10/12/2012 07:34 CEST - L'ARGOMENTO

I paesi che erano grandi

TENNIS - Nel 2012 si è confermato il trend negativo di alcune nazioni, storicamente tra le più importanti in ambito tennistico. E il loro futuro non sembra affatto migliore. Stefano Broccoli

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Australia
Australia

Negli ultimi anni la gerarchia delle potenze tennistiche è cambiata di molto. In virtù della definitiva consacrazione di alcune nazioni (Spagna su tutte, perlomeno fuori dai campi in terra rossa) e del mancato ricambio generazionale in seno alle megapotenze stesse. Svezia, Stati Uniti, Australia sembrano non avere più spazio nel tennis di alto livello. Ma più che la mancanza di fenomeni assoluti, a preoccupare è la carenza di un gruppo di giocatori validi, che testimoni la bontà del movimento. Paesi che hanno scritto la storia di questo sport sono oggi nazioni di secondo e terzo piano, con prospettive forse peggiori di quelle presenti.

Il caso più evidente? Gli Stati Uniti, nazione leader nell 80% degli sport e, fino al recente passato, anche nel  tennis. Non hanno inventato questo sport, ma lo hanno portato ai massimi livelli. Prima dell’Era Open ci sono stati Tilden, Trabert, Kramer, Gonzales, a nobilitare il movimento a stelle e strisce. Dopo il ’68 è stata la volta di Stan Smith, Ashe,Connors, McEnroe, Courier, Sampras, Agassi, tanto per fare qualche nome. E anche al femminile gli Stati Uniti non se la son vista male tra Wills, Connolly, Evert, Capriati, Davenport e le sorelle Williams. Sostanzialmente, in ogni decennio gli Stati Uniti hanno avuto più giocatori e giocatrici in grado di puntare al numero 1 del mondo e ai tornei del grande Slam. Quest’anno invece nessun tennista americano ha chiuso l’anno nei top 10. Non accadeva dal 1973, quando venne stilato per la prima volta il ranking Atp. Un cambiamento epocale per un paese con certe tradizioni, che ospita un major e tre tornei di categoria Masters 1000. Ma non così repentino come potrebbe apparire; è già da qualche anno che manca la mole di grandi giocatori che c’era in passato. 

Nel primo decennio degli anni Duemila, dopo la dipartita di Sampras e Agassi, è stato il solo Roddick (il cui unico major risale peraltro al 2003) a portare avanti la baracca. I vari Fish e Isner sono entrati nella top 10, ma non vi si sono stabilizzati a lungo (oltre ad essere calati molto quest’anno). Blake ha avuto un paio di stagioni tra i primissimi ma poi il fisico non lo ha sostenuto. Oltre a loro e ad un paio di buoni (ma non di più) giocatori, il nulla. E’ evidente dunque, che i campanelli di allarme ci fossero già da qualche anno.

E al femminile non va tanto meglio: certo, c’è ancora Serena Williams, che finché avrà voglia continuerà a battere presunte campionesse ed a fare incetta di major. Ma se le sue eredi si chiamano Oudin, Vandeweghe e Stephens (quest’ultima tutt’al più la può ricordare nell’aspetto esteriore) allora c’è di che preoccuparsi. E anche tra gli uomini la nuova generazione non convince: Harrison, Sock, Kudla non sembrano avere prospettive da top player e non ci sono altri giocatori yankee in rampa di lancio. Ma a cosa è dovuta tale crisi? E’spiegabile in qualche modo il crollo repentino della maggiore potenza tennistica degli ultimi 40 anni?

Forse, banalmente, è solo una questione di numeri. La United States Tennis Association ha riportato qualche giorno fa un dato preoccupante: sono 88.000 i tennisti nel paese, numero ridottissimo considerando la popolazione americana e i dati di altre nazioni (solo in Francia si parla di 500.000 tennisti). Ma forse c’è anche dell’altro; aldilà della constatazione (ovvia) che il tennis non è piu appannaggio di pochi paesi, vanno forse messe in discussione anche le metodologie di allenamento. Probabilmente, anche il tennis “bollettieriano”, che pure ha reso grandi tanti giocatori, è meno efficace che in passato e troppo prevedibile. Certo, in questo senso è stato essenziale il contributo delle superfici, sempre più lente ed omologate. Giocare d’anticipo è ancora più difficile nel tennis odierno. 

Secondo Clerici, che affrontò la questione lo scorso anno, i giovani dovrebbero ”smettere di rincorrere la laurea”, come avviene anche nei due sport nazionali statunitensi, il basket ed il football. Gli stessi giocatori e addetti ai lavori non sembrano trovare una spiegazione plausibile. Alcuni hanno minimizzato il problema o ne hanno dato un’interpretazione errata. Lo scorso anno, al Foro Italico, Roddick ha dichiarato in conferenza stampa: ”Crisi del tennis americano? Sì ma non è diversa dalla crisi italiana”. Vero, ma l’Italia non ha vinto 32 coppe davis e 164 titoli del grande Slam in singolare. Roddick però aveva aggiunto: ”Siamo vittima dei successi passati”. Giusto anche questo. Perché la crisi USA è acuita dal luminosi trascorsi. Un passato con cui qualunque futuro tennista americano dovrà inevitabilmente confrontarsi.

C’è qualcuno che ha fatto peggio degli Stati Uniti nel 2012? Forse solo l’Australia (di cui pure si è discusso molto su questi lidi) e la Svezia. Quest’ultima, pur non essendo (come Stati Uniti e Australia) nazione leader dalla notte dei tempi, si è costruita negli ultimi 30 anni una credibilità pari alle nazioni succitate, almeno nel settore maschile. Non è un caso che oltre ai Borg, Wilander, Edberg ci siano stati anche Enqvist, Norman, Thomas Johansson, Bjorkman. Tutti giocatori di alto livello, espressione di un movimento solidissimo. Ma poi deve essersi inceppato qualcosa. Come spiegare altrimenti la mancanza di un giocatore svedese nei primi 400 del mondo? Certo, ci si è messa anche la sfortuna: nel momento migliore della sua carriera, Robin Soderling è stato paralizzato dalla mononucleosi (ad oggi l’ex top 4 è fermo da un anno e mezzo circa ed è sempre più difficile che torni). Vi è poi il caso di Joachim Johansson, la cui carriera è stata condizionata pesantemente da un fisico fragile. Un altro giocatore che poteva stare agevolmente nei top 20 per lungo tempo.

In ogni caso i due suddetti giocatori sono state le uniche espressioni del tennis svedese in questi anni. Dietro di loro il vuoto più totale. Si è parlato in questi anni di Daniel Berta, che è stato numero 1 del mondo junior. Ma il ventenne di Helsingborg fatica anche solo a passare un turno nei Futures. Fatte queste premesse, è evidente che le responsabilità della crisi siano da imputare alla federazione svedese. Diversi fuoriclasse del passato hanno rimarcato questo punto; secondo Borg ”la federazione non ha fondi sufficienti per far crescere nuovamente il tennis. Bjorkman e Thomas Johansson hanno la voglia e la competenza necessarie per organizzare eventi e promuovere il tennis ma non sono affatto aiutati”. Eh sì, perché, oltre alle difficoltà economiche, sembra che in federazione manchino figure di spicco e progetti innovativi per rilanciare il tennis. Che peraltro non sembra neanche più in grado di attrarre attenzione, come invece avveniva  negli anni '80 e '90. Thomas Johansson in merito ha dichiarato: ”Penso che Thomas (Enqvist) sia il giocatore svedese più forte dopo Soderling. Poi ci sono Edberg, Wilander ed infine io, se tornassi ad allenarmi”.

L’ex campione degli Australian Open ha voluto provocare, ma non si è discostato così tanto dalla realtà. Che è pessima, attualmente, ed è destinata a peggiorare in futuro. Fa strano dirlo, ma a confronto l’Italtennis è in salute.

Stefano Broccoli

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