18/01/2013 15:21 CEST - Rassegna

Seppi maratoneta Vede Cilic e i top 20 con il profumo di Davis (Crivelli); Contrordine, Serena sta bene: serve a 207 all'ora (Crivelli); Finiamola con i time-out medici finti (Bertolucci) Vinci&Seppi, stato di grazia gli uzbeki si fanno da parte (Clerici)

18 gennaio 2013

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Rubrica a cura di Stefano Pentagallo

Seppi maratoneta Vede Cilic e i top 20 con profumo di Davis

Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport del 18.1.2013

Laggiù nel campo 19, dove il sole ti spacca in quattro e i treni sferragliano lenti, pare di stare all’Ok Corral. Caldo, tanto caldo, 39 gradi, e una tensione che solo il pistolero più freddo riuscirà a far svaporare. Seppi contro Istomin non è mai una partita normale, tre set a Roma e cinque a Wimbledon nel 2012, perché il gioco speculare dei due genera scambi spesso superiori ai dieci colpi e richiede energie da maratoneti. Il colpo al cuore è di Andreas, un grande Andreas, per la 17a volta al quinto in un match dello Slam, con 12 vittorie: alla faccia della tenerezza di carattere.

Palle decisive Uno contro l’altro con le stesse armi, dunque il peso della partita è tutto sui servizi, per prendere subito il controllo degli scambi e andare in progressione da fondo. Istomin, nato in Russia ma naturalizzato uzbeko, per tre set è ingiocabile: neppure una palla break concessa. Perché, come analizza l’italiano, «ha una battuta difficile da leggere» e perciò le opportunità bisogna andarle a cercare tra le pieghe dell’equilibrio esasperato. Decidono poche palle: i tre errori con cui il 50 del mondo consegna il tie-break del primo set, il break sul 6-5 del secondo — l’unico concesso da Seppi —, il doppio fallo dell’altoatesino che manda il rivale sul 5-3 nel tie-break del terzo.

Pausa di riflessione Sotto due set a uno, Andreas va a rinfrescarsi le idee: «La partita era dura, avevo bisogno di una pausa e così sono andato a lavarmi la faccia. Ma non avevo paura, sapevo che dovevo rimanere attaccato al match e continuare a fare le cose giuste». D’incanto, Istomin allarga le maglie delle sue bordate, regalando una palla break sul- l’1-1 del quarto e due sul 2-2, però annullate con il servizio.

Sogno Altro tie-break, che Seppi gioca da professore, con un passante di rovescio per il 4-0 che è un lampo di classe pura. E così, dopo più di tre ore, la battaglia diventa una questione di fisico e Istomin si scioglie all’improvviso. «Sentivo che non spingeva più già dal servizio mentre io ne avevo ancora». Il dritto in rete con cui l’uzbeko cede finalmente il primo servizio sul 2-1 del quinto set è la bandiera bianca della resa e l’apoteosi dell’allievo di Max Sartori dopo 4 ore e 7 minuti che lo portano virtualmente fra i primi 20 del mondo: «Era un obiettivo realistico della mia carriera, spero di consolidarlo. Certo, poi ci sarebbe la top ten, ma quello è un sogno». Intanto domani si è meritato in sorte il croato Marin Cilic, intrigante anticipo di Davis dell’1-3 febbraio a Torino: «Ci ho perso le ultime tre volte, serve benissimo e dunque dovrò cercare di sfruttare le poche occasioni che mi concederà».

Vai Roby Con lui, si ritrova al terzo turno Roberta Vinci, che chiude ogni porta alla qualificata Amanmuradova, altra uzbeka, numero 199 del mondo, cui risponde bene, e non concede alcuna palla break, aggredendola appena l’altra accorcia. «Sono soddisfatta, ho giocato un buon match, negli Slam non è mai facile vincere». Alla prossima: Vesnina.

Contrordine, Serena sta bene: serve a 207 all'ora

Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport del 18.1.2013

Allarme rientrato: la padrona è ancora in casa. Dopo averla vista a terra con la caviglia destra in fiamme durante il match di primo turno con la Gallovits, qualche ombra si era allungata sul cammino di Serena Williams, la favorita di tutti. E invece l’americana ha disposto a piacimento della giovane (classe ’93) spagnola Muguruza, muovendosi con circospezione solo nei game iniziali prima di esplodere in tutta la sua potenza e sbrigare la pratica in un ora e un quarto. «La caviglia è a posto — rassicura — pensavo di avvertire un po’ di dolore alla fine, e invece sto molto meglio di quanto pensassi. Prima di giocare ho preso una pillola, ma niente iniezioni, mi fanno paura».

Racchettata Nel secondo set, ritrovato il pieno regime, Serena ha ottenuto 10 punti su 10 con la prima di servizio, chiudendo il match con una battuta a 207 all’ora. «Mi sono stupita, non immaginavo di aver tirato così forte, di solito queste cose le fa mia sorella Venus. Mi è capitato — racconta — di arrivare a 215, però era in allenamento e comunque colpivo il cielo». Evidentemente tranquillizzata, la Williams ha scherzato anche sull’incredibile infortunio occorsole durante la sfida: «Mi sono data la racchetta in faccia, penso sia capitato a tutti almeno una volta, mi sono aperta il labbro inferiore. Ma state tranquilli, non ho bisogno di un’operazione di chirurgia estetica. Evidentemente con l’Australia non sono fortunata, negli ultimi tempi». E ce n’è anche per la nuova generazione (all’età della Muguruza lei aveva già vinto uno Slam): «Non so se ci sono giovani già in grado di ottenere un risultato simile, semplicemente il tennis è diventato molto più fisico. Quindi, più dell’età, conta se il tuo corpo è preparato a vincere sette partite consecutive».

volée di rovescio - Finiamola con i time-out medici finti

Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport del 18.1.2013

Accetto con fastidio e fatica la continua e francamente eccessiva richiesta da parte dei giocatori del «towel» con o senza «please», ma rifiuto in toto l’assurda regola del «medical time out». L’esempio di ciò che è accaduto nell’ultima partita australiana di Monfils, preceduto da quello di Stepanek e di Tipsarevic, ha confermato ancora una volta come la richiesta per la sospensione della gara sia diventata solo una fine arma tattica per superare il brutto momento. Solo nel tennis, una piccola vescica o un leggero dolore permette all’atleta (sempre a quello indietro nel punteggio) di fermare la contesa per diversi minuti per poi, spesso, ribaltare le sorti della partita.
I tabelloni dei tornei sono pieni di vittorie raccolte con l’inganno da finti moribondi che all’improvviso, dopo aver ingerito una magica pasticca o applicato un portentoso cerotto sul dito, risorgono, lasciando di stucco l’avversario.
La richiesta dell’intervento del fisioterapista risulta ancora più ridicola quando il match si svolge su un campo secondario. I tempi per l’arrivo del trainer si dilatano e, tra la diagnosi e il trattamento necessario, si arriva tranquillamente a sfiorare dieci minuti di sosta. Il tutto con il malcapitato avversario che deve subire l’ingiustizia trastullandosi sulla sedia nella speranza di non perdere la necessaria concentrazione.
Sappiamo che lo sport può essere ingiusto e spietato, ma il tennis ha il dovere di allinearsi alle altre discipline e prendere atto che la partita deve essere portata a termine senza lasciare la possibilità ai furbetti del circuito di sfruttare con malizia le incomprensibili lacune del regolamento.

Vinci & Seppi, stato di grazia gli uzbeki si fanno da parte

Gianni Clerici, la Repubblica del 18.1.2013

La prima volta che sbarcai in questo continente, nel 1960, al seguito dei miei amici Pietrangeli e Sirola, finalisti di Davis, finii ricoverato in un ospedale, per difetto di informazioni, non certo cronistiche, ma climatiche. Con una calura intorno ai 40 gradi, come quella di oggi, non bastano certo creme speciali, cappellino, liquidi, ma è bene non esporre cranio e arti ai raggi, come ebbe a spiegarmi un saggio uomo blu, nel corso di una istruttiva Parigi-Dakar. Ricoperto quindi di panni protettivi, mi sono avventurato sui campi simili a graticole, per seguire gli ultimi due rappresentanti, in singolo, di una spedizione sfortunata.
Ho iniziato sul campo periferico di Robertina Vinci, anche perché il tentativo di seguirla in televisione era vanificato dalla dislocazione del Court n°7 non inquadrato. Ho passato la mia vita ad ammirare il tennis di Robertina, lo stesso che avevo invano tentato di praticare io stesso, ai miei tempi, quando gli attacchi al seguito di un rovescio tagliato erano addirittura ovvi. Con un gioco simile la Vinci non solo affascina gli spettatori, ma sorprende le avversarie contemporanee, orami dedite al batti e ribatti incrociato bimane. È così salita al n°16, e potrebbe ancora progredire, se i prossimi trentanni non dovessero trattenerla. Di fronte a lei si ergeva in tutta la sua possa la uzbeka Ammanmuradova. Tennista che ha certo superato gli esami clinici che ne avevano messo in dubbio la femminilità, ma pare ancor meno donna del famoso Renè Richards, il tenente della marina americana che fù, negli Anni Settanta, il primo ad adottare un sesso diverso, con risultati, ahilui, tennistici e umani negativi. Simile donno era riuscito nel passato a soverchiare la nostra Robertina su un campo non meno duro di quello odierno, venendone per contro battuta due volte sul rosso. Il risultato non poteva essere diverso nemmeno oggi, nonostante la graticola. Robertina ha dominato in un’ora e dieci minuti, durante i quali le sole emozioni son state, per me, le crisi prossime allo svenimento di due piccoli raccattapalle, Basil e Alexander, che mi sono affrettato, nel mio ruolo di nonno, ad ac- compagnare al pronto soccorso.
Attrezzatissima infermeria che ho pensato bene di evitare, seguendo solo a tratti le 4 ore e 7 minuti del connazionale sopravvissuto, Andreas Seppi, opposto anche lui a un uzbeko, Denis Istomin, che l’aveva battuto in un infinito match a Wimbledon. Anche oggi devo confessare di aver ammirato la indubbia professionalità statica di Sartori, il bravo allenatore dell’alto atesino, e dei rappresentanti federali Mara Santangelo e Corrado Barazzutti, il quale ha confortato una mia domanda “Perché Andreas non cambia un po’ gioco sulle ribattute ?” con la risposta “Perché non usa più.” Simile sorta di assedio medievale è durato qualcosa più di quattro ore di violentissimi batti e ribatti, al termine dei quali Andreas è alfine pervenuto ad un primo e decisivo break sull’eccellente battuta dell’uzbeko. Chissà dov’erano, quelli che affermavano che l’erba andasse cementata, per l’eccessiva prevalenza delle battute.

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