15/11/2012 00:37 CEST - Pensieri sparsi

Nun ve regghe più! La formula è adatta al Masters

TENNIS - Anche quest'anno abbiamo dovuto sopportare il reiterarsi delle critiche verso la formula del Masters. Non c'è nulla di meglio del round robin per pubblico, sponsor e televisioni. E inoltre piace anche ai giocatori...e a Tiriac. Stefano Pentagallo

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Juan Martin Del Potro al sorteggio dei gironi (Clive Brunskill, Getty Images)
Juan Martin Del Potro al sorteggio dei gironi (Clive Brunskill, Getty Images)

Signori miei, nun ve regghe più!

Abbasso e alé all'arbitro svedese Lars Graf, che a Londra si è messo in luce come il peggiore della settimana, tanto da non aver azzeccato un solo overrule in tutto il torneo, sbagliandone alcuni anche piuttosto clamorosi - con palle fuori di dieci centimetri chiamate dentro e viceversa - e finendo, poi, per essere puntualmente smentito dall'Hawk-Eye. Si è deciso di designarlo per la finalissima, alla sua ultima partita, più che per merito, per rendere omaggio alla sua trentennale carriera. Sarò, forse, un po' impietoso nei suoi confronti, ma di lui non credo sentirò la mancanza. Di questo bisogna "ringraziare" la tecnologia in campo, di cui per inciso sono un grande sostenitore, che ha relegato i chair umpire, il più delle volte, al ruolo di semplici segnapunti, togliendogli potere decisionale e privandoci per certi versi di una variabile impazzita (l'errore umano) che contribuiva a rendere lo spettacolo ancor più godibile. È proprio vero, non ci sono più i "You cannot be serious" di una volta, da un pezzo ormai. Ci congediamo da Graf con l'intervista rilasciata durante il torneo di Stoccolma, in cui racconta le proprie memorie.

Abbasso e alé al "vecchietto" Roger - ad avercene di vecchietti arzilli come lui - che ha giocato l'intero round robin senza convincere neanche un po', per poi alzare l'asticella quando contava di più. Purtroppo per lui quei cinque, sei anni di differenza si sentono eccome, fisicamente ma ancor di più mentalmente, come dimostra il secondo set della finale con Djokovic, analogamente a quanto accaduto nel quinto set della semifinale degli Us Open dell'anno scorso sempre contro il serbo. Che sia un caso? Non credo. Detto questo: chi lo tifa, chi lo sostiene, chi lo segue, chi lo ammira non è soltanto per vederlo vincere, da despota, come faceva nei suoi anni migliori perché secondo alcuni non aveva avversari, quando invece la verità è che era non uno, non due ma tre o quattro gradini superiore a tutti gli altri giocatori (eccetto Nadal), ma per scoprire nuovi orizzonti, quelli dove pensi che l'intelletto ed il talento umano non possano arrivare e che, invece, ogni volta ti costringono a rivalutare la genetica. Quei capolavori di un'entità superiore che spiegano a chi pensa che lui sia un freddo, quanto invece calde siano le emozioni che sa regalare. Una volta era soltanto delizia, adesso è soprattutto croce. Eppure, le delizie restano. Vedere per credere.

Abbasso e alé, anzi no, soltanto alè per Novak Djokovic, che si è confermato per il secondo anno di fila il miglior giocatore del pianeta, laureandosi per la seconda volta in carriera Maestro dei Maestri. Si è fatto un gran parlare di questo titolo di Player of the Year: sarà Djokovic, sarà Federer, sarà Murray? Quale criterio seguire non mi è ancora ben chiaro: chi dice il numero di titoli vinti, chi i risultati ottenuti negli Slam, chi la continuità di rendimento (altresì ranking). Ebbene, Nole ha vinto sei tornei (uno Slam, tre Master 1000, un cinquecento e le ATP World Tour Finals), settantacinque partite - più di chiunque altro -, negli Slam è quello che ha fatto meglio con una vittoria, due finali ed una semi, e ha chiuso per la seconda volta in carriera l'anno da numero uno del mondo. I requisiti li possiede tutti: che dite, riconosciamo una volta e per sempre che il giocatore dell'anno è lui? Oppure c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di affermare il contrario di fronte all'evidenza?

Abbasso e… abbasso, abbasso e ancora abbasso a coloro che criticano la formula del Masters. Davvero, nun ve regghe più! È mai possibile che dobbiate ripeterci fino allo sfinimento che questa formula va cambiata perché permette ad un giocatore che ha perso una partita nel proprio raggruppamento di vincere il torneo, perché favorisce un giocatore piuttosto che un altro, perché a parità di punti ci costringe a fare calcoli che con il tabellone ad eliminazione diretta non sussisterebbero? Sono io stesso il primo a sostenere che la vera essenza del tennis stia nello scontro secco, o sei dentro o sei fuori, e per questo non condivido l'esperimento, oltretutto fallito miseramente, avviato nel 2007 ad Adelaide e conclusosi quello stesso anno con il caos di Las Vegas; allo stesso tempo, però, sono anche dell'avviso che per il Masters non esista una formula che si adatti meglio del round robin per pubblico, sponsor e televisioni. E in definitiva piace anche ai giocatori, come ammetteva proprio il numero uno del mondo Novak Djokovic nel 2009: "Penso che sia un buon sistema per i giocatori partecipanti al torneo, perché hai almeno tre partite da giocare. Il sistema del round robin è qualcosa che abbiamo cercato di incorporare in altri tornei, ma alla fine fallì. Ma per il Masters è una buona cosa."

Questo Masters vende bene - e i dati registrati quest'anno, con 263mila spettatori paganti ed un audience globale stimato intorno ai 100 milioni di telespettatori, ne sono la prova -, guadagna bene e diverte il pubblico, perché dà la possibilità di assitere più volte match tra i migliori otto giocatori dell'anno. Non è un caso se perfino un business-man come Ion Tiriac, direttore del torneo di Madrid, voglia importare il sistema basato sui round robin nella propria creatura: "Preferirei 32 giocatori, otto gruppi da quattro, quarti di finale, semifinali e finale," avrebbe confidato al Wall Street Journal. "Come la Coppa del Mondo."

Invece noi, popolo di malpensanti, non facciamo altro che rimarcare i difetti della formula, non facciamo altro che fare allusioni spicciole su quello che in gergo calcistico viene definito "biscotto" tra Roger Federer e Juan Martin Del Potro, con vittoria del secondo sullo svizzero ed automatica esclusione dello spagnolo Ferrer. Gente che grida allo scandalo come se la classifica finale non fosse stata decisa seguendo criteri meritocratici, come se Ferrer fosse stato defraudato di un qualcosa. Invece vai a leggere la graduatoria del gruppo B, trovi tre giocatori a pari merito e per dirimere la parità non puoi basarti sugli scontri diretti bensì devi obbligatoriamente affidarti al bilancio dei set vinti e dei set persi e, così, scopri che lo spagnolo è in perfetta parità (4-4) rispetto a Federer (5-2) e Del Potro (5-3). Nonostante ciò si continua a sostenere che tutto questo è alquanto ingiusto. Ma sì, mica è un merito aver vinto un set in più ed averne persi due o tre in meno. La classifica avulsa che ci sta a fare. Al contrario, io di ingiusto, sbagliato e scorretto non ci trovo proprio niente. Dovendo proprio muovere una critica, la muoverei agli organizzatori che avrebbero potuto far giocare Ferrer nel pomeriggio anziché la sera ad eliminazione ormai acquisita.

Rassegniamoci, dunque, all'idea che la formula resterà questa ancora per molto, perché supportata anche dai giocatori, io, nel frattempo, mi rassegnerò all'idea di dovermi sorbire anche negli anni a venire le stesse continue lamentale sull'inadeguatezza del round robin, tanto a me ma chi me sente, ma chi me sente…

Stefano Pentagallo

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