Ora sì, ora è davvero finita. Rafael Nadal ha appeso mesi fa la racchetta al chiodo e lo ha fatto senza ripensamenti, dichiarando in più occasioni di non aver mai più toccato racchetta e pallina dal suo addio in Coppa Davis a fine novembre 2024. Come Federer due anni e mezzo fa, anche lo spagnolo ha lasciato dietro di sé una sensazione di smarrimento generale, che oggi il tennis prova ad arginare grazie alla rivalità in rampa di lancio tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, con la consapevolezza però di quanto sarà complicato replicare certe imprese.
Nel cuore degli appassionati Rafa ha lasciato un vuoto grande, che il Roland Garros ha provato a colmare parzialmente con una cerimonia sensazionale che ha finalmente reso grazie alla leggendaria figura del maiorchino (qui la cerimonia completa). L’anno scorso infatti, complice la difficoltà di Nadal di prendere una decisione definitiva, soltanto a Madrid il 22 volte campione Slam era stato omaggiato a dovere (paradossalmente nel torneo su terra in cui ha avuto meno successo in carriera). Ad eccezione della capitale spagnola, infatti, nessuno dei luoghi che lo hanno reso grande era riuscito, per un motivo o per l’altro, a salutarlo come meritava.
Se a Barcellona era ancora troppo presto, a Roma era stato lo stesso Rafa a rifiutare la cerimonia, non volendo escludere del tutto di poterci ancora tornare quest’anno. Idem a Parigi (due volte). In Coppa Davis invece, complice la prematura eliminazione della Spagna a metà settimana, non erano presenti quei tre giocatori che più di tutti hanno contribuito a rendere grande e glorioso Nadal. Perché il tennis è uno sport solitario, certo, ma senza grandi rivali è molto più complicato lasciare un’impronta nei libri di storia.

Ad aprire la cerimonia – e a condurla magistralmente – non poteva che essere Marc Maury, voce storica del Roland Garros e di una delle introduzioni più iconiche della storia dello sport, con il passaggio in rassegna dei 22 titoli Slam di Nadal e soprattutto dei 14 a Parigi, scandendo gli anni dei suoi trionfi con un’enfasi sempre crescente. Da quel momento a quando Rafa dirà le sue prime parole passeranno quasi 10 minuti.
10 minuti taglienti, di applausi, ovazioni, tanti sorrisi (come quelli dei campioni uscenti Alcaraz e Swiatek, seduti vicini in tribuna e cresciuti con Rafa come idolo d’infanzia). “È difficile, è molto difficile” – la prima esternazione del maiorchino, emozionatissimo. “È stata una storia incredibile, iniziata nel 2004, la prima volta che venni al Roland Garros. Ero in stampelle e per via del mio infortunio al piede potevo a malapena camminare, però mi sono arrampicato fino in cima allo Chatrier e guardando il campo ho sognato di tornarci l’anno successivo. Nel 2005 sono riuscito a giocare per la prima volta questo torneo (facendo il suo esordio curiosamente il 25 di maggio, esattamente 20 anni prima della cerimonia, ndr): avevo 18 anni”. Rafa non l’ha detto, ma quell’anno avrebbe poi vinto il torneo. Così come avrebbe fatto in 13 delle successive 17 edizioni.
Ciò che più è emerso durante i tre quarti d’ora abbondanti di omaggio è stato il sentimento di profonda gratitudine che Rafa ha sinceramente provato verso un numero elevatissimo di persone che lo ha accompagnato durante la sua lunga carriera. Dagli amici agli sponsor, dagli allenatori ai membri del team, fino alla sua famiglia, con un pensiero particolare per le sue due nonne, di 92 e 94 anni, entrambe sorridenti e presenti sullo Chatrier, vedove dei nonni che “siano dove siano, mi mancano tanto”. Nel suo primo vero momento di cedimento, il campo più importante della sua carriera – come lui stesso lo ha definito – intona a squarciagola “Rafa, Rafa“. Lui si ferma, sorride e passa allo zio: “Toni, eres la razón por la cual estoy aquí – non servono grandi traduzioni -. Ciò che abbiamo vissuto non è stato facile, ma ne è valsa la pena. La mia gratitudine verso di te per aver sacrificato così tanto tempo per me è infinita“.

Allo scoccare della mezz’ora, dopo aver salutato e ringraziato anche decine e decine di persone che hanno lavorato duramente in questi anni dietro le quinte (massaggiatori, responsabili accrediti, fotografi), arriva il momento più atteso. Un breve video proiettato sui maxi schermi introduce Roger Federer, Novak Djokovic e Andy Murray, che però presto di materalizzano in carne ed ossa come nelle migliori entrate in scena. Sembra di essere in un film, invece è tutto vero.
“I tuoi amici sono qui per te”, dice Maury a Nadal, raggiunto dagli altri membri dei big 4 sullo Chatrier. “Dopo tutti questi anni a darci battaglia, è incredibile come il tempo possa cambiare la prospettiva di tutto. Abbiamo costruito delle rivalità fantastiche e lo abbiamo fatto nella maniera corretta, mostrando al mondo che si può lottare nel modo più duro possibile anche essendo buoni colleghi e rispettandoci sempre molto“. Una lezione che trascende lo sport, specialmente in un momento storico così difficile come quello attuale. “Alla fine il tennis è solo un gioco: il fatto che voi siate qui significa tutto per me. È un messaggio importante per il mondo: si può essere buoni amici anche se si è rivali“ – dice Nadal.

Quando però pensava che il peggio fosse passato, Rafa viene portato di fianco al paletto della rete per un’ultima sorpresa. “Your footprint will stay here forever” – annuncia Maury, prima che il presidente della Federtennis francese Gilles Moretton spolveri l’impronta di Nadal, affiancata dal n. 14 e dalla Coupe des Mousquetaires. Un momento iconico, per lasciare – anche concretamente – traccia di un’eredità senza precedenti.
Dopo aver versato le ultime lacrime (e scattato decine e decine di foto, anche con Roger, Nole e Andy) Rafa abbandona per l’ultima volta il campo che lo ha reso grande. “È tempo di salutare il più grande giocatore nella storia del Roland Garros“ – dice Maury, con Nadal che prima di uscire si concede un ultimo giro di campo con Rafa jr in braccio.
A 20 anni di distanza dalla sua prima apparizione parigina, oggi Rafa è adulto, con molti meno capelli ma tante responsabilità in più di chi è padre di famiglia e modello di vita per chissà quante persone sparse in giro per il mondo. E non c’è trofeo che possa eguagliare una simile conquista.
Maledetto cuore che ti sciogli ogni volta che (ti) dico addio.