23/03/2013 08:27 CEST - Personaggi

Addio a Pietro Mennea, la Freccia del Sud

TENNIS - Il mondo dello sport piange Pietro Mennea, la "Freccia d'Italia". Lo ricordiamo attraverso il capitolo che Ubaldo Scanagatta gli ha dedicato nel libro "50 anni di Credito Sportivo. Mezzo secolo di campioni".

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Pietro Mennea
Pietro Mennea

“E chi sei: Mennea?...” Capita ancora oggi di sentirlo dire, quando qualcuno tenta uno scatto, una fuga apparentemente impossibile. Di obiettivi apparentemente impossibili Pietro Paolo Mennea, terzogenito di una famiglia di cinque figli cresciuti nella sartoria di papà Salvatore a Barletta, ne ha raggiunti davvero parecchi. Sulle piste d’atletica come nella vita.

Di recordmen mondiali nello sprint ce ne sono stati tanti, anche se pochi mingherlini come lui. Ma che abbiano mantenuto il loro primato in una gara di velocità per 17 anni ce n’è stato uno solo: “Pietruzzo”. Unico anche nello studio. I campioni europei, mondiali e anche olimpici con una laurea non sono una rarità. Ma quattro? Solo Mennea: Scienze Politiche, Giurisprudenza, Scienze Motorie e Lettere, più due Master, alla Bocconi e alla Luiss.

Lui, sempre lui, il ragionier Pietro Paolo Mennea, divenuto poi anche avvocato, commercialista, direttore generale di una squadra di calcio, procuratore di calciatori, eurodeputato. Tutto da solo. Un vulcano, nutrito da una forza di volontà straordinaria: “Sono un uomo che non si sente mai arrivato, sono sempre pronto a ripartire dai blocchi”.

Un testardo dalla grinta inesauribile. Uno stakanovista degli allenamenti già con i primissimi professori Isef, l’avvocato senza toga Autorino e poi Mascolo per arrivare a Vittori. Instancabile anche sui libri. “La seconda laurea, dopo il 110 in Educazione Fisica di poca soddisfazione la presi preparandomi di nascosto a Vittori, la sera. Mi ero iscritto a Bari così potevo dare gli esami raccontando a tutti che andavo a trovare i miei a Barletta. Vittori non voleva che studiassi tanto”.

Competitivo lo era di natura. Da ragazzino non sopportare di arrivare secondo sul rettilineo in terra battuta del cortile della scuola, contro quel compagno più veloce di lui, Salvatore Pallamolla. Finchè un giorno, furioso per un panino misteriosamente scomparso, vinse lui, la futura “Freccia del Sud”. “Quel giorno scoprii che quand’ero incazzato correvo più forte”.

E poiché incazzato lo era spesso, quel suo caratteraccio scontroso, irritabile, insofferente, lo aiutò più di una volta a trasformarsi nell’uomo più veloce del mondo, in altitudine e sul livello del mare, d’Europa (8 primati) e d’Italia (33 volte). “Quasi tutti i miei record _ ricorda con il sorriso perennemente sghembo _ sono venuti dopo grosse arrabbiature”.

Mennea non ricorda, però, se era arrabbiato anche il giorno in cui vinse gli interregionali studenteschi a Matera, nel 1968, ma “solo che ero un anno avanti”. Quel giorno cominciò “la favola di un ragazzo che a 16 anni a Termoli, all’inizio della propria carriera sportiva, vide in televisione la gara dei 200 metri dei Giochi di Città del Messico vinta da Tommie Smith e John Carlos. Squalificati perché sul podio alzarono il pugno al cielo col guanto nero del Black Power. Quel ragazzo si entusiasmò e sognò di poter un giorno salire sul podio delle Olimpiadi. Quel ragazzo ero io”. Mennea si è spesso raccontato in terza persona.Come i grandi, come Giulio Cesare. Un vezzo per lui, un fastidio per chi non lo amava.

Tre anni dopo Matera arrivò primo incontro con Vittori. A Roma, Acquacetosa. “Ero gracile e sentii Vittori dire a Franco Mascolo: ‘Questo deve prima magnà qualche bistecca, poi se ne riparla”. Una delusione cocente per il piccolo Mennea, determinato a lavorare ancor più duro per smentire l’uomo che sarebbe diventato suo inseparabile maestro. L’esordio in nazionale junior, a Lugano con la Svizzera nel ’69, svela l’emotività di Mennea: due partenze false nei 100. Però approda lo stesso agli europei juniores, agli europei “veri” di Helsinki: 6° in finale con 20”80, e bronzo con la 4x100.

“Tornai a Barletta dopo il mio primo titolo italiano sui 200 conquistato a Roma. Mi avevano organizzato una festa: una parata e la macchina scoperta! Mai avrei voluto farlo”. Schivo, timido e introverso, il campione: “Mi hanno spesso dipinto come presuntuoso, arrogante, antipatico. Quando rifiutavo un invito alla Domenica Sportiva perché la mattina dopo dovevo studiare, oppure rifiutavo di raccontare per la millesima volta il record del mondo o la vittoria alle Olimpiadi di Mosca. Mennea ha sempre corso
per dimostrare che valeva qualcosa, non per raccontarlo in giro”.

Episodi, atteggiamenti che contribuirono a fare di Mennea un personaggio difficile, scomodo. Secondo  alcuni ambiguo e capriccioso, secondo altri genuino, vero. Prima del leggendario record del mondo  stabilito in Messico la sua carriera conobbe altre tappe importanti, a partire dal trasferimento del 1972 a  Formia, chez Vittori, per lavorare come un mulo. Le Olimpiadi di Monaco, con il bronzo sui 200 (20”30) dietro a Borzov e Black, “furono i Giochi dell’entusiasmo dei 20 anni, quelli che ricordo con maggiore simpatia. Anche se quel terzo posto…”.

Agli Europei di Roma del ‘74 è ancora preceduto da Valery Borzov sui 100, ma si vendica sui 200. Poi la brutta botta dei Giochi di Montreal 1976. Soltanto quarto: “La mia grande occasione perduta”. Il primo riscatto arriva a Praga, due anni dopo. Pietro trionfa nei 100 e nei 200, “ma furono Europei da stakanovista: 100, 200, 4x100 e 4x400…Dieci gare in 6 giorni, due ori, due staffette (l’ultima chiusa in 44”7 lanciato, ndr). Mi ripagarono con una squalifica di sei mesi perchè, distrutto dallo stress, dissi no ad una tournèe in Estremo Oriente. Il massimo dell’ingratitudine”.

Non sarebbe stata l’ultima baruffa con Primo Nebiolo, deus ex machina e ras dell’atletica italiana, al cui potere Mennea non voleva piegarsi. “Gli exploit di Praga avevano convinto me e Vittori a tentare il risultato importante in Messico, alle Universiadi, per via dell’altura. Nebiolo voleva che partecipassi invece alla neonata Coppa del Mondo. Scelsi le Universiadi e si scatenò un putiferio. Ma feci bene”. Più che bene: nello stesso stadio Universitario che aveva accolto la protesta di Tommie Smith e John Carlos, Pietruzzo staccò quel pazzesco 19”72, il mondiale che sarebbe stato abbattuto (4 decimi) soltanto nel 1996 dall’”alieno” Michael Johnson.

“Un tempo quasi incredibile anche per me, sebbene avessi fatto un 19”8 manuale, un 19”96, un 20”01, un
20”04 in giornate umide. Ma c’era quell’attesa così carica di tensione, quel clima mai giusto. La mattina del record sentivo che era l’ultima occasione. E lo sentiva anche Vittori”. Raccontano che il Professore,  nervosissimo, quella mattina dette una gran strigliata a Pietro.

Per dargli la carica finale. Mennea ha sempre giurato di non ricordarlo. “E tantomeno gli strizzai l’occhio”. Ma il record arrivò: 2 volte i 100 metri in 9”86! Molti anni dopo qualche dispettoso avrebbe proposto di  abolire tutti i risultati ottenuti in altura. Ma prima d’un ennesimo momento di amarezza, per Mennea  sarebbe arrivato l’oro di Mosca.

Atteso o inaspettato, dipende dai pareri. A Mosca infatti cominciò male, malissimo. Mennea viene eliminato nei 100 metri. Non sembra in forma, pare depresso. Eppure potrebbe approfittare dell’assenza degli  americani, bloccati dal boicottaggio. Il tempo di ammissione alla finale dei 200 lo relega all’ottava corsia, quella esterna, dove è più difficile regolarsi. C’è già chi gli scrive il de profundis: niente di meglio per fare imbestialire la “Freccia del Sud”: “Quelle cose le scrisse gente invidiosa, limitata, che gode a isolare chi si impegna”, ricorda. “Il primo luglio 1980, diciannove giorni prima di partire per l’Olimpiade, mi ero laureato in Scienze Politiche. Gli esami li avevo finiti a Natale, qualche mese dopo il Messico. Dovevo farcela prima
dei Giochi, in Russia la mia mente doveva essere libera”.

Parte la finale, il gallese Wells sembra avere la gara in pugno. Invece, dopo il primo scatto all’avvio, Mennea ha la forza per piazzarne un secondo, e negli ultimi 40 metri brucia allo sprint il rivale. L’arco ha scoccato la freccia. Mezz’Italia ha seguito il volo in apnea e tornerà a respirare solo quanto Mennea ancora una volta solleverà al cielo l’indice destro in segno di vittoria. Il suo gesto. “È il traguardo che mi mancava - dirà - ma dentro di me c’era anche la rabbia e l’amarezza di aver vinto contro tutto e contro tutti, anche quelli che mi avevano linciato e dato per finito”. Mennea si è preso la grande rivincita. Cui ne seguirà un’altra,  nella sua Barletta, a marzo: scende sotto i 20 secondi (19”96), è l’uomo più veloce del mondo anche a livello del mare.

Ubaldo Scanagatta

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