Dov'è finito il vero Novak Djokovic?

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Dov’è finito il vero Novak Djokovic?

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Il 27 novembre del 2010, Novak Djokovic perde nettamente la semifinale del master contro il solito Federer. Nole è distratto, mancano solo sei giorni alla finale di coppa Davis contro i francesi e – ci si creda o meno – il serbo sente molto la responsabilità di vincere la famigerata insalatiera. Non arriva da una grande annata, Djoko, Tsonga si era preso la rivincita a Melbourne, aveva vinto solo a Dubai e Pechino, qua e là da qualche scintilla come la semifinale a Wimbledon, o la finale a New York che seguiva la prima di una serie di rivincite contro Federer.

E il 2009 non è che fosse stato uno spasso, precipitato come sembrava in una complicata involuzione, simboleggiata dalla perdita di efficacia della prima di servizio, per via di una strampalata idea di Todd Martin. Insomma, dopo la vittoria di Melbourne del 2008 i famigerati progressi che avrebbero dovuto condurlo a rompere il duopolio Roger-Rafa non si erano visti. L’anno che avrebbe visto il sorpasso dello spagnolo sullo svizzero, lo trovava spettatore poco partecipante e soprattutto terribilmente altalenante.

Vittoria a Indian Wells e subito fuori a Miami; fuori a Montecarlo e vittoria a Roma; semifinale a Parigi, ma tra le grinfia di Safin a Wimbledon. Il 2008 non finiva a dicembre: al successo del master faceva subito da contraltare l’eliminazione dal suo “Australian Open” ai quarti contro Roddick. E anche quando scoppiava improvvisa la crisi di Nadal – di cui si dice sia stato involontaria causa grazie a quella pazzesca semifinale di Madrid – invece di avvicinarsi alla vetta vedeva avvicinarsi l’ombra minacciosa di Andy Murray.
A Parigi riusciva a perdere al terzo turno da Kohlschriber, a Wimbledon trovava Tommy Haas decisamente più a suo agio sull’erba, a New York il solito Federer. Murray lo scavalca di addirittura 1000 punti. L’annus horribilis trova la sua degna conclusione a Londra quando l’astrusa formula del master lo sbatte fuori, anche se sarà l’unico a superare lo stratosferico Davydenko di quel periodo.  Ma finalmente arriva la finale di Davis. Nole si trasforma. Strapazza Simon e Monfils festeggia la Davis, dice che tutto adesso sarebbe cambiato.

E tutto cambia. Con il 2011 esplode RoboNole. Vince in Australia avvilendo Murray, vince a Dubai a Miami a Indian Wells, cerca Nadal ovunque, conducendolo ad un passo dalla frustrazione. Lo supera anche a Madrid, a Roma; a Montecarlo gli concede la cortesia di non andare. È uno schiacciasassi, semplicemente non ci si può giocare contro. Anche l’incredibile semifinale di Parigi è frutto di un curioso allineamento di pianeti più che di una partita di tennis vera e propria. Ma è solo un incidente, il Djoker torna a picchiare dove fa più male: a Wimbledon schianta ancora Nadal: è l’apoteosi. Il serbo diventa l’eroe nazionale ormai nei tornei si incide il nome del vincitore prima ancora che cominci.

La folle corsa ha un’altra interruzione a Cincinnati ma forse frutto più della stanchezza che delle capacità di uno staccatissimo Murray. Ma Nole ha l’ultima energia, simboleggiata dalla pazzesca risposta sul match point di Federer, poi per lui è troppo facile con Nadal.  ¾ di Slam, tutto il resto vinto con facilità irrisoria e come se fosse baciato dagli dei, semplicemente non può perdere. Solo il Mc formato ’84 e il Federer formato Re potevano competere.
Stremato Djoko concede le briciole finali della stagione ma a Melbourne si ricomincia. Un occhio attento forse vedrebbe qualche crepa ma stronca il ritorno di Nadal e i salmi finiscono in gloria. Ma è Parigi il Santo Graal del serbo, diventa tutto un allenamento in vista del Roland Garros. Ma Djoko non ha la sovrumana dedizione di Nadal o l’ingiusto talento di Federer. E soprattutto non ha solo il tennis, come quei due. Va da Fiorello, prova ad occuparsi delle questioni del suo paese, tifa per il Milan: in una parola, vive. Anche fuori da quei 261 m2 scarsi. Si può lasciare anche qualche torneo per strada. A Montecarlo muore l’amato nonno, con le lacrime agli occhi arriva in finale ma stavolta Nadal non trema. Gli fanno lo scherzo della terra blu a Madrid, a Roma perde ancora contro lo spagnolo, ma Parigi si avvicina. Stavolta non c’è Federer che tenga, si arriva alla desiderata finale. Ma lo spagnolo è il diavolo, vince i primi due set, quando comincia a vacillare chiama i demoni della pioggia, Djokovic non ce la fa più, da quanto tempo non si ferma? Prova a resistere il lunedì ma la mente comincia ad essere altrove, non tiene un servizio perde Parigi.

Sullo slancio trova il miglior Federer – come ti sbagli? – degli ultimi anni e subisce una lezione da erba. Perde persino il numero 1, non riesce neanche a portare una medaglia olimpica alla Serbia, si consola vincendo un Cincinnati sin troppo semplice. Ma la sensazione comincia ad essere che RoboNole, il Djoker è stanco. Rimane un giocatore meraviglioso, non uno qualsiasi, ma a New York concede il primo slam a Murray. Stavolta il finale di stagione è di gran corsa, vince il master e torna a vincere nel suo feudo australiano.

Improvvisamente, così come improvvisamente aveva cominciato la corsa, Djokovic si ferma. Vince a Montecarlo e sembra di nuovo pronto per Parigi. Forse è qui che succede qualcosa. Nole ha preso il vantaggio di un break nel quinto, Rafa è alle corde, strapazzato in lungo e in largo in un match in cui è andato anche a servire per chiudere ma che il Djoker ha ripreso con una facilità quasi irridente. Sembra si diverta a camminare sul cornicione il serbo, strappa il servizio in apertura di quinto set, sul 43 e servizio riesca a fare quel disastro sullo smash che tutti ricordano. Non sarebbe grave, tant’è che il punto successivo Nole lo porta a casa, ma è come se fosse l’atmosfera a cambiare. Lo spagnolo si ingrugnisce ancora di più, il serbo parla parla e parla.

Si sa com’è finita quella partita, con Djokovic che decide di non prendersela più di tanto ma dentro chissà cos’è successo. Nessuno crede sul serio che possa rifarsi a Wimbledon, arriva in finale ma non c’è storia, il serbo sembra incapace di concludere il lavoro, non si oppone a quanto già scritto, alla consacrazione di Murray. Tornati sul cemento le cose dovrebbero cambiare, ma il Djoker non c’è più. A Montreal perde in semifinale al tiebreak con Nadal (sul cemento!), a Cincinnati ritrova Isner e non c’è niente da fare.

Ancora New York, ancora Nadal, ancora una sconfitta che ha del misterioso, spreca innumerevoli occasioni fino a quando lo spagnolo non può proprio esimersi dal raccoglierle. Nole sembra sollevato, dice in giro e alla stampa “non sono il numero 1”, forse si è tolto un peso. Torna a giocare con meno magone e naturalmente vince, perché è il più forte, non ci sono storie. Il giorno in cui il computer ratifica il passaggio di consegne al vertice allora sì che torna il Djoker. Finalmente libero impartisce una lezione severa al maiorchino. E smette di perdere, vince a Shanghai, a Parigi, a Londra. A Melbourne si ricomincia e come può non vincere dove ha vinto le ultime tre volte di fila? Semplice, facendo volare una volée lontanissima, lì dove nessuno gli dirà “quest’occasione non puoi mancarla, Nole”.
Chissà adesso, tornerà sul cemento e vincerà tutto, proverà a tenere lontano i demoni di Parigi, cercherà di divertirsi. Tanto sia il maiorchino che quel demonio svizzero lo sanno: se i fantasmi non mi visitano, vi batto quando voglio.

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