L’Agenzia Mondiale per l’Antidoping fissa regole severe per i controlli e ogni atleta professionista che pratica uno sport olimpico può essere coinvolto in un test senza preavviso, in un qualsiasi giorno dell’anno; la ratio di un obbligo di disponibilità così assoluto è facilmente immaginabile ma la sua effettiva praticabilità comporta alcuni adempimenti che possono sembrare una inezia nell’attività dei grandi campioni ma che in realtà vanno affrontati in maniera scrupolosa, soprattutto per le possibili conseguenze sula carriera degli stessi.
In un significativo articolo del Guardian datato 9 ottobre si parla proprio di alcuni inconvenienti derivanti appunto dalla natura ispettiva del controllo, dunque effettuato senza alcun preavviso. “Avevo fatto notte a una festa” –Gael Monfils racconta un aneddoto che risale a poco meno di 20 anni fa – “ero appena rincasato e alle 5.45, dopo un passaggio in bagno mi ero buttato sul letto per dormire.
Pochi minuti dopo suonano alla porta: l’ispettore dell’antidoping! L’ho fatto entrare e gli ho detto subito: guarda, non c’è proprio modo che io faccia pipì ora, l’ho appena fatta e muoio dal sonno. Gli ho preso una sedia” – continua l’atleta francese – “e gli ho detto che avrebbe dovuto aspettare: so che tu devi stare con me, se ti metti qui puoi avermi sott’occhio in ogni momento ma io ora devo dormire e non so quando mi sveglierò”. Chi deve controllare non può perdere di vista la persona che deve fornire il campione da analizzare, nemmeno nel momento della… produzione.
Un obbligo cui i tennisti devono assolvere è quello di fornire la propria dimora, giorno per giorno, affinché siano raggiungibili dall’Agenzia, e un orario dalle 5 alle 20 per la visita vera e propria. In uno sport come il tennis che prevede spostamenti continui e cambi di programma perché un torneo può terminare prima del previsto o perché si decide di inserirne un altro, l’affare non è di semplice soluzione; i rischi di sbagliare esistono e le sanzioni possono essere pesanti.
“Alla fine” – conclude Monfils – “mi sono svegliato alle tre del pomeriggio, il tipo era sul divano con il suo cellulare. Mi ha aspettato per dieci ore, avrebbe potuto rubare ogni cosa da casa mia”. Difficile immaginarsi un ispettore-ladro ma la situazione di un estraneo in salotto che attende che tu ti svegli e soddisfi i bisogni fisiologici e la sua lunga attesa deve essere invero imbarazzante.
Ne conviene Jack Draper, che evidenzia conseguenze ulteriormente penose ma ha anche parole di comprensione per la persona in visita: “Alcuni di noi trovano le modalità di adempimento molto fastidiose; certo possono esserlo, ma voglio solidarizzare con i visitatori, alle prese con situazioni delicate anche per loro.
A volte per fare pipì ci si sforza talmente tanto che si finisce per emettere peti, e il tizio è lì di fianco…”. “A volte l’uomo-WADA è una faccia già vista” – aggiunge Rublev – “e sono più a mio agio, quando invece non lo conosco la tendenza da parte sua è quella di fare il capo. Una volta mi ha detto: abbassi le mutande fino alle ginocchia. Perché fino alle ginocchia, non basta un po’ di meno? Fino alle ginocchia” – ha detto l’ispettore – “perché è previsto così”.
Pare che gestire la comunicazione verso la WADA sia per alcuni giocatori piuttosto stressante: un altro tennista inglese, Cameron Norrie, si affida al suo agente e a una chat di gruppo perché ogni giorno sia possibile adempiere alla formalità; Jessica Pegula, al contrario, vuole occuparsi direttamente della questione: “Se lo facesse un altro e combinasse un casino mi arrabbierei moltissimo”. Le conseguenze, come detto, possono essere molto pesanti: Jenson Brooksby è stato sospeso per 18 mesi per aver saltato tre controlli in un arco di tempo di dodici mesi, e stessa sanzione ha ricevuto Mikael Ymer nel 2021.