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29/06/2011 09:12 CEST - Programmazione

Vogliamo il 'middle sunday'!

TENNIS - Il tennis senza la copertura ed il denaro delle televisioni non sarebbe uno degli sport più popolari al mondo. Ma fino a che punto gli organizzatori dei tornei possono spingersi a stravolgere la programmazione più 'naturale' per venire incontro alle esigenze della tv? Da Wimbledon a Parigi alla Davis le programmazioni inconsuete stanno diventando la norma. Vanni Gibertini

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Durante la passata “middle Sunday” di Wimbledon, quando tradizionalmente le Doherty Gates rimangono chiuse ed il torneo si prende una giornata di pausa, i commenti che rimbalzavano nella blogosfera tra Twitter e Facebook, da giocatori a giornalisti a semplici appassionati, erano tutti più o meno dello stesso tono: “Guarda qui, una splendida giornata di sole, con tutta la gente che avrebbe un sacco di tempo per seguire gli incontri, ed invece siamo costretti a giocare tutti gli ottavi di finale lunedì quando magari piove”. Le uniche tre volte (1991, 1997 e 2004) nelle quali i ritardi causati dalla pioggia costrinsero i dirigenti dell’All England Club a rompere la tradizione ed a giocare la domenica di mezzo, il successo fu straordinario: decine di migliaia di persone si misero in fila per acquistare tutti gli °unreserved seats” per campi principali e secondari, introducendo per la prima volta la “ola” e suscitando l’entusiasmo di tutti i giocatori.

Ma fino a che punto è lecito piegare la tradizione e le consuetudini del gioco per soddisfare le esigenze commerciali del torneo? Alcune manifestazioni non si fanno certo problemi, con in testa gli US Open, che per accontentare la CBS (che paga 21 milioni di dollari l’anno per i diritti di trasmissione in chiaro) non esitano a programmare semifinali e finali dei tabelloni di singolare in giorni consecutivi. Ma anche il Roland Garros quest’anno ha rischiato seriamente di dover sospendere la seconda semifinale maschile per oscurità per il desiderio di cominciare alle 14 anziché alle 13 ed offrire così un orario di inizio più comodo per la diretta dell’americana NBC. E l’ultimo esempio in ordine di tempo ce l’ha fornito la federazione inglese LTA, che su pressioni di British Eurosport ha programmato i primi due singolari del prossimo match di Davis Gran Bretagna - Lussemburgo (in programma dall’8 al 10 luglio a Glasgow) a partire dalle 16, quindi troppo presto per venire incontro a chi il venerdì lavora, e troppo tardi per consentire il completamento di due partite 3 set su 5 in tempo per la chiusura dei quotidiani.

Il desiderio di offrire montepremi sempre più alti e di costruire un prodotto sempre più attraente per gli sponsor costringe i tornei grandi e piccoli a dar fondo alla creatività nelle programmazioni, qualche volta anche a scapito della regolarità dei tornei. Le sessioni serali, per esempio, che sono ormai diventate una presenza fissa di quasi tutti i Masters 1000 (solo Montecarlo non ne fa uso, anche se lo ha fatto in passato) e di due Slam su quattro, contribuiscono a creare delle differenze importanti e del tutto prevedibili nelle condizioni di gioco. Se infatti capita sovente che durante le ore pomeridiane si debba lottare sotto il solleone con temperature ed umidità elevatissime, durante le sessioni serali il fattore resistenza fisica diventa meno importante, e chi gioca con occhiali o lenti a contatto è sicuramente in maggiore difficoltà. Non è difficile trovare nella storia del tennis esempi di tornei condizionati dalla distribuzione dei match tra sessioni diurne e sessioni serali: durante gli US Open 1991, la straordinaria cavalcata del trentanovenne Jimmy Connors verso la sua dodicesima semifinale in carriera fu propiziata dall’aver giocato 3 dei suoi 5 match durante la sessione serale. Per trovare un esempio più recente basta pensare all’Open del Canada 2009, nel quale Juan Martin Del Potro, dopo aver battuto Nadal e Roddick rispettivamente in quarti e semifinale sotto la luce dei riflettori, venne programmato in finale contro un corridore come Andy Murray alle 13.30, sotto un sole impietoso: l’argentino vinse il primo set, riuscì a trascinarsi fino al tie-break nel secondo dando l’impressione di essere notevolmente affaticato e, una volta ceduto il secondo parziale, crollò di schianto dal punto di vista fisico nel terzo. La nostra netta impressione fu che se l’incontro fosse iniziato alle 16 invece che alle 13.30, probabilmente avremmo avuto un vincitore diverso. E ancora quest’anno a Miami in nuovo n.1 americano e semifinalista Mardy Fish dichiarò: “In questo torneo la differenza tra giocare di giorno o di notte è come… il giorno e la notte. Quando il sole tramonta l’umidità si impenna rendendo le palle più pesanti e le condizioni molto più lente”.

Dunque mentre non passa US Open senza che ci si scandalizzi per il “Super Saturday” e ci si dibatte furiosamente se sia giusto concedere un numero diverso di giorni di riposo ai finalisti dell’Australian Open (dove le semifinali si disputano in giorni consecutivi ed uno dei finalisti ha quindi due giorni di pausa mentre il suo avversario ne ha solo uno), pochi si domandano se sia regolare che, per esempio, sempre a Melbourne, la seconda settimana si giochi praticamente solo di sera, annullando il fattore resistenza fisica che nella calura che di solito caratterizza la quindicina australiana risulta spesso determinante durante i turni preliminari. Tutto in nome degli incassi e degli ascolti televisivi.

Difficile trovare una regola universale per stabilire cosa sia accettabile e cosa invece non lo sia in nome della regolarità del gioco e delle competizioni: i giocatori, che dovrebbero avere tutto l’interesse a limitare fattori esterni condizionanti, sembrano invece sempre più impegnati a spartirsi le ricche rendite da sponsor e televisioni ed a battersi per un calendario più corto con una Coppa Davis in sede unica, piuttosto che preoccuparsi della programmazione delle varie competizioni. Diventa quindi arduo per chiunque voglia ergersi a paladino della regolarità dei tornei sostenere qualunque tesi quando sono i diretti interessati per primi ad ignorare la questione.

Vista quindi la tendenza ad accettare supinamente qualunque soluzione proposta che favorisca audience ed incassi, è interessante chiedersi quali novità ci riserverà il futuro. A nostro avviso appare inevitabile che, non appena verrà completato il nuovo stadio con tetto retrattile al Roland Garros nel 2016, i francesi cercheranno di introdurre le sessioni serali. Sembra infatti il modo più semplice e redditizio per continuare l’inseguimento dei record di presenza di Wimbledon e US Open. D’altronde anche il piano dei lavori di ampiamento pubblicato sul sito del torneo ipotizza una diversa capacità per le sessioni diurne e serali (rispettivamente 40.000 e 15.000 spettatori).
Per quel che riguarda Wimbledon, riteniamo più probabile che si arrivi ad una soluzione che consenta di giocare la domenica di mezzo piuttosto che l’introduzione di una sessione serale. E’ vero che in questa edizione il protrarsi fino a metà serata di alcuni incontri giocati sotto il tetto (alcuni dei quali con l’idolo locale Murray provvidenzialmente in campo) hanno dimostrato che questa soluzione avrebbe un grande successo di pubblico e di audience. D’altra parte però il sistema di illuminazione del Centre Court al momento è utilizzabile solo con il tetto chiuso, e non è pensabile che si chiuda il tetto ogni volta che scende la notte per far giocare incontri serali. Inoltre, se si dovessero disputare 4-5 incontri al giorno su quel campo, il manto erboso che già ora fatica ad arrivare in condizioni accettabili alla fine delle due settimane sarebbe ulteriormente massacrato fino ai limiti della giocabilità.
La domenica di mezzo invece offre molti aspetti positivi (come una sicura fonte di crescita di presenze e incassi) e pochissimi negativi, se si esclude la riluttanza dei residenti di Wimbledon ad accettare folla e traffico per un ulteriore giorno. Ma come la storia ha ampiamente dimostrato, si tratta solo di accordarsi sul prezzo.

Vanni Gibertini

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