. Anche il "dostoevskiano" Tipsarevic – ex numero 1 giovanile e notevole personaggio, tra occhiali trendy, tatuaggi e raffinate citazioni inneggianti alla bellezza – ed il gran voleador Nenad Zimonjic avevano finora avuto maggior impatto mediatico, per tacer delle reginette Ivanovic e Jankovic.
Ora, per parafrasare un noto cantautore, the times they are a-changin': la riscossa di Viktor passa anche da Ubitennis, che lo ha eletto personaggio della settimana e pertanto meritevole di una monografia. Andiamo a conoscerlo meglio.

Nato a Belgrado il 10 febbraio 1986 da una famiglia di origine russa (i nonni paterni emigrarono da Tver', città imperiale non lontana da Mosca, in piena rivoluzione), inizia a maneggiare la sua prima racchettina a 5 anni, incoraggiato da papà Aleksandar. L'approccio al tennis non è però da classico predestinato – vedi Nole, che già in fasce si preparava il borsone con meticolosità da piccolo professionista – ma, come molti ragazzi dalla sua età, il piccolo Vik disperde la sua energia in molteplici attività sportive, calcio in primis: già piuttosto alto e dotato di grande rapidità sotto porta, il nostro si diverte a giocare nel ruolo di attaccante, dividendosi quasi equamente tra racchetta e pallone fino all'adolescenza. All'interno della nota polisportiva belgradese del Partizan, storica rivale cittadina della Stella Rossa, inizia ad allenarsi con il primo coach Nenad Trifunovic, ma sono tempi infausti per la Jugoslavia, in piena disgregazione: la scarsità di infrastrutture adeguate, distrutte o danneggiate dalla guerra in corso, ed i visti concessi col contagocce dal governo, costringono le altre giovani promesse ad appoggiarsi a soluzioni di fortuna – sì, stiamo parlando anche della ben nota piscina prosciugata della Ivanovic – ed in molti casi a saltare competizioni estere, ad iscrizione già avvenuta.

Nel 1999, la famiglia Troicki prende la più classica (e rischiosa) delle decisioni: investire tutto sul figlio promettente. Così, grazie agli sforzi dei genitori, Viktor emigra in Florida, alla Gary Castles Academy di Boca Raton, dove rimane per due anni. Segue la trafila dei tornei juniores, dove il nostro si distingue per aver impedito il Grande Slam giovanile a Gael Monfils, sconfitto al terzo turno dell'US Open 2004.
Allo scoccare del diciannovesimo anno di età, altro bivio cruciale: tornare negli Stati Uniti per completare gli studi, oppure giocarsi la carta del professionismo? Anche in questo caso, a posteriori, si può dire che il rischio abbia pagato: arrivano subito una vittoria "future" a Belgrado e la finale nel challenger di Banja Luka a donare la necessaria tranquillità economica per programmare il futuro.
Da allora, pur senza bruciare le tappe, Viktor aggiunge qualche nuovo tassello ogni anno. Nel 2006, al debutto ATP a Tokyo, gioca per sua stessa ammissione una delle migliori partite in carriera, costringendo Federer a due faticosi tie-break. L'anno seguente piega Djokovic ad Umag, dove poi raggiunge le semifinali, e sfiora i primi 100 a fine stagione. Nel 2008 batte Roddick e conquista la sua prima finale sul cemento di Washington, superato da un infuocato Del Potro, risultato doppiato a Bangkok 2009 contro Simon. Risale invece a poco più di un mese fa il primo centro pieno in singolare, alla Kremlin Cup di Mosca, impreziosito dai cadaveri eccellenti di Tsonga e Baghdatis. Restano una dolente nota gli Slam, finora mai oltre il terzo turno: gridano ancora vendetta le occasioni gettate all'ultimo Wimbledon – 2 set di vantaggio dissipati contro Melzer – ed all'US Open, dove, pur giocando un gran tennis, non riesce ad assestare il colpo del k.o. ad un Djokovic in sua completa balìa.
La mancanza di killer instinct resta infatti il principale tallone d'achille, come si evince da un altro paio di “eroiche sconfitte” autunnali: a Tokyo si issa a 2 match point contro Nadal, ma nonostante 26 aces finisce per perdere al tie-break decisivo; a Basilea si porta 6-5, 40-0 sul proprio servizio, ma cede ancora una volta all'amico Nole, assai più spietato.
La fragilità caratteriale lo penalizza anche in Coppa Davis, competizione ad estrema sollecitazione nervosa, come dimostrano le ripetute esclusioni a favore di Tipsarevic, peggio classificato ma capace di esaltarsi nel gioco di squadra. Proprio Janko, eroe della semifinale contro la Repubblica Ceca, sembra relegarlo all'ennesimo ruolo di rincalzo anche contro la Francia, accaparrandosi un po' a sorpresa il posto da secondo singolarista il venerdì. A versare altro sale sulle ferite, la sconfitta in doppio assieme a Zimonjic da 2 set avanti. Ma proprio quando ormai la sua fama di "choker" sembra consolidarsi irrimediabilmente, ecco il colpo di scena: viene ributtato nella mischia in singolare, favorito dall'indecorosa prestazione di Tipso contro Monfils.
Quel che ne segue è già storia, seppur recentissima.

Il 5 novembre 2010, giorno della demolizione di Llodra, potrebbe aver segnato un'importante svolta, sull'onda lunga di quanto accaduto due anni orsono a Fernando Verdasco. Anche il mancino madrileno, alla vigilia della finale di Davis con l'Argentina, era considerato talento incompiuto, uno scellerato dissipatore di se stesso... troppo incostante per impensierire i migliori, oscurato anche in patria da giocatori più concreti. Apparentemente condannato al limbo di un'aurea mediocritas. Poi, come un fulmine a ciel sereno, l'inatteso sacco di Mar del Plata: Nando, subentrato in extremis ad un Ferrer in condizioni disastrose, siglò il punto del 3-1 a spese di Acasuso. Il sapore genuino del trionfo segnò l'inizio di un nuovo corso nella carriera dello spagnolo, finalmente consapevole dei propri mezzi (e dei sacrifici necessari per metterli a frutto...) e pronto, di lì a poco, a sbarcare nella top-10.
Viste le doti non indifferenti del serbo – fondamentali piatti e filanti, servizio "a catapulta" potenzialmente devastante, ottima ribattuta e discreta mano – non è da escludere che l'insalatiera possa avere nuovamente un potere corroborante. Insomma, se son rose fioriranno, già a partire dal prossimo grande banco di prova rappresentato dall'Australian Open.
Noi, quantomeno, gli auguriamo che non sian cachi.

Samuele Delpozzi

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker