26/01/2013 13:19 CEST - Australian Open

30 anni fa si scioglieva l’Ice-Borg

TENNIS - 30 anni fa il ritiro del campione svedese, che in una laconica conferenza stampa parlava di allenamenti massacranti, ritmi insostenibili. Anticipatore del futuro in tutto, nella tecnica e nello stile, ripassiamo la storia di questa leggenda dalla carriera breve, intensa, piena di successi, ma chiusa già nell’81 con le delusioni di Wimbledon e Flushing Meadows, ad opera di John McEnroe. Davide Uccella

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Bjorn Borg
Bjorn Borg

E' passata un po' sotto traccia, questa storia che oggi vi raccontiamo. O che più precisamente, proveremo a raccontarvi, con qualche schizzo e nient'altro. Perché se c'è una storia che incarna il senso della definizione, e sa di proibito, rottura, fascino, mito, è proprio questa.

E' una storia che resta classica nel suo essere imprevedibile. La storia di un campione che pur vivendo nel periodo in cui le racchette erano pesanti, fatte di legno, le superfici erano davvero cose a sè, anni in cui il serve and volley, gli scambi veloci e tecnici relegavano il peso della potenza, va fuori dagli schemi, e rivoluziona l'antico dall'interno.  Scontato quindi perchè innovativo: un bel compromesso tra generazioni di spettatori anche molto distanti tra loro, e modi oggi diversi nel vedere il nostro amato tennis.

Insomma, per non perderci in troppe chiacchiere, rispetto e devozione per la storia non devono mai mancare. Perché per poter fare delle scelte oggi, prendere delle decisioni su quello che ci piace oppure no, quello che proviamo ad imitare nelle nostre partitelle o non vorremmo mai riproporre con le nostre mani, bisogna capire cosa c'era, chi c'era e chi no, chi ci ha messo lo zampino o chi stava a ruota.

E Bjorn Borg è uno che l'impronta l'ha lasciata. Negli adepti come nei critici, nei bigotti come negli amanti delle trasgressioni, è per l'appunto un classico, che nella sua carriera ha sempre cercato la sensazione, la sorpresa, spiazzando tutti. E nulla secondo me di più falso del suo volto spacciato per algido, in apparenza impenetrabile, e che copriva in realtà una carica fuori dal comune, un'emotività e delle ansie che poi hanno influenzato in bene, poi fatto a pezzi la carriera di uno dei primi candidati alla corsa del GOAT, sempre se sia possibile.

Il tutto con uno stile che a suon di vittorie è divenuto leggenda, delle abitudini che sono entrate nella grammatica di ogni tennista moderno, dei principi che hanno fatto da spartiacque tra l'antico e il nuovo testamento del tennis moderno: mobilità, top-spin e resistenza, polso e fondo campo, all-surface e sponsor sono parole che sembrerebbero fatte per leaders di oggi, un Nadal, un Djokovic, un Murray, o per un Federer più maturo, post-2004. Invece c'era già tutto in questo svedese oggi un pò brizzolato, 55enne distinto, imprenditore di intimo, che si fa vivo ogni tanto, sempre sui campi più importanti o per qualche presenza nel Senior Tour, dopo anni in cui sembrava la Mina del racquet star system, invisibile e irreperibile.

Un isolamento per fortuna finito, ma che cominciava più o meno trent'anni fa, quando con il suo solito amore per le scelte ad effetto, il 23 gennaio del 1983 appendeva definitivamente la racchetta al chiodo. A soli 25 anni: "Mi sento massacrato dagli allenamenti, non ce la faccio a tenere 6-7 ore al giorno, non mi danno tregua". Così Borg, che nell'ultimo anno aveva messo la firma soltanto a Montecarlo, chiudeva un' agonia che in realtà cominciava due anni prima.

Dal 1981 del sesto ed ultimo trionfo parigino, ma soprattutto il 1981 dell'estate terribile, che tra Wimbledon e Flushing Meadows, per mano di John McEnroe, in due faccia a faccia da antologia, scardinava tutte le convinzioni di un decennio vissuto sempre da n.1. Da quando nei primi anni'70,  come junior, faceva  storcere il naso agli "eleganti" del tennis per quel suo sgraziato rovescio a due mani, e che intanto gli faceva vincere nel '72 il titolo ai Championships.

Due sfide, quelle perse da Mad John, che hanno piegato tutta la fiducia su cui lo svedese aveva costruito 63 titoli vinti, una Coppa Davis, 11 Slam e cinque finali, nonchè cinque Wimbledon (dal 1976 al 1980), sei Roland Garros (1974-75, 1978-81) e due Masters nel biennio 1979-80.  Per non parlare delle rivalità, compresa quella con Jimbo Connors. E poi il suo percorso, quasi da predestinato. Perché in tanti ricordano il suo esordio exploit in Davis, a soli 15 anni (ancora oggi più giovane vincitore di un match in Davis),  contro il più quotato Onry Pakun, neozelandese e ottimo doppista (uno Slam a Parigi, guarda caso): lui, che più che nascere con la racchetta sembrava fatto per il tennis-tavolo ,diceva il padre, vinse in cinque set, entrando già nella storia, per poi salire sulla giostra dove di giri ne farà tanti, avendo sulla scena l'inconfondibile ruolo di prima donna. Con tutta la sua grandezza anomala. Dirompente, imprevedibile quanto fragile. Come quella freddezza che pareva un'armatura, sul suo volto.

E torniamo allora alle immagini di quel 6-4, 2-6, 4-6, 3-6 subito sull'outdoor del National Center: la delusione  tanta, al quarto tentativo sfumato. Al punto da rivestirsi subito, e camminare fuori dallo stadio prima dell'inizio della cerimonia di premiazione e della conferenza stampa. Interrogato poi su questo Borg dirà che non c'erano più dubbi che McEnroe fosse il vero numero uno del mondo, e che lui non voleva essere il n.2. Durante poi l'anno vincerà solo 3 titoli portando l'ultimo successo a Ginevra, a fine settembre. Così Borg di fatto terminava la sua breve carriera con la quarta bruciante sconfitta in finale nel torneo che vanamente rincorse per tutta la sua carriera, breve ma densa.

Chissà, forse anche una rabbia che sapeva anche di polemica: contro quel tipetto yankee che non si allenava mai, passava le serata a far festa rientrando ad ore proibitive e il giorno dopo giocava così, in maniera del tutto istintiva, creativa, imprevedibile. Mentre lui, che non aveva pause mentali, sudava e si allenava per costruire e mantenere il proprio tennis, e se ne fregava di quelli che tacciavano come difetto il suo rovescio, per portare avanti la sua ricerca. Partendo dal presupposto che possiamo chiamare la perfezione della semplicità. Perchè conta colpire bene  al volo ma non basta, come non basta avere al servizio un braccio più "virtuoso". L'importante è rimandare la palla una volta in piu' dell'avversario, rispondendogli, o passandolo, se questo scende a rete (semplice no?). Ma Borg non sperimentava soltanto nei colpi, non si limitava alla tattica, ma anche negli attrezzi, facendo tirare le corde fino a 40 kg, che per i telai tradizionali di allora era una tensione fuori da ogni standard.

Standard che poi gente come Lendl, Becker ed Edberg avrebbero superato del tutto, ma tenendo sempre alta la bandiera del bel gioco, per altri (pochi) gustosissimi anni di tennis, fino all’avvento del tennis flipper, delle palestre e degli integratori: un fiume che strariperà, con la fine di giocatori come Sampras oppure Rafter, che quasi si sforzavano nell'adattarsi alla terra, quella terra dove invece Borg praticamente si sentiva a casa, anticipando il prototipo del top-player per tutte le stagioni.

Rimpiangiamo non poco quel tennis, che Bjorn sapeva rappresentare ma con estro, e la cui eredità, in maniera impietosa, resta tutto nelle mani dell'eleganza e lo stile di Roger Federer: anche lui già oltre i trenta, ma l'unico in questi tempi ad aver saputo coniugare le ambizioni di classifica e le vittorie con lo spettacolo puro.

Per Borg poi ci sarà molto gossip, drammi e molto clamore da dare in pasto a rotocalchi e tv trash: il matrimonio con Loredana Berté, il rientro da nemesi pura nel '91, sempre a Montecarlo, quando scese in campo sul centre-court del principato contro Jordi Arrese, armato della sua vecchia Donnay di legno, ora priva di serigrafie e di ogni dicitura sul telaio. Qualche passante, qualche sprazzo che faceva fare tanti giri di lancette all'inverso, ma poco altro. E per finire il 2006, quando decise di vendere al miglior offerente i trofei conquistati a Wimbledon, in un lotto con due racchette della sua griffe prediletta.

Oggi va meglio, lo abbiamo anche visto, e questo basta. Ma a noi piace tornare con la testa a trent’anni fa, quando su un verde sacro, classico d'oltre manica, un maleducato e irriverente ragazzino americano piegava il plurititolato Borg in una finale che tutti gli appassionati ricordano e che è definitivamente entrata nella storia dello sport. E di questo sport.

Davide Uccella

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