17/02/2014 12:13 CEST - NON SOLO TENNIS

Ricordo di Piero D'Inzeo e di suo fratello Raimondo

NON SOLO TENNIS - Nel libro scritto da Ubaldo Scanagatta per i 50 anni del Credito Sportivo "Mezzo Secolo di Campioni", per ogni anno dal 1957 al 2011, sono stati tratteggiati i profili di due campioni. Fra questi i due mitici fratelli D'Inzeo qui riproposti dopo la scomparsa di Piero, pochi mesi dopo Raimondo.

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Raimondo D'Inzeo in sella a Posillipo
Raimondo D'Inzeo in sella a Posillipo

PIERO D'INZEO

Le Olimpiadi del maggiore dei fratelli D’Inzeo, Piero, rischiarono d’essere sette invece di otto per un equivoco linguistico. Aveva già partecipato ai Giochi di Londra del ’48, ma ad Helsinki nel ’52 era già sul campo di gara con il suo cavallo Uruguay quando il cavaliere che lo precedeva fece una strage di ostacoli. Per rimetterli tutti a posto ci sarebbe voluto del tempo e Piero d’Inzeo aveva paura che i muscoli di Uruguay si freddassero nell’attesa. Chiese allora al commissario del paddock di poter lasciare il campo. Il commissario parlava finlandese, D’Inzeo si spiegò a gesti e credeva d’esser stato compreso. Non fu così. “Quanto tornai sul campo il commissario mi impose di andare a rifare il peso che allora era di 75 kg, sella compresa. Mi precipitati a farlo, ma quando tornai il cavaliere in lista dopo di me era già in campo. Insomma ero eliminato ancor prima di gareggiare. Un dispiacere enorme, aggravato dal fatto che nell’occasione non mi sentii difeso dal presidente federale Ranieri di Campello che era anche il nostro capo equipe”.

 Se Piero D’Inzeo non avesse lì fatto parte anche della squadra di completo, arrivando sesto in sella a Pagoro, la presenza a quell’Olimpiade per lui non avrebbe forse potuto essere computata e Raimondo ne avrebbe dunque fatta una in più. Raimondo che da commissario tecnico sarebbe andato anche alle Olimpiadi di Los Angeles 1984, mentre entrambi i fratelli furono costretti a rinunciare all’ultimo momento ai Giochi di Mosca 1980 quando le autorità militari decisero di boicottare la manifestazione organizzata dai sovietici per solidarietà alle nazioni firmatarie del Patto Atlantico con gli Stati Uniti.

Piero, argento a Roma 1960 e bronzo a Stoccolma 1956 nell’individuale, ha condiviso con Raimondo tutte le medaglie a squadre e disputato 61 coppe delle Nazioni. Quarto ai mondiali di Parigi (1953), è il solo italiano ad aver vinto per tre volte di fila la King George V Cup (‘57 su Uruguay, ’61 e ’62 con The Rock). Con Raimondo, Graziano Mancinelli e Vittorio Orlandi _ medaglia di bronzo a Monaco _ ha formato il quartetto più forte della storia dell’equitazione italiana, uno sport nobile ed aristocratico allora. “Ma a fondo di ogni nobiltà equina o equestre _ ricordava il generale Mangilli _ se scavate troverete sempre anche un palafreniere”.

    RAIMONDO D’INZEO

    L’UOMO CHE SUSSURRAVA AI CAVALLI


    Più di mezzo secolo a cavallo, otto Olimpiadi per Raimondo e otto anche per Piero, ventotto fratture per Raimondo e diciotto per Piero.

    Le otto partecipazioni ai Giochi furono consecutive, dal 1948 al 1976. Soltanto un velista austriaco, Hubert Raudaschl, ha partecipato a più edizioni di loro _ nove in mare più una dalla banchina del porticciolo di Mergellina _ ma due fratelli così presenti alle Olimpiadi non li ha mai avuti nessun Paese e nessuno sport.

    Eppoi i due D’Inzeo non si limitavano a partecipare in puro spirito De Coubertin, ma vincevano, e vincevano pure tanto, attraversando tutta la storia più gloriosa della nostra equitazione. Una striscia di vittorie quasi infinita.

    Non a caso Raimondo, classe 1925 e due anni più giovane di Piero, una ventina d’anni dopo essere sceso (agonisticamente) da cavallo e ventitre dopo l’ultima vittoria nel concorso ippico di Palermo su Stranger (1975), sarebbe stato consacrato da un sondaggio condotto tra i giornalisti specializzati di tutto il mondo nel ’98 come il miglior cavaliere della storia equestre.

    Il ventennio trascorso non aveva minimamente appannato il ricordo delle sue sei medaglie olimpiche, della classe, della straordinaria capacità di improvvisarsi cavaliere estroso, della formidabile attitudine agonistica, del grande temperamento (pur a volte un po’ indisciplinato) a confronto con il modo di montare assolutamente ortodosso, stilisticamente perfetto, elegante ai confini della metafisica e dell’astrazione, di suo fratello Piero, definito addirittura come “il ragionatore freddo”.

    Saranno state anche queste caratteristiche così diverse a far volare a terra Raimondo molte più volte di Piero. Lo ha battuto 28 fratture a 18, un duello per certi versi spaventoso. Immaginate che cosa deve aver provato la madre.

    “Raimondo era il più bravo di tutti _ ha sempre detto Piero prima di aggiungere _ e sono certo che lui pensi lo stesso di me”. E Raimondo, senza mai manifestare il minimo dubbio: “Piero? Il migliore: nessuno sarà mai a cavallo come lui”.

    Non era così facile avvicinare i D’Inzeo, nei primi tempi. Il perché lo spiegò un dirigente FISE: “Quando crebbero qualcuno tentò di dividerli con il seme della discordia. E loro non l’hanno dimenticato”.

    Già, fin da quel tentativo maligno e abortito, i due fratelli sono sempre stati unitissimi e mai rivali, sebbene i loro aficionados fossero invece fortemente divisi, partigiani di Raimondo i più anticonformisti, di Piero i più tradizionalisti. “Siamo sempre stati l’uno il consigliere dell’altro. L’equitazione ci ha avvicinato, piuttosto che allontanarci” hanno sempre detto all’unisono i Dioscuri.

    Sui cavalli, però, l’hanno sempre pensata diversamente: “Piero sostiene che sono stupidi, io credo invece che siano intelligenti, o perlomeno sensibilissimi”

    Sul palmares olimpico individuale di Raimondo figura l’oro di Roma 1960, l’argento di Stoccolma quattro anni prima, quando l’equitazione fu ospite della Svezia perché a Melbourne la quarantena avrebbe impedito lo sbarco dei cavalli. Nelle gare a squadre Raimondo è stato argento sempre nel ’56 e tre volte bronzo a Roma ’60, Tokyo ’64 e Monaco ’72. In squadra con lui c’era sempre anche Piero.

    Ai mondiali Raimondo ha conquistato due ori, un argento e un bronzo. In più di 100 Gran premi disputati ne ha vinti 26. Il primo exploit fu Roma (1956) con il suo “storico” cavallo Merano, lo stesso dei due argenti svedesi, del mondiale di Aachen.

    Dopo quel cavallo dal nome…nordista, Raimondo optò per un altro dal nome sudista, Posillipo _ entrambi erano in realtà nati nel Salernitano _ con il quale condivise l’indimenticabile gioia della medaglia d’oro ai Giochi di Roma 1960, precedendo Piero su The Rock.

    “Merano lo vidi che aveva 4 anni. Era il più disarmonico del branco. Ma mi colpì la struttura e, più ancora forse, lo sguardo. L’addestrai con costanza e affetto. Aveva coraggio, mai paura, grande cuore. Per problemi con la Federazione, mi trovai costretto a venderlo. Lo prese un ottimo cavaliere, Sandro Perrone, che non ebbe alcuna colpa se Merano di colpo divenne un brocco. Non vinceva più semplicemente perché gli era mancato l’abituale sostegno affettivo. Lo ricomprai e ricominciò a volare sugli ostacoli. Tornato alla caserma Pastrengo era di nuovo felice. Posillipo invece era un cavallo totalmente diverso. La tenuta nervosa era piuttosto scarsa. Addestrarlo non fu affatto facile. Ci volle grande pazienza”.

    Fuoriclasse assoluto, Raimondo. Eppure la prima volta che a 7 anni era montato a cavallo, aveva avuto paura e s’era messo a piangere. “Mio padre non mi parlò per due mesi. Mi perdonava la paura, non le lacrime. La sera parlava di cavalli con Piero che gli aveva già procurato soddisfazioni per lo stile, la compostezza naturale, innata. Io mi sentivo tagliato fuori. Implorai mia madre di intercedere perché mi concedesse di ritentare”. Per fortuna dell’equitazione italiana, e mondiale, l’intervento materno ebbe successo e Raimondo D’Inzeo non è praticamente mai più smontato di sella.

    Il papà dei D’Inzeo, Costante, era cresciuto in mezzo ai cavalli, nelle terre abruzzesi dei suoi. Così sotto le armi, nei Lancieri a Firenze, s’era mostrato provetto cavaliere. Il fratello Silvio era studente universitario. All’epoca un fratello poteva sostituire un altro nei servizi di leva, ove la famiglia ne dimostrasse necessità. Per Silvio si sacrificò allora Costante, rimasto sotto le armi anche durante la prima Guerra Mondiale. Il suo coraggio gli valse il grado di maresciallo e una Croce al Merito. Sposatosi nel ’21, padre di Piero nel ’23 e di Raimondo nel ’25, campione d’armi nazionale nel ’26, Costante studiò a fondo la tecnica di Caprilli modificandola: portare il cavallo fino davanti all’ostacolo per lasciarlo libero di saltare. I suoi cavalli saranno quelli addestrati meglio al mondo. Diventando perfino più importanti dei loro cavalieri. Nasello, un nome per tutti, diventerà cavallo da leggenda. Mentre per lo stile inappuntabile tutti guardano a Tommaso Lequio di Assaba, cavaliere d’oro ad Anversa (1920), d’argento a Parigi (1924).

    Costante D’Inzeo si trasferisce a Roma, al Genova Cavalleria con Piero e Raimondo. I fratelli diventano, naturalmente, gli allievi più seguiti. Piero, che monterà anche il pony appartenente ai figli di Benito Mussolini, resta il pupillo prediletto. Segue scrupolosamente le indicazioni del padre, si lascia guidare con maggiore umiltà, rispetta di più i cavalli. Raimondo è più impulsivo. Se c’è da richiamare il cavallo che si rifiuta di saltare non si perita. Se ritien di “stimolarlo” con la gamba all’indietro che scandalizza il padre purista lui stimola.

    C’è competitività fra i fratellini, fino al liceo, prima dello scoppio della seconda Guerra e l’apertura della scuola di equitazione, la Società Ippica Romana (1034) da parte di Costante D’Inzeo nell’ex fabbrica di mattoni alla Farnesina. Papà è severo, i cavalli peggiori e più difficili da domare sono i loro. Cadute, infortuni e fratture. Piero ha più stile, Raimondo più grinta. Ai primi concorsi una volta Raimondo reclama contro Piero, un’altra Piero rifiuta di prestargli un suo cavallo. Entrambi finiscono in Accademia, a Modena Piero, a Lecce Raimondo che, a sorpresa, viene convocato (1947) per il concorso di Ginevra. Ventidue anni, ma salta come un veterano. Se la cava alla grande.

    Più tardi (1950) Raimondo entrerà nell’Arma dei Carabinieri e gareggerà sempre in divisa, “riconoscente all’Arma che mi ha insegnato la giusta mentalità con cui affrontare la carriera, sia militare che sportiva”.

    Anno dopo anno, concorso dopo concorso e successo dopo successo, da Parigi a Hickstead, dopo il nono posto ai Giochi di Helsinki (1952), e l’argento ai mondiali di Aquisgrana nel ’55 alle spalle del formidabile tedesco Winkler, Raimondo scopre e tira su Merano. Ci vince i mondiali ’56 (ancora ad Aquisgrana), si ripete a Venezia (’60) su Gowran Girl.

    Fino all’apoteosi, il momento della massima gloria. Raimondo si ritrovò all’ultima giornata delle Olimpiadi romane con il peso psicologico di chi è l’ultimo a poter procurare una medaglia all’Italia. Ma gli toccò scendere sul terreno di Piazza di Siena per primo, non certo un vantaggio. Percorso netto! Una mazzata per il morale dei suoi avversari, l’inglese David Broome, l’americano George Morris, il tedesco Hans Gunther Winkler scivolati così indietro da rendere vana ogni rimonta. Nonostante tre errori nella seconda manche dell’emozionatissimo Raimondo arriva la vittoria più importante della luminosa, lunghissima carriera. Oro. E argento per Piero, nonostante un inciampo di The Rock nel secondo percorso. I fratelli diventano “I Dioscuri”. In quell’anno da incorniciare Raimondo, a 36 anni, diventa anche campione del mondo. Con l’esperienza si era fatto più saggio. Imparando a “gestire” al meglio i cavalli, impiegandoli se in forma, risparmiandoli se stanchi, per averli al massimo del potenziale nel giorno più importante. Scelte non sempre popolari da compiere, come quando giunto con Fiorello al barrage finale del Ranieri di Campello a Piazza di Siena (1972) contro un solo cavaliere e vedendo il cavallo sfinito, decise di rinunciare. Piovvero cascate di fischi da parte degli spettatori delusi. Ma Raimondo aveva fatto la cosa più giusta. E tre giorni dopo Fiorello lo ringraziò sul campo, saltando magistralmente per aiutarlo a vincere una prestigiosa Coppa delle Nazioni.

    Chi fosse interessato ai due libri "50 anni di Credito Sportivo, Mezzo Secolo di Campioni", scriva a direttaubitennis@gmail.com. Ne sono rimaste poche copie.

    I 110 campioni di 28 diversi sport  raccontati nelle 256 pagine complessive, illustrati da oltre 600 foto, sono due per anno:
    1957 Coppi-Bartali, 1958 I fratelli Mangiarotti, 1959 Pietrangeli-Gardini, 1960 Berruti-Consolini, 1961 Monti-Nones, 1962 Ragno-Lonzi, 1963 Rivera-Mazzola, 1964 Menichelli-Pamich, 1965 Gimondi-Adorni, 1966 Di Biasi-Cagnotto, 1967 Benvenuti-Mazzinghi, 1968 Zoff-Albertosi, 1969 De Magistris-Pizzo, 1970 Riva-Boninsegna, 1971 Thoeni-Gros, 1972 Raimondo e Piero D'Inzeo, 1973 Calligaris-Lamberti, 1974 Agostini-Ubbiali, 1975 Ferrari-Alboreto, 1976 Panatta-Barazzutti, 1977 Bettarello-Munari, 1978 Simeoni-Dorio, 1979 Saronni-Lanfranco, 1980 Mennea-Da Milano, 1981 Giuseppe,Carmine,Agostino Abbagnale, 1982 Rossi-Conti, 1983 Cova-Panetta, 1984 Moser-Argentin, 1985 Maldini-Bergomi, 1986 Canins-De Zolt, 1987 Meneghin-Riva, 1988 Bordin-Maenza, 1989 Baresi-Scirea, 1990 Bernardi-Lucchetta, 1991 Bugno-Chiappucci, 1992 Compagnoni-Kostner, 1993 Baggio-Vialli, 1994 Di Centa-Fauner, 1995 Tomba-Ghedina, 1996 Trillini-Rossi, 1997 Chechi-Cassina, 1998 Pantani-Ballerini. 1999 Belmondo-Piccinini, 2000 Rosolino-Fioravanti, 2001 Idem-May, 2002 Cipollini-Bartoli, 2003 Rossi-Biaggi, 2004 Vezzali-Baldini, 2005 Sensini-Magnini, 2006 Cannavaro-Buffon, 2007 Bettini-Ballan, 2008 Totti-Del Piero, 2009 Pellegrini-Filippi, 2010 Schiavone-Pennetta, 2011 Zoeggeler-Kostner

Ubaldo Scanagatta

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