22/02/2014 13:16 CEST - Non solo tennis

Olimpiadi, sempre la solita vecchia storia

NON SOLO TENNIS – Ancora una volta l’appuntamento olimpico risulta fortemente condizionato da fattori completamente estranei alla semplice valutazione delle prestazioni degli atleti. Dal doppio furto contro Vera Caslavska a Città del Messico alla ridicola vittoria di Dimosthenis Tampakos ad Atene nella ginnastica passando per lo scandaloso verdetto contro Roy Jones a Seoul nel pugilato, ripercorriamo le pagine più tristi che lo sport possa offrire. Daniele Camoni

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Kim Yu Na
Kim Yu Na

Confesso di essere rimasto alquanto deluso dalla non-vittoria di Kim Yu-Na – ribattezzata più che opportunamente “Queen” Yu-Na dai sostenitori più accaniti – nella prova del pattinaggio di figura, nonostante il risultato non sia certo da imputare a suoi errori di esecuzione o di imprecisione nella pattinata. Non è certo neanche colpa di Adelina Sotnikova, tanto giovane quanto brava, quanto piuttosto di un deprecabile “vizietto” caratterizzante tutte quelle specialità in cui il risultato dipende dal punteggio e dalla soggettività dei giudici (ginnastica artistica e ritmica alle olimpiadi estive, pattinaggio in quelle invernali) : leggasi, l’abitudine a favorire l’atleta di casa, ad avere più di un occhio di riguardo, ad essere di manica larga.

Spesso questo giochetto perverso viene furbescamente fatto passare sotto traccia, in modo da non dare troppo nell’occhio e far sì che la brevissima distanza che separa gli atleti possa essere discussa sulla base di raffinatezze tecnico-stilistiche sempre soggette all’opinabilità delle parti. Oggi si è fatto l’esatto contrario e (quasi) nessuno è caduto in un tranello ordito senza delicatezza alcuna.

Dopo il ritiro traumatico di Evgeni Plushenko – il quale, comunque, ben difficilmente avrebbe potuto superare il giapponese Hanyu ed il canadese Chan alla luce delle sue attuali condizioni – e la ancor più dolorosa caduta della squadra di hockey su ghiaccio maschile contro la Finlandia, la Grande madrepatria russa aveva per forza di cose bisogno di un successo che la collocasse in cima al mondo olimpico di Sochi in una specialità di peso. A qualsiasi costo.

Kim Yu-Na è stata, ancora una volta, perfetta tecnicamente ed elegante come solo lei sa fare. Dopo averla osservata danzare sulle note meravigliose di un tango di Astor Piazzolla, chiunque era convinto di aver assistito ad uno spettacolo di quelli che si ricordano per sempre, da coronarsi con una più che meritata medaglia d’oro. Invece il sogno di eguagliare il doppio trionfo olimpico di Katarina Witt (Sarajevo ’84 e Calgary ’88) si è sciolto come neve al sole per colpa di una giuria troppo suggestionata dall’ambiente circostante e dalla nazionalità delle beniamine di casa.

Già con Yulia Lipnitskaya la tremenda “generosità” dei giudici era palesemente venuta fuori : assurdo, ad esempio, vederla davanti alla stupenda ritiranda Mao Asada nelle cd. “componenti del programma” del libero. Con Adelina Sotnikova, a volte imprecisa e non sempre pulita negli atterraggi sui salti, semplicemente non sono più riusciti a trattenersi. Insomma, un vero peccato che una gara di così alto livello – coronata anche da una splendida Carolina Kostner – sia stata inficiata da una decisione (eufemisticamente) oltremodo discutibile.

Non è certo la prima volta che l’appuntamento olimpico (invernale o estivo che sia) viene influenzato da sottili giochi di geopolitica sportiva (e non solo) : i grandi appassionati della “nobile arte” avranno ancora in mente la celebre telecronaca di Rino Tommasi su Telecapodistria delle Olimpiadi di Seul 1988, quando il maestro gridò sdegnato al “più grande scandalo nella storia del pugilato, alla più grossa rapina mai perpetrata su un ring” di fronte alla scandalosa vittoria di Park Si-Hun nella categoria superwelter contro Roy Jones. I giudici che votarono a favore del coreano furono poi sospesi, una volta appurato che erano stati corrotti da ufficiali locali. Jones però non si vedrà mai assegnata quella medaglia, da allora intrisa di scandalo e vergogna.  

Gli annali dello sport ricordano anche il doppio furto perpetrato – in quel di Città del Messico 1968 – ai danni della ginnasta cecoslovacca Vera Caslavska, colpevole di essersi opposta all’invasione sovietica ed aver appogiato la cosiddetta Primavera di Praga. Privata della medaglia d’oro nell’esercizio alle parallele asimmetriche in favore della sovietica Natalia Kuchinskaya e poi umiliata con un ricalcolo dei punteggi ad esercizio concluso che le affiancò sul gradino più alto del podio Larisa Petrik nel corpo libero, Vera espresse tutto il suo disappunto e sconforto voltando lo sguardo verso il basso nel mentre l’inno sovietico veniva suonato. Verrà di fatto costretta al ritiro dalla sua Federazione e condannata all’isolamento totale fino alla caduta del regime comunista.

Potremmo infine ricordare anche  il discutibilissimo oro di Evan Lysacek a Vancouver 2010 nel pattinaggio di figura (ai danni di Evgeni Plushenko) e quello scandaloso del tremebondo greco Dimosthenis Tampakos agli anelli in quel di Atene 2004, con Yuri Chechi che indica in mondovisione come il vero vincitore sia il bulgaro Jordan Jovtchev, mentre Tampakos non ha quasi neanche il coraggio di farsi la foto di rito (forse ben consapevole di essere arrivato immeritatamente primo)

Kim Yu-Na è ormai ragazza di notevole esperienza per il pattinaggio artistico, avendo già compiuto 23 anni. Il desiderio (di difficile realizzazione) è che questa immeritata delusione le dia la spinta per arrivare alle prossime olimpiadi invernali di Pyeongchang (Corea del Sud) e coronarsi nuovamente campionessa. Senza aiuti di nessuna sorta.

 

Daniele Camoni

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