12/09/2012 17:42 CEST - US OPEN 2012

Dannati scozzesi, hanno rovinato la Scozia

TENNIS - E' arrivato, alla fine. Una vittoria che ha radici profonde, resa possibile da un campione del passato e figlia di tutte le debolezze di Andy Murray. Una vittoria scozzese, in tutto e per tutto. Karim Nafea

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tifosi e compatrioti di Andy Murray festeggiano la vittoria dello scozzese nel bar del Dunblane Hotel (Photo by Jeff J Mitchell/Getty Images)
tifosi e compatrioti di Andy Murray festeggiano la vittoria dello scozzese nel bar del Dunblane Hotel (Photo by Jeff J Mitchell/Getty Images)

Finalmente Andy! Giustamente celebrata la vittoria dello scozzese, non britannico, scozzese. A Dunblane hanno festeggiato, fino a tarda notte, il figlio prediletto capace di fare quello che 76 anni di inglesissimi tennisti non sono riusciti a fare.
E Ivan, con quell’accenno di sorriso, quanto è stato importante per questa vittoria. L’ha cambiato, rivoltato, un giocatore nuovo, finalmente libero di vincere.
Il lavoro di Ivan il Terribile si è visto sostanzialmente in due aspetti: il dritto e l’approccio alla partita.

Il diritto era, negli scontri di vertice, il tallone d’Achille dello scozzese: riusciva a giocarlo bene, veramente bene, solo in limitate situazioni (quando poteva appoggiarsi alla palla dell’avversario, quando lo anticipava in maniera estrema e quando si trovava a giocare il passante incrociato) e, agli avversari, bastava offrire palle senza peso per girare l’inerzia dello scambio. Ora no, ha risolto il problema delle palle scariche e si è dotato di un’accelerazione di tutto rispetto che, giocata spesso incrociata, permette poi al suo rovescio di esplodere.
L’approccio alla partita: s’era accennato in Australia e nei due Wimbledon, ieri la dimostrazione è stata lampante: le partite, Muzza, non le regala più.
Il tennis mostrato ieri dal terzo giocatore mondiale era ben lontano da quelle che sono le sue possibilità eppure, grazie al fisico ed alla tenuta mentale, è uscito vincitore dalla battaglia. Chapeau.

Altro argomento è la tattica. I due finalisti hanno chiaramente fatto scelte differenti, dettate in parte dalla differente adattabilità al vento e dai precedenti dei due.
La gestione dei primi due set dello scozzese è stata criticata, si è detto che avrebbe dovuto chiudere più in fretta che quelle esitazioni gli sono quasi costate il match.
Ma sono state le scelte a fare la differenza e, molto banalmente, il secondo set ha marcato la differenza decisiva per il match. Non tanto per l’esito, quanto per le modalità. Sono quasi sicuro che se Muzza avesse vinto più velocemente il secondo set la partita sarebbe poi finita a favore di Djokovic.

Lo scozzese ed il serbo non amano il vento. Il primo però ha una varietà di colpi e, cosa più importante, una tipologia di colpi più adatta a giocare in quelle condizioni: il back (che è stato fuori servizio a lungo) ed un lancio di palla più costante e controllato, abbassato all’occorrenza.
Mi è parso logico quindi che lo scozzese confidasse in questo alleato e giocasse con la mente rivolta più al provocare l’errore del serbo che alla ricerca del vincente. Vieppiù razionale la scelta se si considera che lo spirare del vento va ad incidere su quelli che sono i due difetti tecnici del 5 volte campione slam: il diritto in posizione troppo frontale (badate bene, “frontale” è differente da “aperta”) ed il lancio di palla “ballerino”. Anche i movimenti sembravano rallentati, goffi.
L’impressione iniziale è stata che Murray potesse, e deovesse, sfruttare l’aiuto di Eolo per strappare tre set relativamente veloci all’ignaro Novak.
Poi le esitazioni: i break smarriti nel primo parziale, game già vinti inutilmente prolungati, un tie-break ricolmo di occasioni sprecate seppur vinto. C’aveva messo troppo tempo Muzza, si paventava l’ennesimo esito nefasto con la finestra temporale e meteorologica che si andava chiudendo.

All’inizio del secondo parziale Djokovic è apparso diverso, non contrastava più il vento, cercando di palleggiare con Murray, lo evitava sparando pallate (e raramente in campo). Questo comportamento è apparso a molti come una resa ed invece è stata l’ennesima dimostrazione, a mio parere, del genio tattico (lui sì, per davvero) che è il serbo: è stato un azzardo, un superbo tentativo di conquistare la partita, tutt’altro che una resa. Il pensiero del serbo dev’esser stato più o meno di questo genere :“con questo vento, di solo palleggio, non vinco e anzi mi metto ancor più fuori palla”.
Il secondo giocatore mondiale sa due cose:
1) Sta calando il sole e con l’arrivo della sera, a Flushing Meadows, il vento s’indebolisce,
2) I precedenti dicono che l’avversario ha spesso avuto problemi a chiudere le partite importanti e quale partita è più importante di questa?

La conclusione è una: tira. Roda i tuoi colpi, fatti trovare pronto per quando il vento sarà calato, vincere il secondo set non è così importante e tu hai già dato dimostrazione di poter rimontare.
E qui, tutto è andato magnificamente storto. La grande debolezza di Murray, la gestione dei vantaggi, che diventa involontariamente la più grande alleata. Suo malgrado Djokovic viene trascinato in una lotta di un’ora per un set già perso. E la paga, quando nel quinto non ne ha più, a pochi passi da un capolavoro di tattica.

Ma questa è solo un’interpretazione, è bello pensare che fosse tutto già scritto, che non sia stato un caso che l’allievo di Lendl abbia vinto al quinto tentativo, che il ragazzo di Dunblane fosse predestinato.
Commovente nel non festeggiare, nell’accogliere la vittoria per quello che è stata: più di una gioia, più di un orgoglio… Un sollievo, una soluzione, nel 2012 che ha liberato due grandi, considerato perdenti, dal peso della vittoria, Andy e LeBron.

Da un certo punto di vista è una tragedia: non c’è più nessuno da prendere in giro, o meglio, nessuno che sia degno di essere preso in giro.
In fondo, chissenefrega, era ora.
 

Karim Nafea

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