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Reading: Luca Arca guida l’Italia del Wheelchair a Parigi: “Per me non è un traguardo, ma un punto di partenza. Il tennis mi ha salvato” [ESCLUSIVA]
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Interviste

Luca Arca guida l’Italia del Wheelchair a Parigi: “Per me non è un traguardo, ma un punto di partenza. Il tennis mi ha salvato” [ESCLUSIVA]

"All'inizio un po' abbandonato dalla Federazione, mi sono sempre arrangiato" così l'atleta paralimpico ai suoi primi Giochi. "In Italia sono l'unico a questo livello"

Last updated: 28/07/2024 19:20
By Margherita Sciaulino Published 26/07/2024
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12 Min Read
Luca Arca - Weelchair

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti”, cantava John Lennon con la canzone Beautiful Boy. Una frase che sembra riassumere gran parte della vita di Luca Arca, il 31enne originario di Bono (Sardegna) che a partire dal 28 agosto rappresenterà l’Italia del tennis in carrozzina alle Paralimpiadi di Parigi.

Luca ha giocato a calcio fino ai 15 anni. Era lo sport più diffuso nel paesino della Sardegna centrale dov’è cresciuto. Nell’ottobre del 2008, un brutto incidente in auto lo costringe a mettere una protesi alla gamba destra dal ginocchio in giù. Solo qualche mese prima, Luca iniziava ad appassionarsi di tennis, in particolare, di Roger Federer. E così, nei tre mesi di degenza in ospedale e nei tanti viaggi in uno dei migliori centri di riabilitazione a Budrio, vicino a Bologna, continua a pensare al tennis. Quando torna a casa, si avvicina ad un piccolo circolo con solamente 3 campi e decide di provare il tennis in carrozzina: “Era l’unica valvola di sfogo che avevo”, spiega Luca. Al circolo gli regalano la prima racchetta e lui si convince a cambiare protesi: opta per quella sportiva, più adatta al tennis. Le lezioni sporadiche iniziali, si trasformano in un allenamento quotidiano e costante. Il tennis in carrozzina però non è ancora uno sport riconosciuto. Per quello, Luca dovrà aspettare fino al 2012.

Quell’anno si trova a Sassari, quando un maestro tenta di convincerlo a giocare seriamente. Luca però ha la maturità: “Avevo 18 anni, tanti pensieri, tra cui l’esame di maturità. Non capivo perché avrei dovuto mettermi in gioco, non ne vedevo il motivo”. Poi una notte si sveglia e come se una lampadina si fosse accesa nella sua testa: tutto cambia. “Mi sono detto ma sai che c’è, quasi quasi ci provo invece!” spiega Luca con lo stesso entusiasmo nella voce di qualcuno che l’ha appena deciso. Invece, sono ormai passati 12 anni da quando entrava in campo ad Alghero per partecipare al suo primo torneo ufficiale, prima di volare a Praga, per iniziare i tornei in giro per l’Europa.

Oggi, Luca ha vinto tre scudetti: nel 2019, nel 2021 e l’ultimo da pochi giorni. Ma il traguardo più grande sono le Paralimpiadi di Parigi.

Per raggiungere questi obiettivi, non ha dovuto trovare solamente la forza di mettersi in gioco in una disciplina che inizialmente non avrebbe scelto. Luca ha dovuto fare i conti con diversi infortuni, l’ultimo alla spalla, il più pesante. Ha creduto di mollare quando i risultati non arrivavano e ha seguito il fratello in un investimento che sembrava meno impegnativo di una lotta costante sul campo. Ma dopo pochi mesi, ci racconta: “Non ci dormivo più la notte, mi mancava il tennis”. Allora riprende e quando finalmente tutto sembra funzionare di nuovo, perde sua madre per via di un malore improvviso. Come si fa a trovare la forza di andare avanti, di ricominciare di nuovo, gli chiedo. Luca mi risponde: “Dentro di me ho scoperto di avere delle forze disperate, delle risorse che mi hanno permesso di salvarmi e in qualche modo di arrangiarmi, sempre”.

Che onore, farsi rappresentare alle Paralimpiadi di Parigi 2024 da una forza della natura come Luca Arca.

D: Come si svolge una tua giornata di allenamento/routine?

Arca: “Da quando ho saputo di Parigi, ho scelto di spostarmi al Tennis Club Terranova a Olbia per concentrare tutte le mie giornate sul tennis. Quando riesco, cerco di comprendere tennis e parte atletica, quindi pesi e palestra, nella stessa giornata. La parte della palestra sinceramente non mi piace tanto, ma ho capito a mie spese che è fondamentale per allenare la resistenza muscolare. Quando vado in campo mi alleno per circa un’ora/un’ora e mezza al giorno, non di più”.

D: Hai conquistato 3 scudetti il primo nel 2019, il secondo nel 2021 e 10 giorni fa è arrivato il terzo dopo aver recuperato da un infortunio. Ti chiederei di raccontarmi dell’infortunio, che problema hai avuto?  

Arca: “L’ultimo alla spalla è stato il più pesante. Nel 2022 ho fatto tante visite ma non si capiva perché non riuscivo più a tenere la racchetta in mano. Sono arrivato al punto di chiedere aiuto alla Federazione e son sincero, mi sono sentito un po’ abbandonato dal punto di vista umano. Poi ho capito che era un problema posturale causato anche dalla protesi. E con due o tre mesi di fisioterapia mirata, ho ripreso completa mobilità. Il peggio sembrava passato, invece quando finalmente ripartivo per un torneo, ho perso mia madre per un infarto improvviso. Ancora una volta, ho trovato la valvola di sfogo nel tennis e mi sono “salvato”.

Ho trovato delle forze che non mi aspettavo di avere, forze quasi disperate che mi hanno fatto vincere torneo dopo torneo. Nel 2023 sono partito da non classificato e sono arrivato a numero 60 del mondo, tutto negli ultimi 6 mesi dell’anno. Da quel momento, la Federazione mi ha dato dei fondi per scegliere in maniera più tranquilla a quali tornei partecipare”.

D: Durante la tua carriera avuto un momento di pausa che hai giustificato dicendo: “ci sono dei momenti in cui non vuoi più fare una cosa”. Credi che staccare la spina per un po’ ti sia servito a ritrovare la motivazione giusta?

Arca: “Penso che staccare la spina mi abbia fatto crescere tanto a livello mentale. Avevo 24 anni, mio fratello ed io abbiamo deciso di acquistare una tabaccheria in Sardegna per fare un investimento. Allo stesso tempo, non ero riuscito a qualificarmi alle Paralimpiadi di Rio e non avevo neanche gli aiuti che ho oggi dalla Federazione, dovevo fare tutto con le mie forze. E nel tennis, se non sei un fenomeno, non riesci ad andare avanti tanto senza aiuti. Quindi avevo deciso di mollare. Ma dopo due o tre mesi non ci dormivo più la notte. Quindi, nel 2017, ho cercato di fare chiarezza. Ho ripreso a fare pochi tornei per capire se volessi davvero riprendere, e da lì, non ho più mollato”.

D: Dopo quello che hai passato, le vittorie di quest’anno valgono ancora di più quindi?

Arca: “Sì. Quest’anno ho vinto 3 tornei e sono contento perché sono riuscito finalmente a imporre il mio gioco. Ho giocato con una mentalità completamente diversa. Ero molto più consapevole e sicuro del mio potenziale”.

D: Hai vinto il titolo anche in doppio, proprio nell’anno in cui in Italia si è parlato tanto della rinascita del doppio anche grazie a Bolelli e Vavassori. Credi che sia utile giocare anche il doppio per uscire un po’ dalla sfera individuale del tennis?  

Arca: “Credo che sia molto allenante per il tennis in piedi, perché nel doppio è tutto più veloce. Per il tennis in carrozzina in realtà, è un più lento però, è più divertente. Io quest’anno ne ho giocati pochi per non forzare troppo la spalla nel caso in cui fossi riuscito ad andare Parigi. Ma anche per noi è molto utile: impari a fare le volée. Nel tennis in carrozzina giochi pochissimo la volée, non esiste il serve&volley e non hai quasi mai il tempo di scendere a rete.

Per quanto riguarda Bolelli e Vavassori, trovo strano che siano venuti fuori solo quest’anno, ma spero che siano da esempio per i più giovani, per farli avvicinare anche a quel mondo lì che ti permette di giocare più a lungo e di divertirti”.

D: Che cosa significa per te essere l’unico italiano a rappresentare il tennis in carrozzina alle Paralimpiadi di Parigi?  

Arca: “Io ci ho messo tutto quello che ci potevo mettere, tutto quello che avevo dentro fino all’ultimo sforzo. E oggi sono tranquillo. Non mi sono mai gasato troppo per i risultati che ho fatto anche se avrei potuto farlo, perché sono l’unico a livello italiano ad aver raggiunto certi traguardi. Ma tutt’ora sono tranquillo, nel mio paese sono tutti contenti e questo mi rende sereno. Certo, quando mi fermo a pensarci mi rendo conto che è una cosa grande ma resto calmo perché vorrei che questo periodo restasse un punto di partenza, senza diventare un punto di arrivo”.

D: Qual è il tuo punto di forza, secondo te, cos’è che ti distingue dagli altri?

Arca: “Trovare sempre il modo di arrangiarmi e fare le cose che mi sento a sensazione, seguire l’istinto mi ha permesso di fare le scelte giuste”.

D: Hai collaborato tanto con Giampaolo Coppo e Stefano Massari, il tuo mental coach. Come sono riusciti ad arricchire il tuo percorso? Ci sono state altre figure fondamentali per il tennis nella tua vita?

Arca: “Giampaolo Coppo mi ha fatto crescere molto a livello tecnico, ha veramente una marcia in più rispetto ad altri allenatori. Matteo Buccolini è il mio preparatore atletico, lavoriamo insieme da moltissimi anni ed è stato fondamentale per recuperare dall’infortunio alla spalla. Con Stefano Massari ho imparato ad essere più consapevole. Ho capito che quando arrivavo ai tornei da testa di serie numero 1 non era un caso. Dovevo credere fino in fondo di essere il numero 1 in tabellone. Con questa consapevolezza, ho iniziato a vincere di più”.


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