04/07/2013 01:13 CEST - Wimbledon

Maglie strappate, computer ed ace: il mondo di Janowicz

TENNIS – I genitori pallavolisti hanno venduto case e negozi per aiutarlo a realizzare il suo sogno. “Se non avessi fatto il tennista sarei stato un hacker!”. Il gigante buono vuole stupire ancora. Da Wimbledon, Alberto Giorni

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Jerzy Janowicz
Jerzy Janowicz

Si può arrivare in semifinale a Wimbledon senza amare l’erba? Pare proprio di sì. Sabine Lisicki ne è addirittura allergica (le provoca starnuti a ripetizione) e anche Jerzy Janowicz non la ama. "Non mi piace giocare sui prati – ha detto qualche settimana fa –. Per ottenere buoni risultati, basta avere un servizio potente. L’erba rende i tennisti quasi tutti uguali”. Per fortuna che non gli piace, verrebbe da dire. Con 30 ace, il polacco ha demolito il connazionale e amico Kubot, prima di sciogliersi in lacrime e di scambiare la maglia con lui in stile calcistico.

Ma Janowicz non è solo un bombardiere di 203 centimetri e 91 chili (anche se in un challenger ha servito addirittura a 251 Km/h!). E’ pugno di ferro in guanto di velluto: possiede anche una mano educata, che gli consente di giocare una pregevolissima smorzata subito dopo un dritto al fulmicotone, e non disdegna soluzioni tattiche imprevedibili. A 22 anni il futuro è dalla sua parte ed è una fortuna che non abbia seguito la strada dei genitori, entrambi pallavolisti (la mamma ha giocato anche in Nazionale).

Il “piccolo” Jerzy (sarà stato uno stangone già allora!) ha preso in mano la prima racchetta a cinque anni e non se n’è più staccato. La sua carriera sarebbe potuta finire presto per mancanza di soldi: i suoi genitori hanno fatto di tutto per permettergli di coltivare la sua passione, vendendo negozi e appartamenti.

Finalista al Roland Garros e US Open Juniores, un anno e mezzo fa Janowicz era fuori dai primi 200 del mondo: alla fine di Wimbledon entrerà tra i primi 20. Tutto è cambiato al Masters 1000 di Parigi Bercy dello scorso novembre. Janowicz si è fatto conoscere superando proprio Murray (suo prossimo avversario), oltre a Kohlschreiber, Cilic, Tipsarevic e Simon, arrendendosi solo a Ferrer in finale.

Ma il polacco ha conquistato le simpatie degli appassionati anche per i suoi atteggiamenti scanzonati. All’Australian Open e a Roma ha festeggiato le vittorie strappandosi la maglia come l’incredibile Hulk; qui a Wimbledon, dopo il successo con Melzer ha lanciato le scarpe in tribuna. E su YouTube è cliccatissimo un video che risale all’Australian Open, in cui contesta una decisione arbitrale ripetendo ossessivamente: “How many times?” (clicca qui per vederlo).

Non ama molto le interviste ed è piuttosto sospettoso con i giornalisti: “Il momento più difficile dopo Bercy? Passare da un’intervista tv all’altra – ha raccontato –, non avevo più tempo libero. Spero che in Polonia i mass media non mi facciano la guerra: basta perdere due partite e sono pronti a processarti”.

Ha rischiato di giocare in Coppa Davis sotto un’altra bandiera: quando nel 2006 vinse il primo torneo juniores internazionale in Arabia Saudita, è stato avvicinato da un emissario che gli ha proposto di giocare per il Qatar, ma lui non si è fatto ingolosire e ha continuato a difendere i colori della sua Polonia. Il suo idolo d'infanzia era Pete Sampras: quando l’americano si ritirò, Janowicz scherzosamente disse alla mamma che anche lui non avrebbe più giocato a tennis.

E se non avesse sfondato nel circuito? Si sarebbe occupato di computer. “Sarei diventato un hacker! – ha spiegato sorridendo –, amo i computer e i programmi per pc più strani. Mi piace giocare anche alla Playstation, quando sono in giro per i tornei me ne porto dietro una portatile”. Ma ora non è in un videogame, bensì in semifinale a Wimbledon. Quello vero.

Da Wimbledon, Alberto Giorni

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