02/09/2013 12:51 CEST - Us Open

Djokovic: "La guerra ha reso noi serbi più forti"

TENNIS - Traduzione di Alessandro Mastroluca

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Parlando di conferenze stampa, ho sentito che (…) hai assunto l'ex coach di Ivan Lendl per aiutarti proprio a gestire al meglio le conferenze stampa.
Le conferenze? No. Lui si occupa più di questioni di campo, non dei rapporti con la stampa. E' un consulente per me e per il mio coach. E' entrato nello staff agli Us Open per la prima volta. Cerchiamo di vedere come va, e finora sta andando molto bene. E' nel mondo del tennis da 30 anni, come giocatore, come coach, e ha una grandissima esperienza, una grandissima conoscenza di questo sport.

Sembra che tu stia cercando di venire più a rete. Qual è la cosa più difficile per te una volta a rete?
Giocare una volée vincente (sorride). Naturalmente non sono a mio agio a rete come a fondo campo, ma ci sto lavorando. E' una parte del mio gioco che devo ancora migliorare, lo so. Mi fa piacere avere ancora spazio e tempo per farlo, e passo ore e ore in campo cercando di lavorare sulla varietà nel mio tennis. E soprattutto sul servizio, mi servono più punti diretti.

Sei il fratello maggiore in una famiglia piena di tennista. Che consiglio dai ai tuoi fratelli che stanno cercando di farsi strada nel circuito?
Ce n'è più di uno, ma quello che provo a fare è permettere loro di avere il tipo di futuro che desiderano. E' vero, stanno facendo il mio stesso sport e io posso aiutarli molto. Ho passato moltissimo tempo sul campo con loro negli anni, dando loro i consigli necessari per restare nella giusta direzione nella vita. Ma come ho detto, è importante che siano loro a decidere autonomamente cosa è buono e cosa no per loro. Penso che loro sappiano da soli cosa sia meglio per loro. E' chiaro, io sono il fratello maggiore, e loro hanno tutti i benefici visto che ho successo e posso permettermi di dare anche a loro un ottimo staff. Ma ci sono anche molte pressioni, tante aspettative per loro, visto che sono miei fratelli. Spero un giorno che potranno giocare negli slam, che potremo giocare tutti insieme.

Ana Ivanovic ha detto cose bellissime su di te, ricordando che da piccoli giocavate a nascondino. Quando c'erano i bombardamenti, se c'era una partita potevi sì finirla ma non iniziarne una nuova. Potresti raccontarci quello che hai scritto nel tuo libro, ricordando i giorni in cui cadevano le bombe, tuo padre ti chiamava e tu ti chiedevi dove fosse tuo fratello? Cosa ti passava per la mente allora?
Quel periodo particolare per me e per i miei connazionali in Serbia è un periodo che non auguriamo a nessuno di vivere. La guerra è la cosa peggiore per l'umanità. Nessuno vince davvero. Ma quei due mesi e mezzo ci hanno reso più forti. Cerchiamo di guardare a quel periodo e vedere il lato positivo. Eravamo bambini, avevamo 12 anni. Pensavamo, okay, non dobbiamo andare a scuola, possiamo giocare di più a tennis. Così abbiamo passato praticamente tutto il giorno, tutti i giorni, sui campi da tennis con gli aerei che volavano sulle nostre teste. Non ci preoccupavamo. Dopo una settimana o due di bombardamenti, siamo andati avanti con le nostre vite. Facevamo tutto quello che potevamo e volevamo. Abbiamo lasciato che la vita decidesse per noi. Non era più in nostro controllo, eravamo indifesi. Fortunatamente, siamo tutti sopravvissuti, e abbiamo preso questa particolare esperienza, questa situazione come una grande lezione di vita, come qualcosa che ci ha permesso di essere mentalmemnte più forti, che ci ha fatto capire davvero cosa voglia dire partire da zero, non avere niente e arrivare dove siamo adesso. Penso che queste particolari esperienze ci abbiano aiutato a capire i valori veri della vita e di apprezzare quello che abbiamo ricevuto molto di più di quanto avremmo fatto se non avessimo passato quei momenti.

Traduzione di Alessandro Mastroluca

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