15/11/2012 14:36 CEST - Rassegna nazionale

Indian Wells e Nielsen, quando i soldi non contano (Semeraro)

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Quando i soldi non contano (Stefano Semeraro, lastampa.it)

I soldi non sono tutto, nella vita. Nello sport di solito però contano parecchio, se c’è un’accusa diffusa nei confronti degli atleti professionisti è quella di essere mercenari senza scrupoli, pronti a cambiare ideali e bandiera per un pugno di dollari (vero, Ibra?). Anche nel tennis recentemente è scorso del fiele fra Federer e la stampa svizzera, che lo accusa di badare troppo al soldo (le garanzie chieste per giocare a Basilea) e poco alla patria (visto che in Davis si fa vedere raramente). Ma dal tennis arrivano due storie diverse, un filino paradossali, non si capisce bene se più rincuoranti o più sconcertanti. La prima. Il torneo di Indian Wells, il cui patron è Larry Ellison, il proprietario di Oracle, decide di aumentare il montepremi nel 2013 ma l’Atp, il sindacato dei giocatori che governa il circuito pro, dice no. Cioè: i giocatori dicono di sì – ci mancherebbe – ma i direttori del torneo mettono il veto. Motivo? L’aumento rischierebbe di falsare il mercato e innescare un gioco al rialzo che al momento pochi possono permettersi. Applausi per la responsabilità mostrata, o pernacchie per un sindacato che non tutela gli interessi dei propri iscritti?

Seconda storia. Frederick Nielsen è un tennista danese, nipote del due volte finalista di Wimbledon, Kurt Nielsen, che quest’anno si è emancipato dai fasti dell’avo trionfando anche lui nei Championships, ma in doppio, a fianco di John Marray (sì, Marray con la “a”). I due dopo i Championships non hanno combinato granchè, ma grazie all’abbrivio londinese sono approdati al Masters, dove hanno raggiunto le semifinali e intascheranno comunque un bel gruzzoletto. Nielsen in singolare è attualmente n. 362 del mondo (è stato al massimo 190 nel 2011), in carriera ha guadagnato di più con il doppio, specie nell’ultimo anno e a fianco di Marray; eppure, nonostante l’evidenza dei fatti e della convenienza economica, a 29 anni non si è rassegnato a una carriera da specialista.

«Non m’importa se in singolare dovrò continuare a giocare nei tornei di livello molto più basso di quelli che potrei frequentare in doppio, perché io so dove voglio stare. Non mollerò il singolare. Per farlo dovrei cambiare la mia filosofia di vita, e non sarei più una persona felice. Se lo facessi sarebbe per badare ai risultati e ai soldi, ma non sono mai state quelle le mie motivazioni». Risultato: nonostante il trionfo di Wimbledon i due l’anno prossimo non giocheranno più in coppia, e il povero Marray è alla ricerca – per ora infruttuosa – di un nuovo partner. «Non gioco a tennis per giocare a tennis con John. Mi dispiace, e lo dico senza offesa. Ma le grandi decisioni della mia vita si basano su ciò che sento dentro». Ammirevole integrità, specie dopo 11 anni di modestissima carriera da singolarista. O colossale stupidaggine? 

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