11/04/2013 00:30 CEST - Interviste

Paire: "Llodra è stato un bugiardo"

TENNIS - Benoit Paire, l'enfant terrible del tennis francese, si rivela un ragazzo cortese, simpatico, schietto. Si racconta in questa lunga intervista: gli inizi difficili, un temperamento non sempre facile, i rapporti con i coach, l'amicizia con Wawrinka, la sua versione dello screzio con Llodra a Miami. Simon Alves, We Love Tennis, traduzione di Alessandro Mastroluca

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Paire e Llodra vengono quasi alle mani a Miami
Paire e Llodra vengono quasi alle mani a Miami

La verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Benoit Paire, l'enfant terrible del tennis francese, si rivela un ragazzo cortese, simpatico, schietto. Si racconta in questa lunga intervista raccolta a Guadalupe, durante il Challenger a Le Gosier. Parte dagli inizi difficili, da un temperamento non sempre facile ai rapporti con i coach, spiega le sue ambizioni, l'ammirazione per Federer e all'amicizia con Wawrinka, suo recente compagno di doppio, e fornisce la sua versione dello screzio con Llodra a Miami. Simon Alves, We Love Tennis

Benoît, ho letto che da giovane hai esitato tra il tennis e il calcio, è vero?
Vero! Da piccolo giocavo più a calcio che a tennis. Ho cominciato col tennis a cinque anni, come mio fratello, perché mio padre era presidente di un piccolo club. Adoravo il calcio, però a un certo momento è diventato difficile praticare entrambi.

E cosa ha fatto pendere la bilancia in favore della pallina gialla?
Semplice: se avessi scelto il calcio sarei dovuto andare in un centro di formazione a 13, 14 anni, lontano dalla mia famiglia. E io sono sempre stato molto vicino alla mia famiglia. Da questo la mia decisione, in quanto a tennis potevo giocare rimanendo a casa, con i miei genitori e mio fratello. Francamente, non mi sentivo pronto a partire (…). Sono molto importanti per me, ci sentiamo al telefono tre volte al giorno (ride). Ma ho bisogno di parlare molto con loro (…). Il loro sostegno è la cosa che mi è davvero mancata quando mi allenavo al CNE (…).

Dopo il debutto nel club di tuo padre, sei andato all'Accademia Sophia Antipolis. Come è andata?
Fino a 13-14 anni ero tra i migliori giocatori francesi della mia età e mi allenavo grazie agli aiuti della Federazione. A partire dai 15 anni ho un po' mollato... Non mi allenato tanto, non ero veramente serio, mi innervosivo in campo. Poco a poco ho cominciato a regredire fino a diventare il 20mo giocatore in Francia nella mia categoria d'età. Lì ho cominciato a dubitare. Lascio il tennis? Riprendo col calcio? E non ti dico gli studi... li detestavo. In quel momento una persona amica di mio padre è venuto a trovarlo e gli ha detto: Credo in Benoît, sono convinto che possa fare qualcosa. Sono pronto a pagargli un anno, dovunque lui voglia”. All'inizio i miei genitori hanno esitato ma poi si sono detti che così non potevo andare avanti, che qualcosa bisognava fare. Hanno accettato e ho scelto di andare all'ISP Tennis Academy a Sophia Antipolis (in Costa Azzurra, vicino a Nizza, NdT), perché era al sud. Lì qualcosa è scattato. Mi sono reso conto di quanto l'allenamento fosse importante. Poi, visto che era qualcun altro a pagare e non i miei genitori, non avevo il diritto di sprecare quell'occasione, di fregarmene e fare quello che volevo. Sono diventato più serio e questo ha pagato perché quell'anno ho vinto i miei primi tornei junior, a Cap d'Ail e Istre, e un po' più tardi il mio primo Futures.

La storia di Cap d'Ail è un po' strana. Ti danno una wild card, tu arrivi dal nulla e vinci il torneo!
Sì, è strana (ride). In più, la wild card non l'ho avuta perché giocavo particolarmente bene a tennis. In realtà, quando mi allenavo a Nizza ero molto amico di Léo Dominguez, figlio di Patrice (all'epoca Direttore Tecnico Nazionale, NdT). Léo ha parlato con suo padre, gli ha detto: “Guarda c'è un ragazzo che gioca davvero bene all'accademia...” (…). Patrice comunque non mi ha dato la wild card solo perché suo figlio gli ha parlato bene di me. Ha contattato prima Charles Auffray (direttore dell'ISP Academy di Sophia Antipolis) e lui gli ha confermato che ero bravo. Arrivo là e il primo set lo perdo 6-0. E penso: “Merda (sic: merde, NdT), e adesso?”. Mi riprendo, vinco la partita e il torneo, poi vinco il titolo anche a Istres. Per me è una storia molto simpatica (ride).

In breve tempo, vivi un'altra bella esperienza: i campionati giovanili di Francia, dove raggiungi la finale perdendo da Guillaume Rufin...
E' stato particolare, avevo appena vinto il mio primo torneo Future a Bourg-en-Bresse. Allora la gente si chiedeva cosa ci facessi in un evento junior. Per me restava qualcosa di importante. In finale, Guillaume ha giocato davvero alla grande. Io ero un po' teso, quando ho capito che stavo per perdere ho preso tre penalty point. E da lì è iniziata tutta una storia, perché non mi comportavo beme. Da allora, i miei parenti hanno sofferto. Hanno cominciato a dire: Benoît Paire non arriverà mai, è troppo debole mentalmente. Beh, oggi guardo la classifica: sono numero 33 del mondo.

Quando sei entrato al CNE (il Centro Nazionale d'Allenamento al Roland Garros, NdT), hai scoperto una nuova dimensione? Eri lontano dalla tua famiglia...
Anche a Sophia ero un po' lontano (sorride). Però potevo tornare a casa tutti i fine settimana (…). E poi, al CNE mi sono ritrovato a Parigi, tutto solo. Non è stato facile per me. Lì i genitori sono messi da parte, è l'allenatore e solo l'allenatore a inquadrare i ragazzi. Per me però non funzionava. Se poi aggiungi che me ne sono andato prima del tempo dal CNE quando è cambiato il direttore tecnico nazionale, perché non entravo più nei piani della Federazione... beh, si può dire che non ho ricordi indimenticabili di quel periodo.

Sì, ma alla fine ha portato conseguenze positive per te?
Un po' sì, ma è stato uno choc. Nei due mesi seguenti non ho preso una racchetta in mano. In classifica ero numero 500 o 600. Mi sono chiesto se valesse la pena continuare. Serviva assolutamente trovare una struttura in cui potermi allenare e dove trovare un coach. Sono andato a parlare con Rodolphe Cadart. A Aix-en-Provence. Aveva una piccola struttura in cui si allenavano quattro o cinque giocatori. Mi ha proposto di fare una prova, e il test è stato superato perché è lì che ho incontrato il mio attuale coach, Lionel Zimbler, che se n'era appena andato dalla Lagardère ed era nella mia stessa situazione. (…)

Puoi descriverci la relazione particolare che hai con Lionel?
Lui mi ascolta, ed è importantissimo. È lì per me, cerca di comprendermi. Non cerca di propinarmi verità preconfezionate: “Se fai così arriverai in alto”. Mi prende come sono e cerca di farmi migliorare laddove vede che ho dei problemi. Dialoga sempre con me, discute sempre con me. Cerca di capire perché mi innervosisco, per esempio. Va sempre alla fonte dei problemi. E poi non c'è un dettaglio della mia vita che non conosca. È per questo che sono migliorato.

Infatti, hai bisogno di esprimerti...
Esattamente! Mi ricordo che l'anno scorso, proprio qui a Le Gosier, abbiamo discusso tre ore. Mi ha chiesto come e perché fossi così tanto nervoso in campo. All'epoca, la mia fiducia era molto bassa, avevo l'impressione di non saper più tirare un rovescio. E per me il rovescio è il mio colpo migliore. Ero terribilmente frustrato, mi dicevo: “Diavolo, non saprò più fare un rovescio in tutta la vita... che mi succede? Vanno tutti a rete, tutti!”. Grazie a questo dialogo,  la settimana successiva ho giocato meglio, il problema era stato risolto. Penso sia importante avere un coach che cerca di comprendere il suo giocatore. (...)

Hai un tennis offensivo. Sei una specie in via d'estinzione se guardiamo i top-player. Djokovic, Murray o Nadal si basano su grandi capacità difensive. Come fai a difendere questo tuo stile di gioco mentre si va sempre più verso l'omogeneizzazione di un tennis difensivo?
Perché ho una palla abbastanza pesante, diversa dagli altri. Poi ho un'arma importante, il servizio. Se batti bene, hai per forza palle più corte e più facili da giocare e puoi entrare in campo e venire avanti. Sicuramente Murray e Djokovic hanno un gioco difensivo, o almeno attaccano da fondo. Ma anche guardando gli altri giocatori, ci sono pochi attaccanti, trovo. Nel mio caso, quello che fa la differenza è il peso della mia palla e la mia volontà di fare gioco, di giocare palle corte, soprattutto. Cerco di variare sempre, di non giocare mai due palle uguali di fila ed è questo che mi ha portato al numero 33 del mondo. E che mi permette di sperare ancora. Certo, è vero che facendo così faccio molti più errori degli altri (ride). Se riuscissi a farne un po' meno (…).

Però la tua superficie preferita è la terra battuta. Non è un po' paradossale?
No, perché mi piace avere il tempo di giocare, di creare tennis. Quando gioco sul veloce indoor, per esempio, batto e la risposta torna indietro prestissimo. Così non ho tempo di fare quello che voglio. (…)

Visto che ne abbiamo parlato, qual è la tua ambizione al Roland Garros di quest'anno?
Arrivare alla seconda settimana. (…)

C'è un avversario che sulla terra ti ha fatto impazzire?
Sì... L'anno scorso al Roland Garros ho affrontato Ferrer. Ero un po' stanco perché avevo giocato un match abbastanza duro al turno precedente. E lì... Ferrer è una macchina (…).

Cosa ti manca per avvicinarti ai migliori?
Che mi manca? (ride) Penso sia chiaro! Fisicamente devo potenziare sia il busto che le gambe per essere capace di affrontare meglio le grandi partite. Avere più muscoli su braccia e gambe aiuta per servire meglio e non perdere di efficacia quando magari sei alla fine di una partita al quinto. Ma l'obiettivo numero 1 è migliorare ancora dal punto di vista mentale, perché ci sono sempre delle ricadute anche se devo dire che adesso va molto meglio. Per il resto cerco di fare del mio meglio, credimi, di progredire un po' alla volta. Certamente devo lavorare sulla volée e sul dritto, il mio colpo più debole.

E qual è il tuo obiettivo per la fine della stagione?
Non ho obiettivi! (ride)

Nessuno?
No, non ho mai obiettivi di classifica. Cerco semplicemente di migliorare. Certo, guardo il ranking ma mi dico che se miglioro gioco e risultati migliorerà anche la classifica. Non mi piacerebbe dire che voglio arrivare top-30 o top-20 per non restare deluso in caso non dovessi riuscirci. Meglio non dire niente, anche se una piccola idea ce l'ho...

Però se hai un'idea puoi anche confidarmela (sorride)
Sì, hai ragione (ride). Mi piacerebbe moltissimo entrare tra i top-30 ed essere testa di serie al Roland Garros.

Questa tua crescita ti avvicina a qualcosa di un po' più nazionale e internazionale...
La Coppa Davis (sorride). (…) Per me, come per ogni giocatore francese, la Davis è molto importante. È... è il Graal.

(…)

Pensi che il tuo alterco con Llodra possa influenzare Arnaud Clément al momento di fare le convocazioni?
No. Se non mi ha scelto per i quarti con l'Argentina è perché gli altri sono migliori di me. Ne ho già parlato con Arnaud, non gli ho nascosto niente. (…)

Se ne è già parlato sui media ma puoi ricordarci cosa è successo con Mika a Miami?
E' semplice. Comincio bene l'incontro, faccio il break, gioco bene tre game. In questi tre giochi non succede niente. Tutti possono testimoniarlo, tutti possono dirlo, compreso l'arbitro. Siamo 3-0 per me, e al cambio campo mi dice: “Non fare lo stronzetto (petit merdeux), non sono Gilles Simon”. Io ero ancora là seduto e gli dico: “Che hai detto? Che c'è?”. E lui: “Ascolta, mi devi rispettare, ho otto anni più di te, perciò chiudi la bocca”. Io gli rispondo a tono: “Ascolta, Mika, non parlarmi così, non sono il tuo cane”. E lui continua a dire cose tipo: “Oh sì, continua così, farai strada!”. Dei trucchetti ridicoli, che magari possono anche farti vincere una partita. Però che non vada davanti ai giornalisti a dire che sono stato io a insultarlo. L'arbitro sa cosa è successo, l'ATP sa cosa è successo, tutti lo sanno: io non l'ho mai insultato. Così, quando ho letto che gli avrei dato del “mangia-merda” (mange-merde), francamente sono rimasto molto deluso. Avrebbe almeno potuto dire la verità invece di farmi passare come quello che l'ha insultato, cosa non vera. (…) Questa cosa è ancora troppo difficile da digerire, mi ha fatto soffrire molto perché non me l'aspettavo proprio.

(…)

Hai detto che non volevi più parlare con lui. E' stata una reazione a caldo o...
No. Lo apprezzavo molto, sul circuito vado d'accordo con tutti, non ho problemi con i giocatori. Sono quantomeno piuttosto aperto, qualche volta “faccio lo scemo”, posso far divertire. E Mika è stato falso con me, mi ha insultato in campo alla prima occasione. E non può passare una cosa del genere, soprattutto se arriva da qualcuno che apprezzi. Non si fanno queste cose, no? Non mi va di parlare a uno che mi tratta così. Per me Mika è solo uno che se ne frega degli altri, che vuole solo vincere con qualunque mezzo.

Ti aspetti un primo passo da parte sua?
No, anche se ci fosse un primo passo, non so se sarei capace... E' stato duro, io sono molto sensibile, mi ha toccato molto. Sapevo che lo faceva per vincere la partita, per farmi imbestialire (…).

Riguarda anche la tua reputazione, comunque.
Sì. Io sono sempre stato impulsivo, ma sempre rivolto contro di me. Non ho mai insultato nessuno. D'accordo, spacco le racchette, ma il mio nervosismo ha a che fare con me e basta. Non ho mai detto “vaffanculo” (sic) a nessuno. Non è da me.

Ma sei d'accordo con la tua immagine di giocatore collerico?
Ma certo, sono completamente d'accordo, so come sono! So che posso essere stupido in campo. Ma è sempre in rapporto al mio gioco, a me. Francamente, io accetto tutto quello che si dice di me finché p vero. Sinceramente. È vero che mi innervosisco, che sono collerico, ma le cose vanno meglio. Se qualcuno mi avesse visto a dieci anni.... oggi direbbero che sono un angelo (ride). Sono collerico, ma mi sto sforzando di controllarmi, credimi. 

(…)

Se dovessi indicare un solo ricordo, il più bello, della tua carriera quale sarebbe?
Sono pieno di bei ricordi (ride). Ne ho anche molti di brutti, ma faccio uno sforzo. Ce n'è uno che resterà per sempre, ed è la mia vittoria in doppio con Stan (Wawrinka a Chennai quest'anno, NdT). Apprezzo enormemente Stan. Vincere un titolo con lui in doppio... Ero più felice che se avessi vinto un torneo in singolare! Per me ha davvero rappresentato qualcosa. (…) Tutta la settimana siamo stati insieme, ci siamo incitati, incoraggiati. Resterà qualcosa di fortissimo. Una vittoria in doppio con Stan, il mio migliore amico... Troppo bello!

Come vi siete incontrati con Stan?
Semplice. Il mio coach lo conosceva un po'. Mi ha presentato Stan tre anni fa durante un torneo a Stoccolma. Io giocavo le qualificazioni allora, per me Stan era un giocatore molto, molto forte. Poco a poco abbiamo iniziato a conoscerci. L'anno scorso, a Chennai, abbiamo passato insieme tutta la settimana. Tra noi c'è stata un'ottima intesa, e non c'è alcuna rivalità. Lui è svizzero, io francese. Io sono giovane, lui lo è un po' meno. Il nostro è un rapporto sano. Quando vince, io sono felicissimo.

Ti dà dei consigli?
Sì, e io lo ascolto quando mi parla di tennis. E' stato top-10, sa di cosa parla. Stiamo insieme durante i tornei. Possiamo dirci la verità, lui sa tutto di me, io so tutto di lui. Ci fidiamo l'uno dell'altro. Abbiamo giocato insieme tre volte e non ci sono mai stati problemi. È un ragazzo onesto e sensibile, esattamente come me. E' molto simpatico e abbiamo molto in comune, anche se lui è più appassionato di hockey che di calcio (ride)!

Traduzione di Alessandro Mastroluca

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