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21/03/2011 13:18 CEST - Indian Wells

Gasquet: sarà vera gloria?

TENNIS - La Francia ha sbagliato i suoi sogni con il suo figlio più atteso? Dalla copertina di Tennis Magazine a nove anni le aspettative hanno travolto Richard Gasquet. E non gli è bastato arrivare a vincere su tutte le superfici a 21 anni ed entrare in top-10 per non essere considerato una delusione. Ora dopo quasi due anni rientra nei primi 20 del mondo. Alessandro Mastroluca

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La carriera di Gasquet è come una soap opera. Una di quelle senza una trama definita, in cui gli eventi si susseguono per improvvisazione e per inerzia, una storia episodica e raramente strutturata. Richard è un mosaico con una tessera mancante, un punto interrogativo costante.

Fragile è forse l’aggettivo più usato per descriverlo. Eppure la sua è una storia di cadute rovinose e di ardite risalite. A 21 anni era già nella ristrettissima élite di giocatori capaci di vincere almeno un torneo su tutte le superfici. Nel 2007 era già top-10 e sembrava destinato a dare risposta affermativa alla domanda che campeggiava sotto la sua faccia di bambino, a nove anni, sulla copertina di Tennis Magazine: ″E’ Richard G il campione che la Francia sta tanto aspettando?″.

Un po’ come Henman, Gasquet è stato vittima di quella reputazione che si era creato già da piccolo, quella di futuro numero 1. E’ arrivato ad essere Junior World Champion, a 16 anni. E ancora prima, a 15 anni e 10 mesi, era diventato il più giovane negli ultimi dieci anni a vincere un match nel circuito maggiore, contro Squillari (n.54 del mondo, noto per essere l’ultimo mancino prima di Nadal ad aver vinto contro Roger Federer).

Quando la barra delle aspettative è così alta, ogni traguardo appena inferiore diventa un fallimento agli occhi degli altri. Il suo fisico, però, le sue spalle strette, non erano ancora pronti per il grande salto. Che fosse un prodigio tecnico era ormai assodato, ma molti pensavano che avrebbe dovuto raggiungere i massimi livelli molto prima.

Certo non l’ha aiutato l’esplosione di Rafa Nadal, di soli 15 giorni più giovane ma già con i muscoli di un veterano del circuito: il confronto aggiunge dubbi a dubbi.

Il 2007 è un’epifania. Rimonta uno svantaggio di due set contro Roddick nei quarti a Wimbledon, in quella che probabilmente rimane la più grande partita della sua carriera, ma agli Us Open, per una tonsillite, dà forfait al secondo turno contro Donald Young. I critici lo attaccano: perché non ha almeno provato a scendere in campo? E cresce la fama negativa di essere uno che rifugge dalla lotta, di essere un perfetto giocatore da esibizione.

Subito dopo quel ritiro, il coach di allora, Deblicker, chiede aiuto a Noah, esempio nazionale di carisma e personalità. Una settimana dopo Gasquet vince Mumbai cedendo solo 20 game.

″La collaborazione con Yannick mi ha molto aiutato″ ha detto. ″Lui conosce il tennis, io ho ascoltato con attenzione ogni piccolo consiglio che mi ha dato. Mi ha detto senza giri di parole alcune cose che secondo lui non facevo bene, ma da lui accettavo ogni critica. Faccio fatica, invece, ad accettarle da parte di tanti altri che non sanno niente di tennis ma pretendono di avere il diritto di dirmi quello che devo fare″.

In fondo, la fragilità di Gasquet, più che dal fisico mingherlino, deriva dalla difficoltà di venire a patti col giudizio degli altri, dalla frustrazione che nasce dal sapere di avere in teoria le qualità per essere all’altezza delle aspettative e dal non riuscire a passare dalla teoria alla pratica.

Dal 2002, anno di debutto tra i pro, ad oggi ha cambiato dieci coach, più del Paris Saint-Germain, la squadra mangia-allenatori della Ligue 1, travolta dalla stessa discrasia tra aspettative e risultati. Dopo l’insistenza sulla preparazione fisica sperimentata con Deblicker e Gabriel Markus, l’ultimo cambio ha portato a Riccardo Piatti, capace di grande attenzione alle componenti mentali del gioco e dei giocatori.

Piatti continuerà a seguire anche il suo ″figlioccio″ Ljubicic, mentre Grosjean resta all’angolo di Gasquet come advisor. Le sue espressioni di incitamento e frustrazione durante le fughe illusorie ad inizio set contro Djokovic sono le espressioni di tutta una nazione che inizia a sentire di aver sbagliato i suoi sogni. Una nazione che ha inventato lo stile, con Suzanne Lenglen che si presentava con le gonne sopra le caviglie e sorseggiava brandy tra un set e l’altro a Wimbledon, e che ha creduto nello stile classico, fatto di eleganza e rovesci a una mano, di Gasquet.

Ma lui negli ultimi tempi, i sogni si sono scontrati con la realtà del bacio alla coca, la sospensione, la causa al Tribunale arbitrale dello sport, con una stagione di Davis vissuta da comprimario e l’infortunio alla spalla che l’ha costretto a saltare la trasferta in Austria. Quella spalla su cui sta lavorando per costruire un movimento di servizio in grado di dargli qualche punto facile in più. E in questo Piatti può essergli molto utile perché lavora molto sul servizio e insiste sul valore della ″spalla retroattiva″, quella postura che permette di far partire il movimento molto indietro e otttimizzare la fase di caricamento.

La nazione ha gioito con l’istrionismo di Monfils, con la comunicativa e la muscolarità di Tsonga, con la testardaggine di Simon. E un anno fa sembrava aver perso le speranze in Gasquet, precipitato al n.67 del mondo e battuto in due set da Simon Greul a Indian Wells.

Dodici mesi dopo, gli episodi stanno scrivendo un diverso finale. Nel primo Masters-1000 della stagione Gasquet ha battuto per la prima volta in carriera due top-10 nella stessa settimana, Roddick e Melzer, e da lunedì ritroverà un posto nei primi 20, dove manca dal 22 giugno 2009. In fondo, è questo il bello delle soap opera, che non finiscono mai.

Alessandro Mastroluca

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