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Reading: US Open, Novak Djokovic: “Non sono felice del mio gioco. In ogni gara c’è sempre qualcosa da dimostrare”
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US Open

US Open, Novak Djokovic: “Non sono felice del mio gioco. In ogni gara c’è sempre qualcosa da dimostrare”

Il serbo sta soffrendo parecchio in questo torneo, ma assicura: “Non preoccupatevi per me”

Last updated: 29/08/2025 9:15
By Paolo Pinto Published 28/08/2025
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8 Min Read
Novak Djokovic – US Open 2025 (foto: Simon Bruty/USTA)

Non è la miglior versione di Novak Djokovic quella che ha battuto la wild card Zachary Svajda, ma di sicuro è un campione che non molla mai e non ha nessuna voglia di farlo. E’ pronto a dir la sua in questo torneo in cui ha qualcosa da dimostrare malgrado la sua storia, la sua carriera i suoi successi: “C’è sempre qualcosa da dimostrare quando scendi in campo, ovvero che sei ancora in grado di vincere una partita di tennis. Credo sia una questione di prospettiva. Ovviamente, nella prospettiva più ampia, considerando ciò che ho passato e ciò che ho raggiunto nei tanti anni di carriera nel Tour, si potrebbe sempre pensare che non c’è più nulla da ottenere o da dimostrare, perché hai vinto tutto, ma è molto relativo. È soggettivo il modo in cui lo percepisci. Però, in un’ottica a breve termine, si tratta davvero di cercare di sfruttare al meglio la giornata e vincere una partita di tennis, trovare il modo per farlo. Ed è quello che ho fatto oggi. Non sono soddisfatto del mio livello di gioco, ma ci sono giorni in cui non giochi al meglio, ma in qualche modo ci riesci comunque a vincere. Non voglio essere troppo filosofico, ma amo ancora la sensazione della competizione, la spinta che sento in campo. Sono molto esigente con me stesso, perché mi aspetto di giocare sempre al massimo livello, cosa che evidentemente non è sempre possibile. Ma ho ancora il desiderio di competere con i giovani, altrimenti non sarei qui a giocare“.

D. Come trovi i campi quest’anno, in particolare quello di Ashe, e le palle? Chiedo soprattutto perché, quando intervisto diversi giocatori, hanno tutte opinioni diverse sulla velocità del campo e sulle palle.
Djokovic: “Non so quando questi campi sono diventati più veloci, ma da un paio di anni le condizioni sono identiche. Sono le palline ad essere diverse, non so se sia la gomma, il feltro, non so cosa sia, ma sono differenti. Ho sentito che molti giocatori pensano che finalmente ci sia una certa coerenza con le palline usate nei tornei della US Open Series, passando allo US Open. Dicono che sono quasi le stesse. E’ una buona notizia e di certo avremo meno infortuni alle articolazioni. L’anno scorso c’è stato un gran numero di infortuni, quindi penso che ciò debba essere preso seriamente in considerazione. Ci sono due o tre fabbriche in Cina che producono tutte le palle per tutti i marchi nei tornei. Se qualcosa cambia in quella catena di produzione, lo percepisci. E poi è una questione di stoccaggio: quanto tempo le palline rimangono in deposito, se si sgonfiano e perdono pressione all’interno. È una questione che va affrontata seriamente”.

D.: Rifletto sulla giacca in cui ci sono i quattro tornei dello Slam, tutti vinti da te. Cosa significa essere riuscito nel Career Grand Slam? Ricordi a che punto per te è diventato qualcosa a cui pensavi e che volevi realizzare, prima di riuscirci nel 2016 a Parigi?
Djokovic: “Da piccolo sognavo di giocare e vincere a Wimbledon. La storia, i traguardi storici che ho raggiunto sono diventati miei obiettivi quando ero già nel Tour da parecchi anni, compreso il completare il Grande Slam. Nel 2011, quando realizzai il sogno d’infanzia di vincere Wimbledon e diventare numero 1 al mondo ero ovviamente profondamente soddisfatto, ma avevo solo circa 23 o 24 anni. Pensavo: “Ok, devo ancora giocare altri 10 o 15 anni. Voglio ancora pormi nuovi obiettivi, nuove mete”. Sono una persona ambiziosa, così pensai: “Se quell’anno, il 2011, ho vinto tre Slam su quattro e ho raggiunto le semifinali al Roland Garros, perché non provare fino in fondo a vincerlo?”. Così, quando ho conquistato il Roland Garros nel 2016, è stato un momento di enorme gioia, ma anche di sollievo per me, perché mi ero messo così tanta pressione addosso, e creato tante aspettative nelle persone intorno a me che quando ci sono riuscito mi sono sentito liberato. Si discute molto su quale sia la sfida suprema nel nostro sport. Dalla mia esperienza e dalla mia carriera, direi che probabilmente le due sfide principali sono state vincere il Career Slam o il Golden Slam, includendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi, e rimanere al numero 1 per molti anni. Perché gli Slam sono un grande obiettivo per ogni giocatore e richiedono un enorme sforzo per conquistarli. Se poi riesci a giocare costantemente ad alti livelli, ad essere un contendente per il numero 1 mondiale, questa è probabilmente la sfida ultima. Perché richiede un’attenzione quotidiana su ogni minimo dettaglio: recupero fisico, preparazione, allenamento mentale, tutto ciò che gira attorno a un atleta, perché in fin dei conti devi fare il lavoro da solo in campo. Sono stato incredibilmente fortunato, onestamente, a realizzare tutte queste grandi cose”.

D.: Come ti senti in campo dal punti di vista psicologico, perché guardandoti, e credo che molti di noi ti abbiano visto molto, ci sembra un po’ che negli ultimi giorni non provi molta gioia.
Djokovic: “Vero”.

D.: E hai parlato del tentativo di ritrovare motivazione.
Djokovic:  “Non è una questione di motivazione. È che sono semplicemente un po’ frustrato dal mio gioco e dentro di me elaboro certe cose che non voglio conoscere i dettagli di quello che mi passa per la mente. Sto solo cercando di restare concentrato. Cerco solo di risolvere l’enigma quando sono in campo. Non è che non trovo gioia nel competere, anzi mi piace la sfida. Ma non mi piace giocar male. Ecco perché metto ulteriore pressione su me stesso e sul mio team per esser migliore il giorno successivo, nella prossima partita. Oggi è stato un po’ difficile trovare ritmo. Forse è per questo che non mi hai visto particolarmente carico nel festeggiare i punti. Ma provvederò: il prossimo punto farò un pugno solo per te. Solo per i tuoi occhi. (Risate.)“.

D.: Ci stiamo preoccupando per te.
Djokovic:  “No, no, non preoccuparti per me. Non preoccuparti. Non preoccuparti”.

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