Rassegna stampa
Cichi Slam, quinto capolavoro. Finalmente sfatato il tabù di Wimbledon (Crivelli, Valenti, Valesio, Azzolini, Semeraro, Giorni, Mancuso, Nizegorodcew, Imarisio, Rossi, Merli); La Kvitova ritorna regina, Bouchard si spegne subito (Gianni Clerici, Crivelli, Semeraro, Martucci); Record, dispetti, erba ma soprattutto nervi. E’ Djokovic-Federer (Martucci, Semeraro, Valesio)
A cura di Davide Uccella
Cichi Slam, quinto capolavoro. Finalmente sfatato il tabù di Wimbledon (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport, 06-07-2014)
Pensavamo che il tuffo di schiena sull’erba, l’abbraccio da brividi sui fili dorati di Wimbledon e i volti sfatti dalla fatica e dall’emozione che illuminano il Royal Box fossero scene riservate solo agli altri. Meravigliose, Cichi. Grazie, Errani e Vinci, per aver messo finalmente l’Italia sulla mappa del torneo più prestigioso del mondo, colorando d’azzurro un pomeriggio dove anche la pioggia sembra portare con sé i riflessi di un sogno che si realizza.
Inno all’amicizia Mai, tra i seniores, i nostri giocatori avevano alzato la Coppa nel tempio: Sara e Roberta sfatano la tradizione, confermandosi regine del doppio e tra le coppie più forti di ogni tempo. Dopo Australian Open (2013 e 2014), Parigi (2012) e Us Open (2012), completano il Grande Slam personale, un approdo riservato solo alle dee. Il premio alla costanza, al lavoro, alla serietà. Soprattutto, un inno all’amicizia: «E’ questo il nostro segreto, non smetteremo mai di ripeterlo. Siamo come sorelle e intorno a noi c’è una grande famiglia: la nostra e quella del nostro team. Sappiamo come aiutarci, giorno dopo giorno». Non potevano essere le bombardiere Babos e Mladenovic a frapporsi al mito: le Cichi le spazzano via in 56 minuti di lezione tecnica e tattica, senza neppure un gratuito. Dal baratro sfiorato contro le ucraine Kichenok nel secondo turno, quei cinque match point salvati che adesso assomigliano molto a una sliding door del destino, Salita e Robertina hanno dipinto tennis come solo in paradiso: «Siamo state perfette, aggressive sempre, e in finale abbiamo giocato alla grande tanto al servizio quanto in risposta».
La svolta La magia, per incanto, sboccia dal caso: la prima partita insieme delle Cichi è un doppio a risultato già acquisito (per noi) in Francia nel 2009 contro Dechy e Beltrame in Fed Cup. E’ la squadra di Schiavone e Pennetta, e quindi, come spesso accade, le riserve finiscono per consolidare il legame all’ombra delle star. Ma, come ricorda adesso la Errani: «Certo dopo quel primo match non pensavamo a un futuro insieme, ci avevano scelto per giocare un doppio peraltro senza pressioni e magari finiva lì». Invece va avanti, nel 2010 conquistano Marbella e Barcellona e nel 2011, sempre a Marbella, scocca la scintilla: «Abbiamo perso la finale da un set e 3-0 per noi — racconta la Vinci — però abbiamo capito che potevamo costruire qualcosa di importante».
Sensazioni Venti successi insieme e adesso la perla, l’arcobaleno, la luce di una carriera, festeggiata con un tweet anche dal premier Matteo Renzi. Sarita ci aveva dormito poco: «Non abbiamo vinto uno Slam, lo abbiamo “fatto”. Ci pensavo fin dalla mattina, in campo ero molto tesa ma sono stata brava ad incanalare il nervosismo e a trasformarlo in energia. Abbiamo fatto la storia, è una sensazione esaltante». Robi, al contrario, viaggia ancora un po’ sulle nuvole: «Forse mi renderò conto di ciò che abbiamo realizzato quando, ormai ex giocatrice, conterò le mie vittorie». Eppure anche a lei è mancato il fiato: «Quando sono andata a servire per il match, mi sono avvicinata a Sara e le ho detto: “Sono tesa”. Poi da 30-0 ci siamo ritrovate 30 pari e lì mi sono guardata dentro: “Non puoi perdere il servizio proprio adesso”. E’ andata bene».
Nessuna vendetta Dopo Roma, con la Vinci subito fuori in singolare e la Errani finalista contro Serena ma infortunata, aleggiava il dubbio di molti che il doppio fosse ormai troppo stancante per le ambizioni individuali. Il veleno, però, non è stato raccolto: «Questa vittoria non è una vendetta contro le malelingue, ma la dimostrazione che giocare insieme è la cosa che ci piace di più. Perciò l’anno prossimo saremo qui a difendere il titolo». Bellezze d’Italia.
Sara e Roberta sono nella storia Un orgoglio italiano (Gianni Valenti, La Gazzetta dello Sport, 06-07-2014)
e enciclopedie del tennis racconteranno un giorno di due ragazze italiane semplici quanto tenaci che hanno raggiunto nella specialità del doppio risultati che fanno la storia. Non sappiamo ancora quanti successi allora vi saranno conteggiati. Di sicuro, però, ci sarà scritto che Sara Errani e Roberta Vinci, soprannominate Ciqui, sono riuscite nell’impresa di vincere Wimbledon mettendo così il loro sigillo in tutti i tornei dello Slam, traguardo conquistato finora da pochissime giocatrici. Sono la coppia più forte al mondo e lo sport italiano deve esserne davvero orgoglioso.
Nel narrare le loro imprese, si ricorderà come la forza delle due derivasse da un’amicizia profonda, maturata giorno dopo giorno, tra una stanza d’albergo e un campo di allenamento. Personalità diverse che nel tempo si sono integrate alla perfezione grazie al lavoro dei rispettivi allenatori, Pablo Lozano e Francesco Cinà. Da una parte Roberta, con il carattere verace di una tarantina trapiantata a Palermo; dall’altra la piccola Sara, emiliana dagli occhi azzurri, spesso anche troppo riservata.
Così come diverso è il loro tennis: pulito e stilisticamente inappuntabile quello della Vinci, deliziosa soprattutto nel gioco a rete; grintoso e ricco di rotazioni quello della Errani, maratoneta del circuito con poche eguali. Un capitolo importante lo occuperanno i risultati ottenuti nel singolare. Chissà quante pagine dedicate a Saretta, contro ogni previsione scalatrice del ranking mondiale fino alla posizione numero 5. Lei che, a dispetto di quel fisico minuto, è riuscita contro le giganti della generazione Williams-Sharapova a rimanere per quasi due anni tra le prime dieci del mondo. Conquistando la bellezza di sette titoli Wta, una finale del Roland Garros e una agli Internazionali di Roma. Lo storico di turno non dimenticherà certo Roberta: a cavallo dei trent’anni, grazie alla regolarità di un diesel, è arrivata più volte a un passo dalla top ten.
Ma visto che le enciclopedie possono attendere e i risultati delle due ragazze diventare più rotondi, diciamo che Errani-Vinci sono ancora un’assicurazione per il futuro del tennis italiano. Certo un calo rispetto alle due precedenti stagioni c’è stato. Ma non poteva essere altrimenti. Le Ciqui hanno corso a velocità difficilmente ripetibili. Ora si tratta di gestire in modo accurato il futuro selezionando gli impegni e non giocando sempre singolare e doppio.
Nel frattempo il nostro movimento femminile, così vincente, ha ancora un po’ di tempo per esprimere l’erede di Errani, Vinci, Pennetta e Schiavone. Il primo nome che viene in mente è quello di Camila Giorgi. Il problema è che la nostra rampante promessa, da domani numero 40 del ranking, fa uno scatto in avanti e due indietro. Si sono sprecati parole e inchiostro per sottolineare come possegga il talento per sbocciare in tempi piuttosto veloci. Ma quel che ormai si è capito, è come manchi una vera guida capace di prepararla a questo salto di qualità. E a 22 anni non c’è più molto tempo da perdere. Il padre Sergio che tanti meriti ha avuto finora nella crescita della ragazza, dovrebbe avere il coraggio di fare un passo indietro e scegliere per la figlia un coach di livello internazionale capace di traghettarla mentalmente e tatticamente nel vertice del tennis femminile mondiale. Capiamo le difficoltà anche emotive nel tagliare questo cordone ombelicale, ma per il bene agonistico della ragazza non vediamo altra scelta. E’ giunta l’ora di investire in «scienza tennistica». Solo così l’Italia potrà avere un’altra campionessa.
Errani & Vinci Le regine di Londra “Dedicato all’Italia” (Piero Valesio, Tuttosport, 06-07-2014)
Sarà nazionalpopolare ma va detto: orgogliosi di loro. Orgogliosi di una coppia di ragazze che hanno permesso alla bandiera italiana di sventolare su Wimbledon per il secondo anno consecutivo. Gianluigi Quinzi nel torneo junior l’anno scorso, loro quest’anno. Orgogliosi di Sara Errani e Roberta Vinci, due che con la giornata di ieri hanno conquistato quello che viene definito il «Career Grande Slam», il più prestigioso fra i record del tennis (successi a Mebourne, Parigi, Londra e New York) ottenuto non nello stesso anno ma nell’arco, per l’appunto, di una carriera. E vale la pena di citarle le altre coppie che nella storia hanno centrato un obiettivo analogo: Martina Navratilova e Pam Shrivera Fernandez-Zvereva, le sorelloe Williams. Stop.
Interpreti
Martina Navratilova, che ieri a Londra c’era, ebbe parole di grande ammirazione per Francesca Schiavone quando la nostra vinse Parigi. Sostenne, la grande ceca, che nel gioco dell’azzurra c’era qualcosa, una certa spregiudicatezza, un gusto di accorciare i tempi, di dare alla palla tua rotazione particolare, che le ricordava il suo. Sarebbe interessante sapere cosa pensa, Martina, di Roberta Vinci in doppio. E soprattutto del livello di tennis che ha espresso ieri in finale: un livello talmente elevato e cristallino da far pensare che se la stagione del tennis si dipanasse essenzialmente sull’erba e se Roby fosse capace di mantenere e lungo il miglior livello di forma possibile, la nostra sarebbe tra le prime tre al mondo. iàgli a uscire, perfette entrate a volo, attacchi in controtempo: la divina Martina non può non essere tornata con la memoria ai suoi trionfi. Perché il successo di Roberta e Sara è stato il successo di «quel» tennis contro il mood dei tempi (sparacchiamo in allegria) di cui Babos e Mladenovic hanno tentato di essere rappresentanti: e di cui poco prima Petra Kvitova vincendo il singolare era stata una perfetta (per quanto noiosa) interprete.
Regine e Regina
Non si può non stare con Sara e Roberta La loro è la più bella storia dello sport italiano di questi contrastati e spesso tristi tempi. Nessuna delle due è dotata di potenza devastante nè di un servizio-bomba. Nessuna delle due è stata do- tata da Madre Natura di una statura imponente. Insieme hanno formato una squadra st aordinariamente vincente, capace di continui miglioramenti: insieme sanno sviluppare un tennis fatto di sostanza e fantasia ma soprattutto di armonia. Uno specchio perfetto dell’armonia che contraddistingue il loro rapporto, con coach comuni (Gina e Lozano), briglie e staff che si intersecano Una sorta di hellissima e uni- cafamiglia tennistica allargata Hanno iniziatola loro avventura nel 2009 quando a Orleans giocarono il doppio di Feci Cup a risultato acquisito. Sembra un’eternità fa: dalla città della Pulzella sono arrivate a trionfare nel giardino della Regina. Le loro parole sono lo specchio di quello che Sara e Roberta sono: «Noi abbiamo centrato lo Slam? Non ci crediamo. E’ qualcosa di inimmaginabile, che resta, che sta nella storia. Lo dedichiamo a tutti quelli che ci vogliono bene ma soprattutto a tutta l’Italia che ha fatto il tifo per noi». Grazie Sara e Roby Dio solo sa quanto l’Italia ha bisogno di esempi così.
Sara e Roberta, due amiche in campo verde: «Così si fa la storia» (Daniele Azzolini, Avvenire, 06-07-2014)
C’è la storia di un’amicizia, e un’amicizia che ha finito per scrivere la Storia. Sembra un facile guado fra due dimensioni vicine, ma abbiamo seri dubbi che basti l’una per ottenere l’altra, che vi sia un’automatica trasposizione fra due valori più paralleli che convergenti.
La prima vittoria di Sara Errani e Roberta Vinci, a Parigi, nel 2012, fu per tutti lo Slam dell’amicizia. Due ragazze che s’incontrano per caso, che hanno in comune la semplicità dei modi, la professionalità costruita sul lavoro giomaliero, l’identico bisogno di trovare strade diverse per sopperire alla mancanza di quei muscoli che abbondano in un circuito femminile sempre più “violento” e mascolino. Oggi quello Slam è cresciuto, è diventato un Grande Slam e vale un posto nella Storia del nostro sport. Ma il seme che lo ha fatto germogliare è lo stesso. Un seme che noi tutti riteniamo comune, persino banale, al punto da dimenticare che occorre curarlo e crescerlo. Sara e Roberta questo hanno fatto, e se o la loro amicizia ha finito per scrivere la Storia del tennis, è perché è cresciuta, è diventata adulta, ha attratto i familiari e i molti che le aiutano a vario titolo. Una famiglia allargata, quella delle due ragazze. Un riparo e insieme uno sprone. Ingredienti che rendono del tuno originale quella pagina nel libro dei record che hanno firmato assieme. Parigi. Poi gli Us Open, sempre nel 2012. L’Australia l’anno dopo. E in questo 2014 ancora l’Australia, prima di Wimbledon. Sono cinque vittorie (nove finali), e valgono il quinto posto fra le migliori coppie del tennis femminile da quando il tennis è diventato Open, nel 1969. Ma il Grande Slam è un concetto a parte. I puristi lo attribuiscono solo a chi vince i quattro Majors nell’arco di un anno solare, dunque dal gennaio australiano al settembre di NewYork, passando per l’estate europea di Parigi e Wimbledon. In singolare è diventato quasi impossibile, sono cambiate le superfici, un tempo i tre quarti dei Majors si giocavano sull’erba, oggi i Championships chiudono uno spicchio di quattro settimane che il calendario riserva ancora alla poa pratensis, la semenza base di questi campi miscelati a segale. Quello ottenuto dalle due ragam italiane passa sotto il nome di Career Grand Slam, cioè un Grande Slam ottenuto fuori dal contenitore annuale. «Ma per noi resta comunque un Grand Slam», taglia corto Sara. Chiediamo come sia sentirsi grandi fra le grandi. «So che è un’impresa, ne sento l’importanza, ma non la so giudicare. So che poche altre volte, in campo, mi sono sentita così tesa, così emozionata», dice Roberta, nata doppista. «È una conquista altissima», dice invece Sara, più pm-tica, «vi sono riuscite pochissime coppie. È un grande momento». È vero, vi sono riuscite appena tre coppie prima di loro, in 45 anni. La finale l’hanno presa in mano dal primo game ed è stata un lampo (6-1, 6-3). Le loro avversarie, Babos e Mladenovic, hanno capito che non c’erano spazi per una sorpresa, e si sono accontentate di fare da ancelle. Come la canadese Bouchard, nella finale del singolare, travolta dalla ceca Kvitova.
Facile dire che la vecchia guardia abbia ancora una volta respinto le giovani ribelli. Ma la rifondazione è in atto. Stanno meglio Sara e Roberta. Il doppio allunga le carriere, l’amicizia a unge il calore. Le loro vittorie non finiscono qui.
Lo Slam di Sara&Roberta. Prima volta azzurra nel tempio di Wimbledon (Stefano Semeraro, La Stampa, 06-07-2014)
Sara Errani and Roberta Vinci, Wimbledon ladies doubles champions». A sentida detta cosi in inglese dallo steward sorridente e un filo mummificato che accompagna i giocatori nella gelida sala stampa di Wimbledon, è una frase che fa davvero venire i brividi. E non per una questione di temperatura. Nessun italiano prima delle due Cichis aveva mai vinto niente di grande in 128 edizioni dei Championships (121 quelle femminili), le uniche nostre gioie dal 1877 in poi fmo a ieri erano state le coppe dei piccoli vinte da Diego Nargiso nel 1987 e da Gianluigi Quinzi l’anno scorso. L’unica finale in doppio, quella di Pietrangei e Si-rola nel 1956. Adesso, grazie a Santa e Robertina che ieri in 57 minuti facili ma leggendari si sono liberate per 6-16-3 di Timea Babos e Kristina Mladenovic, un pezzetto del Tempio è anche nostro. Era l’unico Slam che mancava alla loro collezione e cosi la miglior coppia italiana della storia ieri ha raggiunto un altro traguardo straordinario («Inimmaginabile, pauroso» per usare le parole della Errani), cioè il Grande Slam di doppio in cardera. Prima di loro nella storia c’erano riuscite solo 5 coppie, un successo che ha festeggiato anche il premier Renzi. «Ma il significato di quello che abbiamo fatto lo capirò forse a fine carriera», dice Robertina. «Io invece lo so benissimo», le sorride Sara. Dopo la vittoria, sotto il tetto che riparava il Centre Court dalla pioggerellina londinese si sono stese, rotolate sull’erba. Non è stato il match più difficile della loro cardera, probabilmente il più importante. «Si, perché significa il Grande Slam», spiega Sara. «Era tutta la mattina che ci pensavo. Mai da bambina avrei creduto di riuscirci, per giunta con la mia miglior amica». Cioè Roberta Vinci, doppista sopraffina, ieri praticamente perfetta, la metà meno solare di un’amicizia «splendida, stellare». Quella che gioca volée da urlo ma fatica a tenere a bada i nervi. «Prima dell’ultimo game gliel’ho detto a Sara – sorride Robi -. Guarda che sono tesa. Fino ad allora i miei game di servizio erano andati via lisci. Ho pensato: vuoi vedere che adesso lo perdo?». Invece no, anche perché, va detto per onestà, l’ungherese Babos e la francesina Mladenovic in singolare sono n. 92 e n. 107 del mondo, e nello Slam non avevano mai giocato prima insieme. Sara e Roberta invece come duo si sono incontrate in Fed Cup, nel 2009, a Orleans. «Un match a risultato acquisito, perso contro BeltrameDechy», ricorda Sara. «Poi dopo una finale persa a Marbella abbiamo deciso che il duo poteva funzionare anche sul circuito».
In effetti: 5 Slam (prima di ieri due Australian Open, uno Us Open, Un Roland Garros), 20 tornei in totale, un bilancio fantastico. «Questa vittoria la dedichiamo a noi stesse», spiega Roberta. «Ai nostri coach, ai nostri team che viaggiano insieme a noi, a quelli che ci sostengono. A tutta l’Italia che credo oggi abbia tifato». Alla fatica spesa. «Ne facciamo tanta – spiega Sara – per qualcuno troppa. Ma noi sappiamo quello che facciamo, anche se da fuori è difficile capirlo. Dopo Roma ero cotta, a terra, eppure a Eastbourne ci sono voluta andare: più per il doppio che per il singolare. Era un investimento. E ci ha ripagato con questa emozione». Paurosa, inimmaginabile.
Roberta & Sara regine uniche al mondo (Alberto Giorni, Giorno – Carlino – Nazione Sport, 06-07-2014)
DOPO l’ultimo servizio vincente, la coppia più bella del mondo si sdraia sulla sacra erba del Centre Court e si scioglie in un abbraccio infinito, per immortalare un momento storico. Sara Errani e Roberta Vinci sono le campionesse di Wimbledon e conquistano il Grande Slam della Carriera: mancavano solo i Championships londinesi da affiancare ad Australian Open (vinti nel 2013 e 2014). Roland Garros (2012) e US Open (2012). Poi la romagnola e la tarantina non resistono e, come da tradizione per le vincitrici, scalano le tribune per ringraziare i rispettivi allenatori, Pablo Lozano e Francesco Cinà. E i loro occhi brillano quando ricevono i trofei tanto desiderati dalle mani del duca di Kent, congratulate anche da Francesco Ricci Bitti, presidente della Federazione Internazionale. Sembra un sogno, invece è tutto vero. La finale, disputata con il tetto chiuso a causa della pioggia, non ha avuto storia. Le azzurre hanno demolito 6-1, 6-3 l’ungherese Ti-mea Babos e la francese Kristina Mladenovic. Sara un muro da fondocampo e Roberta elegante a rete: basta un’occhiata per capirsi e per mettere al tappeto le avversarie: il punto esclamativo è della tarantina che firma il matchpoint prima di esplodere di gioia insieme all’amica del cuore. È il quinto Slam per le nostre giocatrici. La concorrenza non è straordinaria, ma la chiusura del «Grand Slam Career» è un’impresa memorabile: nell’Era Open era riuscita solo a Navratilova-Shriver, a FernandezZvereva e alle sorelle Williams. E pensare che Errani e Vinci sono state a un passo dall’eliminazione al secondo turno, quando hanno annullato 5 matchpoint alle gemelle ucraine Kichenok: ora invece possono festeggiare anche il ritorno al numero 1 della classifica mondiale.«È una vittoria incredibile — dice raggiante la Errani —, davvero speciale perché Wimbledon è sempre stato un torneo difficile per noi: resteremo nella storia. È la nostra emozione più grande». E il vero segreto è il legame fuori dal campo: «La nostra amicizia è stellare — aggiunge la Vinci —. Io sono molto permalosa, invece a lei il sorriso torna in fretta. Dedichiamo la vittoria ai nostri team e a tutta l’Italia che ha fatto il tifo per noi».
Sara & Roby, doppio trionfo (Angelo Mancuso, Il Messaggero, 06-07-2014)
«Dedicato all’Italia che ha fatto il tifo per noi». Sara Errani e Roberta Vinci hanno conquistato a Wimbledon l’unico titolo nei Major che mancava alla loro collezione. Anche il Premier Matteo Renzi ha prima condiviso l’emozione del trionfo delle Cichis: «Game, set, match Career Grand Slam..», si legge sull’account Twitter del Presidente del Consiglio, e poi le hachiamateal telefono, invitandolea PalazzoChigi. Sono la coppia più vincente nel tennis azzurro, tra le più forti di sempre. La sesta nella storia a centrare il “Career Grand Slam”. In finale, sul Centre Court coperto dal tetto per la pioggia, hanno superato per 6-16-3 l’ungherese Timea Babes e la francese Kristina Mladenovic e sono di nuovo le n1 della specialità.
«ERAVAMO COME IN CASA» Un torneo in crescendo: al 2° turno avevano salvato 5 match point contro le gemelle ucraine Kichenok. «Eravamo praticamenteacasa. Ce lo dicevamo dopo ogni incontro», confessano. Otto finali di Slam negli ultimi ll giocati e 5 titoli Quella di Sara e Roberta (27 e 31 anni) è una delle storie più belle del tennis femminile. Due amiche che riescono a sostenersi e motivarsi a vicenda. Cichi&Cichi: lo stesso soprannome perdue ragazze dalle personalitàdiverse, ma che si incastrano come due metà, in campo e fuori «Io sono permalosa-ammette la Vinci – mentre Sara se si arrabbia le passa subito». Dopo il match point si sono sdraiate sull’erba e strette in un lungo abbraccio. «Aver completato il Grand Slam è storia», sottolinea Sara. E Roberta: «Io ancora non riesco a realizzareche siamo riuscite a fare tutto ciò. Probabilmente lo farò quando smetter&’. Era il 2009 quando giocarono insieme perla prima volta «Lo ricordo bene -racconta la romagnola-Francia-Italia a Orleans a risultato acquisito. Battemmo Beltrame-Dechy’. Da allora di strada ne hanno fatta: sono aquota 20 titoli. «In quel momento non pensavamo di vincere così tanto – ammette la tarantina, che in Fed Cup detiene il record di imbattibilità con 18 successi – abbiamo deciso di giocare in coppia tutti i tornei di doppio nel 2011, dopo unafinalepersaaMarbella».
OGGI FEDERER-DJOKOVIC La finale di doppioèdurata 56 minuti, appena 60 secondi più del singolare. La mancina Kvitova ha travolto (6-3 6-0) la 20ennecanadeseBouchard. La ceca aveva già vinto nel 2011 a 21 anni All’epoca si sprecarono i paragoni con Martina Navratilova. Sarebbe stato meglio tirare in ballo Novotna o Mandlikova Talentuose come la Kvitova, ma con analoghe amnesie caratteriali. Petra dopo quel trionfo ha raggiunto il n2 nel ranking, poi si è bloccata. Nel frattempo è passata da un baby fidanzato (Adam Pavlasek) al play boy del circuito (Radek Stepanek). Stone entrambe finite. Inoltre ha sofferto di una grave forma d’asma. Troppe sconfitte, aumento di peso, autostima ai minimi termini Le cose hanno ripreso a funzionare. Ha affittato un appartamento a Wimbledon con i suoi “nuovi” 3 uomini: coach, incordatore e psicologo. Una routine condita da un pizzico di superstizione: «Ogni sera risoeananas, i piatti che mangiavo ne120ll», ha confessato. Oggi il gran finalecon la sfida Djokovic-Federer.
Errani e Vinci regine a Wimbledon (Alessandro Nizegorodcew, 06-07-2014)
Per la prima volta nella storia a livello professionistico Wimbledon parla italiano. Dodici mesi dopo il trionfo del giovane Gianluigi Quinti nel torneo juniores, sui prati dell’All England Club di Londra Sara Er-rani e Roberta Vinci hanno infatti dominato la finale del doppio femminile, superando nettamente (6-16-3) la coppia formata dall’ungherese Babos e dalla francese Mladenovic.
Un match perfetto quello delle azzurre, anzi un torneo perfetto, con due set persi in cinque incontri e un solo spavento, al secondo turno, quando Sara e Roberta hanno dovuto annullare 5 match point nel tie-break del secondo set alle giovani sorelle ucraine Nadiia e Lyudmyla Kichenok prima di dominare il set decisivo. Grazie alla vittoria londinese, Errani e Vinci possono vantare lo straordinario record del Career Grand Slam, avendo conquistato almeno uno volta ognuno dei 4 major. Da domani torneranno sul gradino più alto del podio mondiale. «Questo trionfo è dedicato alle nostre famiglie, ai nostri team e a tutta l’Italia che ha fatto il tifo per noi», ha esultato la Vinci. «Eravamo tesissime – ha confessato la Errani – ma abbiamo giocato alla grande. Aver completato il Grand Slam èuna cosa inimmaginabile, storica: ancora non riesco a realizzarecosa abbiamo fatto, magari lo farò a fine carriera».
Come Sara e Roberta, che hanno ricevuto le congratulazioni del premier Matteo Renzi e l’invito a Palazzo Chigi, anche Petra Kvitova ha giocato una partita perfetta nella finale del singolare femminile. Letteralmente impressionante, ai limiti dell’illegale. Non ci sono altre parole per descrivere la vittoriosa finale Wimbledon della Kvitova. La tennista ceca ha dominato la sfida con la giovane Eugenie Bouchard grazie all’eloquente punteggio di 6-3 6-0, surclassando di vincenti l’inerme canadese in 55 minuti. Il risultato potrebbe far pensare a una prestazione incolore della 20enne nordamericana, ma la verità sta nel numero dei vincenti della Kvitova (ben 28!) a fronte di soli 12 errori. Sotto gli occhi di Martina Navratilova, la Kvitova ha conquistato il suo secondo titolo a Wimbledon, dopo la sorprendente vittoria all’Alt England Club del 2011. Due i fattori che hanno permesso alla boema di tornare nel gotha del tennis mondiale dopo aver sfiorato il numero 1 del mondo: la dieta che le ha permesso di dimagrire ritrovando la forma migliore e il lavoro svolto da uno psicologo dello sport.
Grazie a questo successo Petra Kvitova tornerà domani al numero 4 della classifica mondiale, a meno di 1000 punti dal secondo posto occupato da una Na Li in evidente crisi di risultati. «E incredibile che io sia qui con il trofeo di Wimbledon nuovamente dopo tre anni – ha spiegato la Kvitova a fine match – Ringrazio il mio team e la mia famiglia per avermi sup-portato durante questa bellissima avventura».
La Bouchard, che da domani potrà comunque festeggiare la scalata fino al 7 posto del ranking mondiale, non può rimproverarsi molto se non una bassa percentuale di prime palle di servizio messe in campo a inizio match. La possibilità di trionfare in un torneo dello Slam èvolo rimandata, dato l’altissimo livello espresso sin da inizio anno nel circuito Wta.
Sara e Roberta spezzano l’incantesimo Wimbledon parla finalmente italiano (Marco Imarisio, Il Corriere della Sera, 06-07-2014)
«Sono tesa». Roberta si è chinata a raccogliere le palline per l’ultimo game di servizio. «’Th lo dico subito così dopo non ti lamenti». Sara ha annuito. «p sta, questa volta ci sta». Avevano entrambe ragione. Quando passa la storia non importa se le avversarie sono scarse e quella partita non la perdete neppure se vi mettete a giocare con le mani. Siete per la prima volta insieme sul Centre Court, state per completare il vostro Grand Slam personale, state per vincere insieme il primo titolo senior del tennis italiano a Wimbledon. L’attesa durava dal 1877, anno di apertura dei Doherty Gates. Qualcosa come 137 anni. A meno di essere un marziano, è naturale che ti tremi la mano.
Nel tennis femminile c’è qualcosa che non va. Ieri il prezzo minimo per un biglietto sul Centre Court si aggirava intorno alle 130 sterline, che al cambio odierno fanno 164 euro. I benestanti che si sono sottoposti al salasso hanno assistito, nell’ordine: alla più breve finale degli ultimi 31 anni, una esibizione balistica della ritrovata ceca Petra Kvitova che ha impiegato appena 55 minuti per prendere a pallate una Eugenie Bouchard nervosa e fallosissima, e di seguito all’ultimo atto del doppio dove’ Errani e Vinci ci hanno messo un solo minuto di più per liquidare l’improponibile coppia franco-ungherese Mladenovic/Babos, rispettivamente numero 107 e 92 nella classifica del singolare. La più referenziata delle due a metà del primo set ha aggredito un comodo smash sopra la rete spedendo la pallina in tribuna e trasmettendo la netta sensazione che se lo avesse fatto di proposito non ci sarebbe riuscita.
Sara Errani e Roberta Vinci, altrimenti dette Chichis, hanno fatto di questa nobile e decaduta disciplina il loro giardino privato. Se il livello è questo, al confine dell’inguardabile, se le più forti disertano, la colpa non deve ricadere sulle migliori del lotto. «Il nostro segreto è l’amicizia Siamo come parenti, una famiglia. In campo è molto importante conoscersi bene anche fuori». Capita di litigare, succede pure nelle migliori famiglie. Allora Roberta si rifugia nel mutismo. «Non le parlo per intere settimane. Colpa mia, perché sono io la permalosa, mi arrabbio moltq più di lei A Sara le passa subito, basta poco per farle tornare il sorriso». Ai record non pensiamo, avevano detto dopo l’ultimo allenamento. Bugia. «Abbiamo fatto il Grande Slam» ha gridato Sara dopo il punto decisivo, così forte che si è sentito anche a bordo campo. «Roberta è scaramantica di natura. A forza di frequentarla lo sono diventata pure io. La verità è che al significato di questo match ci abbiamo pensato fin dal primo punto».
La campagna sulla terra rossa non era andata bene. Dopo il Roland Garros erano entrambe a pezzi, di testa e di fisico. «Abbiamo scelto di giocare un piccolo torneo a Eastbourne, più per noi due che per altro» racconta Sara. do in particolare ero distrutta. Ma quel piccolo sacrificio comune per noi valeva come prova del fatto che anche dopo un brutto periodo avevamo ancora fiducia reciproca». Il fattore C ha poi offerto un notevole contributo sotto forma di 5 match point divorati dalle gemelle Kichenok al secondo turno. Roberta ride. «A quel punto ci siamo dette che non era il caso di sciupare il gentile omaggio…». In conferenza stampa hanno condiviso una sincera timidezza. Appartengono alla categoria degli esseri umani, e non dei robot sparapalle. Hanno vinto il quinto titolo, ottava finale su undici Slam, ricevendo anche i complimenti da Matteo Renzi, naturalmente via twitter. Da ieri sono la quarta coppia più titolata dell’era open. Roberta Vinci va per i 32 anni, ma con la mano e le avversarie che si ritrova può tirare avanti fino all’età della pensione.
Wimbledon si svuota al termine di una giornata che ha avuto il sapore dell’interludio. Londra, provincia di Basilea. L’eliminazione di Andy Murray ha liberato gli inglesi da qualunque problema di coscienza. Saranno liberi di mostrare il lo – ro amore per Roger Federer, chiamato a battere Novak Djokovic per diventare il primo di sempre a vincere otto Championship& La gente che scende lungo Church road non parla d’altro. Questo è il posto dove si fa la storia del tennis. E oggi appartiene un po’ anche a noi. Grazie Sara, grazie Roberta
Errani & Vinci, che festa così è nata la coppia in trionfo a Wimbledon (Paolo Rossi, La Repubblica, 06-07-2014)
A volte le pagine di storie nascono per caso. II “Career Grand Slam” ottenuto ieri da Sara Errani e Roberta Vinci nel sacro tempio di Wimbledon (battute Babos/Mladenovic 6-1, 6-3 ) nasce cinque anni fa in Francia, in uno spogliatoio di Orlé ans, quello del P alais du Sport. «Dai, lo giocate voi due insieme il doppio? Provate, non costa niente…» disse il ct Corrado Barazzutti alle due attonite ragazze che lo ascoltavano, riserve di Pennetta&Schiavone in nazionale. L’Italia aveva già stravinto, ma i francesi – per rispettodi chi aveva pagato il biglietto – volevano che si rispettasse il programma.
Ecco, è in quel giorno – 8 febbraio 2009-che esordiscono Errani/Vinci, il doppio femminile oggi più titolato della storia del tennis italiano: 5 Slam di doppio ( oltre a questo Wimbledon, 2 Australian Open, 1 Roland Garros e 1 US Open ). «Battemmo Bremond/Dechy, chi l’avrebbe poi immaginato?». Le riserve che prendono il potere. Le due ( all’epoca) ragazzette che scoprono di essere complementari. Due caratteri che, seppur diversi, si sintonizzano, in campo e fuori. Unite dalla gavetta. «La nostra amicizia è stellare».
«Nel tennis funziona cos)» conferma Silvia Farina Elia, ex n. 11 del mondo che nei suoi ultimi anni ha incrociato la racchetta contro la Vinci. «A loro duehafattobenelaFedCup, ha consentito di far gruppo, crescere insieme». Mai un/a italiano/a era riuscito a far iscrivere il proprio nome in un albo d’oro professionistico di Wimbledon ( solo Diego Nargiso e Gianluigi Quinzi, ma a livello juniores). «Ora non mi tirate fuori le storie sul doppio come disciplina in declino o altre storie simili, perché quando vincono gli altri va tutto bene – accusa la Farina – non capisco perché ci sia sempre chi voglia smin u ire le cose*. Forse la dedica di ErraniNinci aveva anche una punta di veleno: «Trionfo per l’Italiacheoggi ha fatto il tifo per noi» (il premier Renzi le ha ricordate con un tweet). «Questo è lo sport, con le sue regole. Poi non è che vincono per opera e virtù dello spirito santo» continua la Farina. Che rivela: «A occhio direi che è Roberta la leader, più doppista, ma Sara è tanto migliorata_ E lei che sposta il gioco, muove la palla, Roberta chiude al volo». Ma il segreto è un altro: «Sanno cos’ è la strategia, come sfruttare i punti deboli delle avversarie».
Per questo oggi una rornagnola e una tarantinarisalgono in cima alla classifica mondiale, ma non era certo questo 1’o biettivo: NA Wimbledon abbiamo sempre fatto fatica, è l’emozione più bella. Ora non ci ricordiamo neppure quale è stato il nostro primo torneo…s. Marbella, 2009: finale. Vero. Da allora decidemmo di non staccarci più, ma certo che in quel momento certo non pensavamo di vincere così tanto».
Ovvio che non ci sono stati solo i doppi: ricordiamo Sara Er-rani in finale al Roland Garros 2012 e n. 5 del mondo, e Roberta Vinci n. 11 del mondo nelle classifiche di singolare. Ma sono loro stesse ad ammettere che il doppio ha contribuito a dare spessore ulteriore al loro gioco, aumentando consapevolezza e fiducia. Il resto non conta, sono chiacchiere, anche se la Vinci sottolinea e ammonisce: «Io sono molto permalosa. A Sara il sorriso torna in fretta».
Wimbledon: trionfo azzurro Errani-Vinci nel doppio femminile (Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore, 06-07-2014)
Storica vittoria nel doppio femminile per le nostre Sara Errani e Roberta Vinci, che conquistando Wimbledon si sono aggiudicate anche il Grande Slam in carriera, avendo già vinto al Roland Garros e allo US Open nel 2012 e all’Australian Open nel 2013 (successo replicato quest’anno). Le due italiane hanno vinto 5 degli ultimi 10 tornei del Grande Slam. Si dirà che le avversarie, Timea Babos, ungherese, e Kristina Mladenovic, francese, non erano grande cosa, l’una al n.92 del mondo in singolo, l’altra al 107. Ma questo nulla toglie a Errani e Vinci, che per un solo minuto non hanno battuto in velocità il tempo stabilito da Petra Kvitova nella finale del singolo: la loro vittoria 6-1, 6-3 è venuta in 56 minuti.
Un abisso fra le due coppie, le due italiane vincitrici di 20 tornei insieme, compresi gli Slam, e colonne della nazionale di Fed Cup, le altre alla terza competizione in coppia. La Errani e la Vinci hanno riscattato un torneo fallimentare nel singolare, ma soprattutto hanno riaffermato il loro dominio su una specialità, cui partecipano, a differenza che fra i maschi, tre delle prime 10 del mondo (Serena Williams, Jelena Jankovic e Dominika Cibulkova). E cosa importa, in questo momento, se qualcuno considera oggi il doppio un tennis minore.
Nel singolo è stata travolta in cinquantacinque minuti la povera canadese Eugenie Bouchard, che a vent’anni molti pronosticano ai vertici del tennis femminile e che già insidia Maria Sharapova nel ranking delle più belle: nella finale è durata due game. Poi ha perso il servizio al terzo, al settimo e al nono del primo set. Salvo l’attimo di un controbreak, non è mai neppure entrata in partita. Al secondo set, si è beccata un cappotto.
Dall’altra parte della rete, la ceca Petra Kvitova, 24 anni, ma con un titolo di Wimbledon già in bacheca dal 2011, l’ha semplicemente spazzata via, 6-3, 6-0. Mancina come due del gotha di campionesse che assistevano dal Royal Box, Martina Navratilova e Ann Jones, la Kvitova non ha sbagliato niente. Si può rimproverarle solo una cosa: di aver reso la finale una vicenda così affrettata e così sbilanciata da non consentire nemmeno il tempo di godersi lo spettacolo. Per la verità, questa sembra esser diventata la prassi nelle finali femminili degli ultimi dieci anni, almeno dal 2005, quando Venus Williams chiuse 9-7 al terzo contro Lindsay Davenport. La maggior parte sono finite in due set. Ma per trovare una finale più corte bisogna risalire alla vitoria della Navratilova contro Andrea Jaeger nel 1983.
La Bouchard avrà tempo di rifarsi. A Wimbledon ha vinto due anni fa fra le “girls”. Forse la transizione è stata un po’ troppo rapida. Ma quest’anno è già arrivata in semifinale all’Australian Open e al Roland Garros, in entrambi i casi cedendo a chi avrebbe poi vinto il torneo, Li Na e Sharapova. E’ curioso che solo cinque anni fa, una Bouchard bambina chiedeva a Sharapova di farsi una foto con lei. La débacle di oggi sarà un’altra tappa della sua crescita. Curiosamente, era venuta a vederla la principessa Eugenie, nipote della regina Elisabetta: la mamma della Bouchard, monarchica fanatica, ha battezzato la figlia con questo nome in onore della principessa.
La Kvitova ritorna regina, Bouchard si spegne subito (Gianni Clerici, La Repubblica, 06-07-2014)
“Speriamo che non piova!”. II grido di uno spettatore no 1 poteva non lasciarmi perplesso, anche perché a Londra, ai tempi in cui ero vice del vicecorrispondente del Giorno tutti erano rassegnati a portarsi l’ombrello. Chi poteva aver emesso una simile invocazione? II miovicino di posto, il miglior scriba sudamericano, Guillermo Salatino, mi avrebbe tratto dal dubbio, indicandomi il tabellone. Taceva e non capivo, finché, sopra ai nomi delle protagoniste, riuscivo a leggere in lettere luminose il n. 53 e mi dicevo che stavamo assistendo al record di una finale femminile terminata in meno di un’ora, che certo alcuni colleghi diplomati in statistica stavano valutando, confrontando, approfondendo, paragonandola a quella lontana del 1922, Lenglen b. Mallory in 23 minuti, attentamente descritta nel libro Divina.
Non sarebbero trascorsi più di altri due minuti, che Petra Kvitova, l’ultima erede di una grande tradizione rinascimentale iniziata con Rodolfo 11 (500 Anni di tennis) avrebbe terminato di vincere una finale storica soprattutto per quei 55 minuti, che avrebbero spinto gli scrbi del futuro a ritenerla storica, per l’Era Open (1968 in poi ). Niente di meno storico, in realtà, di simile partita, anche se il lettore preparato non riuscirà a trattenere qualche fastidio. Giustamente o ingiustamente scoraggiato per l’attuale livello del tennis femminile, paradossale in un periodo nel quale spesso le donne si impongono in territori storicamente presidiati dai machos, avevo nutrito qualche dubbio sulla vincitrice, sin dall’ora tardo mattutina in cui gli scribi sono chiamati al pronostico ufficiale. Infatti, malcerto tra Kvitova e Bouchard, avevo finito per apporre al foglietto a ciò destinato il nome di Bouchova, speranzoso in un giudizio positivo della giuria.
Laddove simile espediente non fosse riuscito a qualificarmi anche agli occhi del lettore, lo invito, nel dubbio, alla lettura di un altro mio pronostico in favore dell’allora poco conosciuta Kvitova, prima ancora che diventasse, a sorpresa, la vincitrice di Wimbledon 2011 ( 3 luglio). Da allora, quell’atletona che avevo paragonata, quanto a potenza, alla Navratilova, non aveva onorate le mie predizioni, secondo un collega boemo anche a causa dell’ assistenza di uno speciale tipo di palleggiatore a nome Stepanek, già coinvolto in simili attività con la Hingis e, per poco tempo, con la moglie Vaidisova. La finalista di oggi, la canadese francofona Bouchard, era parsa a molti l’ultima stella apparsa all’orizzonte contemporaneo, dopo le semifinali raggiunte nei precedenti due Grand Slam di Australia e Francia.
Giovanissima, carina, intelligenteche sia, tutte queste qualità son state più che insufficienti di fronte alle botte mancine della Kvitova, un pivot dei court c he potrebbe reg g ere il confrontocon Bra ccio di Ferro. Di fronte a una simile amazzone sarebbe stato indispensabile potarsi servire di un pugnetto d’acciaio utile ad una presa monomano di racchetta, per utilizzare quello che si chiamava slice, o taglio, specialità ormai scomparsa. Durante un pomeriggio sciupato al Roland Gai ros dell’anno scorso realizzai una sorta di statistica, sicuramente imprecisa, dallaqualesi apprese ( nessunodeiveri statistici ci avevapensato) che solo 7 delle 128 iscritte sapeva ancora servirsi di un rovescio che non fosse bimane. Eviterò di sciupare troppo spazio ricordando che: 1) il taglio è indispensabile per abbassare il rimbalzo. 2) per far ruotare la palla all’ indietro. 3 ) per meglio colpire una volè di rovescio. 4 ) per meglio atteggiare la spina dorsale in attacco. 5 ) per meglio controllare e tagliare una smorzata. Cose simili sonoprobabilmentesfug-gite agli insegnanti delle finaliste, e ciò ha fattosi che lo spettacolo facesse rimpiangere quelli del passato.
Sarei ingiusto se, a queste note scoraggiate, associassi lo spettacolo del doppio femminile, disputato sotto il tetto chiuso per la pioggia Ho scritto ieri come non sia obiettivo affermare che il doppio sia una specialità scomparsa quanto il rovescio a una mano, sottolineando che ben 3 delle prime 10 vi si impegnano. Meno qualificate erano invece l’ungherese Timea Babos e la francesina d’importazione Kristina Mladenovic, rispettivamente n. 92 e 107 in singolare, ma sono i1 primo a chiamarmi a testimone di un dissimile valore nel doppio giàcchè, nel Paleozoico, fui in grado io stesso di vincere 4 grandi tornei di doppio, e mai mezzo singolo. Saretta e Robertina sono invece spesso in grado di vincere addirittura in singolo ( n. 14 e 21 attuali ) e quindi il loro 5 Slam, il primo di Wimbledon, va non solo applaudito, ma seguito da un inchino, con i migliori auguri per una prossima Fed Cup.
Implacabile Kvitova, regina tre anni dopo «La partita della vita» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport, 06-07-2014)
Il futuro tre anni dopo. Tutti la immaginavano cost, Petra Kvitova, quando nel 2011 distrusse la Sharapova in finale davanti a un incantato Centre Court: la prossima padrona del circuito femminile, la dominatrice di una nuova epoca, la risposta mancina allo strapotere di Serena Williams.
Esecuzione Alla ceca, invece, quel successo costò una pressione che non era in grado di reggere. Almeno fino a ieri, quando come un lampo abbagliante ha di nuovo attraversato il prato più famoso del mondo con la furia di un’amazzone. La finale tanto attesa contro la stellina Bouchard non è stata un match, quanto piuttosto un’esecuzione agonistica durata appena 55 minuti, la più breve degli ultimi trent’anni. Petra serve benissimo (solo 5 punti concessi con la prima) e risponde ancor meglio, e poi taglia il campo con traiettone imprendibili, sempre aggressiva e feroce, come testimoniano i 28 vincenti (a 8). La tempesta perfetta: «E’ stato il miglior match della mia vita, certamente questa volta saprò gestire meglio le emozioni».
Maturità A guardarla dominare la Principessina, lassù nel Royal Box, ci sono anche Navratilova e Novotna, progenitrici di quella scuola boema fucina di campionesse inimitabili. Anche il paragone con un passato così ingombrante ha contribuito, da quel primo pomeriggio londinese, a frenare l’ascesa, tecnica e mentale, della Kvitova. Si ritrovò icona di un paese intero, catapultata in un mondo che non le apparteneva, con la sua Skoda di seconda mano, il fidanza-tino minorenne e neppure l’abito da sera per il ricevimento dal Presidente della Repubblica, tanto che glielo dovettero prestare. Un lungo lavoro con il mental coach e, finalmente, una preparazione atletica adeguata che l’ha resa asciutta e più mobile malgrado il metro e ottantadue, l’hanno portata sul sentiero di gloria che le era stato profetizzato. Da domani sarà numero 4, con licenza di salire ancora: «Mi piace giocare finali, mi eccita. Sono stata vicina al numero 1 nel 2012, ma è difficile restare sempre in alto, per questo credo che vincere un’altra volta Wimbledon valga di più». Lo sapeva anche coach David Kotyza, che ieri mattina le ha fatto trovare scritto «bojd», cioè «avanti», nel giardino della casa dove stanno. A 24 anni, Petra ricomincia a scrivere la storia: «Non mi immagino di raggiungere i nove titoli qui della Navratilova, però questo successo è una grande carica di fiducia e autostima, anche perché le avversarie, come la Bouchard, stanno avendo una crescita incredibile». La canadese, reduce comunque da due settimane da star assoluta, dovrà mettersi in coda: «Mi spiace non aver finito il lavoro, mi dispiace non aver dato spettacolo davanti alla contessa Eugenie (da cui ha preso il nome, ndr), ma Petra è stata favolosa». Il futuro è qui.
Kvitova bis, altro che “Genie” (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 06-07-2014)
Tre anni dopo, Eugenie Bouchard, la favorita del Centre Court, la pin-up canadese, la baby-Sharapova, è finita come la Maria Original: stracciata da Petra Kvitova, la mancina con il braccio buono (il sinistro) e la lacrima facile. Solo che nella finale del 2011 la russa era riuscita a resistere per 86 minuti, mentre ieri la bella “Genie” si è fatta sradicare in meno di un’ora, 6-3 6-0 in appena 55 minuti. Per trovare una esecuzione più veloce bisogna risalire al 1983, stesso risultato per la Navratilova contro “sorella” Jaeger, mentre il record assoluto spetta alla Divina Suzanne Lenglen, 23 minuti per stracciare Molla Mallory.
La ventenne Bouchard si consola con il n.7 nel ranking mondiale, la migliore posizione mai raggiunta da una canadese (Carling Bassett fu al massimo 8), e con i contratti pubblicitari che le pioveranno addosso, dopo la prima finale Slam e 15 giorni da star. E’ da quando aveva 9 anni che “Genie” la spietata, ieri crocifissa dai giornali british per come troncò l’amicizia con Laura Robson, vuole fare la tennista. “Vincere uno Slam è il mio obiettivo: quando ero nella stanza dove incidono i nomi sulla coppa mi sono detta che un giorno toccherà a me”.
Petra la dolce, invece, dopo il secondo Slam in carriera che redime anni di risultati così cosl, di occasioni mancate, si è sciolta in lacrime durante la premiazione dopo essere salita in tribuna (inaugurando il nuovo percorso guidato) e aver abbracciato l’emozionatissimo papà, che per due settimane non aveva avuto il permesso di arrivare a Londra. Al terzo turno era stata a due punti dalla sconfitta con Venus Williams, poi ha ingranato la marcia-Wimbledon e non ha più perso un set. Chiusa la storia d’amore con Radek Stepanek, lo sciupafemmihoemo. ne buttato giù qualche chilo di troppo, Petra è rinata e da domani sarà n.4 Wta. «Ho giocato forse la miglior partita della mia carriera – ha detto – Ora che ho vinto un altro Slam spero che tutto sarà più facile. Amo i grandi stadi, le grandi finali, e poi Wimbledon per me è qualcosa di più di un torneo, conta anche più di essere n.1». Ma il suo prossimo obiettivo è proprio un posto da regina.
Record, dispetti, erba ma soprattutto nervi. E’ Djokovic-Federer (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 06-07-2014)
C’è tanto in gioco, in questa finale di Wimbledon, fra Djokovic e Federer, per fermarci ai numeri, tantissimi ed eclatanti, a cominciare dall’eventuale, nuovo, record di Slam di Roger che arriverebbe al doppio record di 8 Championships in 9 finali, e 18 Slam. Per continuare coi suoi 32 anni e 10 mesi, secondo più anziano ad arrivare così lontano nel torneo più famoso dopo Rosewall (39 anni nel’74) e scalzare, da campione, il 3lenne Ashe del 75.
Rispetto Il duello 35 Nole-Roger -18 successi a 16 per il più anziano, 6-5 negli Slam — è pieno zeppo di motivazioni psicologiche che possono diventare schiaccianti. Avrà l’animo più teso Djokovic, che sull’erba stenta più che su qualsiasi altra superficie e ha bucato 5 delle ultime 6 sfide decisive Slam, ma, vincendo, potrebbe ristrappare anche il numero 1 a Nadal, oppure Federer che sa benissimo di non avere ancora tantissime occasioni per il suo canto del cigno ed è favorito dalla superficie? Due anni fa, proprio sulla sacra erba e proprio contro Djokovic, nell’unico precedente su quei campi e in una finale Slam, ribadì l’ennesima rinascita. Souvenir odiosi. Figurati fra due campioni che non si sono mai amati. Nole gridò subito ai big: «Diventerò numero 1». E il re dei re non ha captato il giusto rispetto che invece gli ha sempre tributato Rafa. Di più: nei play-off di coppa Davis 2006, denunciò l’ospite che, contro l’allora cucciolo Wawrinka, chiamò un time-out medico/tattico: «Non credo ai suoi infortuni, non bisogna abusare delle regole, non sono contento quando poi ri-saltella come un coniglio. Che gradita stretta di mano, quando l’ho battuto». Storia da sommare alle semifinali degli Us Open, 2010 e 2011, quando Djoker salvó in replica due match point, beffandolo.
Forma Dopo il 2013 con la schiena in sciopero, Federer si bea di questa stagione, sulla scia del settimo sigillo sull’erba di Halle e di un Wimbledon in cui è restato in campo ben 5 ore meno di Djokovic, lasciando un solo game di battuta, e un set (a Wawrinka): «So che sono sempre lì e che mi sento di nuovo bene. Ora è importante gestire bene la finale e divertirmi». Mentre Novak, a Wimbledon 128 ha stentato spesso, dal secondo turno contro l’attaccante Stepanek ai quarti con Cilic dov’ha rimontato al quinto set, alle semifinali dov’ha annullato 4 set point a Dimitrov— sosia di Fe-derer — e dribblando un altro quinto set. Paura delle finali Slam? Djokovic ha un bel 4 su 4 a Melbourne, ma 0-2 a Parigi, 1-2 a Londra e 1-4 a New York: «Non posso accontentarmi e non voglio dare l’impressione che non apprezzo le finali». Soprattutto per questo ha assoldato Boris Becker che, però, a Wimbledon, ha giocato 7 finali, ma ne ha vinte «solo» 3. Mentre il rivale del tedesco, Stefan Edberg, oggi consigliere di Federer, vanta un bel due su tre. C’è anche questo in gioco, oggi, a Wimbledon.
Federer è il tuo giorno (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 06-07-2014)
Lasciate perdere lo stile, l’eleganza, la classe. I risultati. Considerate questo di Roger Federer, l’ex numero 1 del mondo che oggi alle 15 si gioca la sua nona finale di Wimbledon sul Centre Court: dall’ultima volta che si è disputato uno Slam senza di lui è passato un secolo. Era il Novecento, Novak Djokovic, il suo avversario di oggi, giocava fra i bambini. La prima volta che capimmo che era grande fu qualche anno dopo, nel 2001, il lampo contro Sampras nei quarti, le nuvole che migravano sul centre Court come stelle comete: eccolo, è lui il nuovo Messia. Non una meteora: un sole. Poi nello Slam sere giocata, e vinta, contro Agassi, Hewitt, Rod-dick, soprattutto contro Nadal. Negli ultimi due anni ha stentato – se si può stentare da numero 4 del mondo.. – oggi per la 35* volta (guida per 18-16) si ritrova davanti Djokovic. Un altro che da piccolo si era promesso iln.1,e che sel’èanche mantenuto. Note si è svezzato fra le bombe che squarciavano la ex Jugoslavia, Roger nella periferia chic di Basilea facendo a pugni con un carattere da primadonna, oggi la loro è una guerra (di classe) che ha in palio conquiste diverse. Federer ha già vinto tutto (o quasi), si batte per un posto ancora più lucido nella storia. Note vuole mordere il presente, riprendersi il n.1, superare Nadal in classifica. Vincere il diritto a conquistarsi, un giorno, il diritto a confrontarsi con il Genio.
«Djokovic? La nostra èsempre stata una rivalità cool”», sorride Federer che vincendo oggi si porterebbe a casa l’ottava coppa a Wimbledon, una razzia inedita persino per le 128 edizioni del torneo. «Non siamo arrivati nel circuito insierne quando Note ha iniziato a vincere nello Slam io ero già !ì Ma devo dire che mi è sempre piaciuto giocare contro di lui». Nei “major” con oggi si sono incontrati 12 volte, un record assoluto (che Djokovic detiene due volte, anche insieme a Nadal), ma questa sarà soltanto la seconda finale. La prima la vinse Roger nel 2007 agli Us Open, ma Djokovic aveva appena 20 anni e non aveva vinto ancora nessuno dei suoi 6 Slam. «Quello che ha fatto Roger riuscendo a tornare in finale a Wimbledon è pazzesco – ha detto il serbo dopo la semifinale vinta contro Dimitrov – ma ha avuto match relativamente semplici (uno stanco Wawrinka nei quarti, un Raonic inceppato in semifinale, ndr). Dall’altra parte della rete stavolta ci sono iq e voglio vincere.. Federer, che punta al 18 Slam in totale, è a secco da Wimbledon 2012, Djokovic ha perso tre delle ultime quattro finali Slam che ha giocato, non alza una coppa dagli Australian Open dei 2013. A Wimbledon havinto già nel2011, contro Nadal, ma perso nell’unico precedente qui contro Federer; nelle semifinali dei 2012. II loro sarà anche un confronto fra due grandi giardinieri del passato, il coach di Fede-rer; Stefan Edberg, e quello di Djokovic, Boris Becker. Finora la battaglia l’ha vinta Edberg, che qualche giorno fa palleggiando con il suo allievo in allenamento faceva impressione per come riusciva a reggere il ritmo. Federer, del resto, a 32 anni e 332 giorni può diventare il più anziano ad aver vinto Wimbledon dell’era Open, come finalista solo il 39enne Rosewall nel ’74 fece meglio di lui. Se c’è qualcuno nel tennis che per un istante può fermare il Tempo, quello è Roger Federer. E il posto migliore per farlo è Wimbledon.
Roger-Nole: la chiave è nel tempo (Piero Valesio, Tuttosport, 06-07-2014)
Le Loro Intenzioni non possono che divergere. Noie Djokovic e Roger Federar si affrontano oggi In quella che già da subitosi può definire la finale più attesa dell’anno, al di là di quello che avverrà nel resto della stagione. Più attesa perché in ballo c’è un indubitabile pezzo di storia e fors’anche la parola fine di un film (quello di Roger Federer) che a 32 anni (quasi 33) è a un passo dal vincere II suo ottavo titolo dei Championships. Stabilendo un record che sarà battuto da qualcuno quando probabilmente II tennis si glocherà in palazzettl sotto l’oceano e a concorrere cl saranno rappresentanti dl qualche altra genia non umana proveniente dallo spazio. Da un lato Djokovic avrà oggi tutto l’interesse a tirarla per le lunghe, magari permettendo a Roger di sfogarsi all’inizio ma non perdendo mal II filo del match. Più il succitato match si protraraà nel tempo più aumenteranno le sue possibilità di vincere.
Perché dei due è Djokovic quello in grado di arrivare sul traguardo con più energia in corpo. Per contro Roger avrà Invece tutto l’Interesse ad aggredire da subito l’avversario, come ha fatto contro Raonic, ha privarlo dello spazio vitale minandole sue sicurezze con frequenti discese a rete. Contro Dimitrov Nole ha avuto più di un problema quando è stato messo in condizione di eseguire continuamente passanti. soprattutto di rovescio. Difficilmente Djokovic si fa intimorire e spesso proprio dai suoi passaggi a vuoto trova energie per risorgere. Ma quella dl oggi non sarà una partita come un’attra perché contro non avrà solo un avversario voglioso dl vincere ma un uomo ad un passo da una vetta dove resterà a lungo l’unico ad aver messo piede.
Flash
Trevisan vola ai quarti per la prima volta (Giammò); Sinner, numeri da grande (Ercoli); Evoluzione Sinner, l’imprevedibilità è la sua nuova arma (Azzolini); Trevisan in versione rock (Semeraro)
La rassegna stampa di martedì 28 marzo 2023
Trevisan vola ai quarti per la prima volta (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Non si ferma più la corsa di Martina Trevisan nel WTA1000 di Miami. La numero uno italiana si è infatti qualificata per la prima volta in carriera ai quarti del torneo battendo in due set (6-3, 6-3) Jelena Ostapenko e diventando così, dopo Errani e Vinci che per ultime tagliarono questi traguardi nel 2013, la sesta azzurra di sempre a riuscirc. Intelligente e pratica, Trevisan ha giocato un match tatticamente perfetto. Come intuito dal suo coach Catarsi, Ostapenko si è rivelata giocatrice aggressiva e impaziente di prendere in mano le redini del gioco. La toscana però, anziché accettare la sfida della lettone su un territorio a lei più congeniale, ha preferito impostare il match su ritmi in apparenza più blandi, tenendone cosi a freno l’irruenza e affondando i suoi colpi appena possibile […]. “Sapevo di dover giocare una gran partita, lei un’ottima giocatrice che ama colpire forte”. Solida alla battuta (oltre il 60% di punti ricavati dalla seconda) e coraggiosa quando chiamata a fronteggiare delle palle break (alla fine saranno otto su dieci quelle da lei annullate), Trevisan, intuita la bontà del suo piano di gioco, ha continuato ad attuarlo ripassandone le trame ad ogni cambio di campo. “Partita dopo partita sto facendo esperienza, l’anno scorso a Parigi ho giocato la mia prima semifinale in uno Slam, e poi ho continuato ad imparare quanto più possibile cercando di godermi questo percorso”. Un percorso che su questa superficie l’aveva vista inciampare ben dodici volte su tredici quando opposta a una top 30; anche ieri, con la vittoria ormai a un passo, Martina ha rischiato di avvitarsi […]. Scampato anche l’ultimo pericolo, Trevisan si è poi presentata alla battuta col sorriso di chi già stava assaporando una felicità inattesa. “Sono contenta – ha commentato – siamo a Miami in questo stadio, questo è il mio lavoro che è anche la mia passione, cosa può andare male? Penso solo a godermi questi momenti”. Nei quarti affronterà Elena Rybakina.
Sinner, numeri da grande (Lorenzo Ercoli, Corriere dello Sport)
A tre annidi distanza dal primo scontro direto datato Roma 2020, Jannik Sinner ha superato Grigor Dimitrov con il punteggio di 6-3 6-4 sul Grandstand del Miami Open. Nonostante ciò che recita il parziale finale il match, specialmente nel secondo set, è stato ricco di insidie per l’azzurro, che ha quindi l’ulteriore merito di non aver praticamente mai perso le redini del punteggio. Se le settanta posizioni di differenza tra il primo e il secondo match contro il bulgaro (Sinner era n.81 ATP all’epoca del primo confronto con il vincitore delle ATP Finals 2017; ndr) non fossero sufficienti a far ricredere i nostalgici del “Sinner vecchia maniera”, la gestione pratica del match avvalora una crescita visibile sul campo quanto sui tabellini. A fine 2022 era stata un fulmine a ciel sereno l’investitura de “L’Équipe” come flop della stagione. La scelta del quotidiano sportivo francese, motivata con la discesa di Jannik alla quindicesima posizione del ranking mondiale e la vittoria di un solo titolo, già allora aveva l’unica parvenza di una mossa prettamente sensazionalistica. Messo da parte lo stupore, con l’inizio della nuova stagione non c’è stata nessuna rivoluzione, ma solo il prosieguo di un percorso intrapreso con coerenza che ha subito riportato l’altoatesino vicino al ritorno in Top10, obiettivo che potrebbe essere centrato al termine delle due settimane in Florida. Nell’eccezionalità del suo percorso, dal 2019 ad oggi Sinner ha avuto il merito di riuscire a migliorare costantemente i propri numeri, per certi versi anche nel tanto tormentato 2022 […]. La capacità di passare in un tempo record di due anni dal primo titolo Challenger all’ingresso tra i primi 20 è stata data quasi per scontata, quando all’atto pratico in tempi recenti solo Carlos Alcaraz e Holger Rune sono riusciti a compiere una scalata netta e priva di intoppi come quella dell’azzurro. A pensarci bene è un’anomalia che un giocatore così giovane si sia dovuto preoccupare di cambiare le proprie trame tattiche solo quando si è trovato ad affrontare lo scoglio dei primi dieci, contro i quali negli scontri diretti si era già fatto trovare pronto alle prime occasioni […]. Il bilancio complessivo contro quell’élite del tennis, della quale l’azzurro ha fatto parte toccando a novembre 2021 il best ranking di numero 9 ATP, è di 11-23. In una singola stagione l’atleta classe 2001 non ha mai chiuso con un bilancio positivo contro i Top10 e l’annata in corso potrebbe essere quella buona in questo senso. Dopo il 3-9 del 2022, alla vigilia del match contro Andrey Rublev, il bilancio del 2023 è di due vittorie (Tsitsipas e Fritz) e altrettante sconfitte (Tsitsipas e Alcaraz). Complessivamente da gennaio il tennista di San Candido ha vinto 18 partite su 22 (81.8%) […]. Con l’aumento percentuale delle vittorie stagione per stagione, quasi di conseguenza diminuiscono le sconfitte contro i giocatori con classifica più bassa della sua. Da favorito, naturalmente seguendo le uniche logiche del ranking, Sinner in questa stagione ha perso solo una partita su 17, ad Adelaide 1 con il futuro finalista Sebastian Korda. la consacrazione potrà arrivare solo con titoli Slam e piazzamenti ai vertici della classifica, ma nell’attesa questi primi riscontri ci aiutano a sognare in grande per il futuro.
Evoluzione Sinner, l’imprevedibilità è la sua nuova arma (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Rischiano di aprirsi antiche discussioni. Che cos’è talento e soprattutto, come si porta alla luce un talento nascosto? Evito le formulazioni più generiche, convinto che, fra le tante, quella di Pablo Picasso sia ancora la migliore. “Vi sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, e altri che con l’aiuto della loro arte, trasformano una macchia gialla nel sole”. Sarà che certe frasi ti ronzano in testa da sempre, ma osservando Jannik Sinner sbattersi un bel po’ contro Grigor Dimitrov – cui molti attribuiscono un talento più cristallino di quello in dotazione al nostro ragazzo tennista – mi sono chiesto se fra i molti ingegni di Jannik quello che gli avversari meno sopportano sia l’ormai manifesta capacità di ribaltare il fronte del gioco, per quanto preparato ad arte, con una sortita di ancora più alto spessore. Nel mostrare questo, il match con Dimitrov – che spinge Sinner alla terza presenza negli ottavi ciel “mille” di Miami, e a un confronto tra “rossi” con Anchey Rublev – è stato alquanto esaustivo, in particolare nel secondo set; quando il bulgaro che anni fa si proponeva come sposo della bella Sharapova, ha puntato densamente la barra del proprio tennis verso la qualità – e l’imprevedibilità – delle giocate, ricevendone da Sinner un’ampia gamma di repliche di casi alta fattura da obbligarlo rapidamente a recedere dagli intenti, abbrunare il vessillo del proprio casato, e consegnarsi all’avversario. Forse è proprio questo su cui ha lavorato Sinner; nell’ultimo anno, quando con coraggio e avvedutezza ha posto avanti a tutto l’esigenza di diventare “altro” giocatore, rispetto a quello forse troppo meccanico che stava prendendo forma, e preparare una trasformazione che desse risposta alla domanda centrale: che tipo di tennista vuoi essere da grande? Uno in grado di combinare più profili di gioco, è stata la risposta che tutti aspettavano. Ma forse Jannik è andato oltre. Rimettendo a posto qui, migliorando là, restaurando e ripulendo, il ragazzo è venuto a contatto con una serie di variabili che s’è tenuto da parte, pronto a gestirle alla bisogna. E ha fatto ieri in una fase del match in cui Dimitrov è sembrato sfidarlo apertamente. Ne è sortito un set in cuii due sembravano rincorrersi nel mettere a frutto i rispettivi ingegni. Un rovescio in lungo linea del bulgaro, per chiudere un punto decisamente lavorato? Ed ecco Sinner rispondere con le stesse arti, ma a velocità ancora più sostenuta […]. “Mi è sembrato di giocare una partita a scacchi”. Una mossa lui, una l’altro. Ma solo dal secondo set, dato che nel primo era stata la solidità di Sinner a emergere […]. Sul tre pari, lo scatto che serviva è stato di Sinnet; prima il 4-3, poi – attento e feroce sulle risposte, che ieri hanno funzionato davvero bene – il break che gli ha permesso di chiudere il conto. Non era facile, e non lo è stato. Ma Jannik l’ha fatto sembrare tale. Ed ecco un’altra delle più comuni definizioni del talento, che dispone chi può permetterselo nella condizione di far sembrare facile ciò che non è […]. “Con Dimitrov la risposta ha funzionato bene, con Rublev sarà decisiva”, preconizza Sinner. Che possegga anche un talento da profeta?
Trevisan in versione rock vola nei quarti a Miami (Stefano Semeraro, La Stampa)
Martina Trevisan sorride sempre quando gioca, ora sorride anche la sua classifica. Battendo in scioltezza (6-3 6-3) la ex campionessa del Roland Garros Jelena Ostapenko, Martina è diventata, oltre che la sesta italiana ad arrivare nei quarti nel “1000” della Florida (dopo Reggi, Farina, Garbin, Errani e Vinci), anche numero 20 del mondo. Per ora virtualmente, nel metaverso delle classifiche in progress ma con una chance di salire ancora. L’ultima azzurra a bivaccare così in alto è stata Robertina Vinci, n.19 nel gennaio 2017. È la prima volta che la Trevisan raggiunge i quarti di un “1000”, che ce l’abbia fatta sul veloce, non la sua superficie “naturale”, la dice lunga sulla capacità di migliorarsi di Martina, che a 29 anni vive una stagione magica […]. Già in United Cup aveva sorpreso Maria Sakkari, quello di ieri è il secondo successo in carriera contro una top 50 sul veloce. Un’ora e mezzo di frustate mancine e grande solidità mentale di fronte alla sciagurata Jelena (26 gratuiti), la conferma di un ottimo stato di forma. Ora per Martina in versione Hard Rock (il nome dello stadio del football che a Miami ospita il torneo) c’è la vincente la campionessa di Wimbledon Rybakina. In palio i quarti di finale, che sono anche l’obiettivo di Jannik Sinner nel maschile: stasera l’ostacolo è Andrey Rublev, n.7 Atp, contro cui ha perso (2 volte su 4) solo per ritiro.
Flash
Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Cocchi). Trevisan sogna i quarti “Deve stare tranquilla” (Giammò). Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Rossi)
La rassegna stampa di lunedì 27 marzo 2023
Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Non è cattivo, è che lo disegnano così. Holger Rune è il gemello nordico di Carlos Alcaraz, da cui lo separano appena sei giorni di vita. Holger è quello grande, nato il 29 aprile 2003, contro il 5 maggio di Carlitos e insieme, da bambini, hanno giocato decine di tornei junior. Si vogliono bene, si stimano ma in campo non potrebbero essere più diversi. Come stile, come personalità: Holger, che ha stupito alla fine del 2022 per la vittoria nel Masters 1000 di Bercy contro Novak Djokovic, è numero 8 del mondo e si sta ritagliando il ruolo di «aspirante bad boy». Provocatorio, arrogantello ma con la faccia da bravo bambino, ha bisticciato un po’ con tutti, soprattutto con Ruud e con Stan Wawrinka che, dopo l’ultimo incrocio a Indian Wells, ha vaticinato: «Negli spogliatoi si sta facendo una reputazione di cui si pentirà…».
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Holger, quando va ha campo lei c’è sempre da divertirsi… «Beh, è per questo che si lavora. Per dare spettacolo, giocare belle partite. Soprattutto vincere». Si, ma qui più che dl colpi si parlava dl scintille, quelle con i colleghi « (Sorride imbarazzato) Qualche volta succede… Ma non così spesso. Capisco che a volte sono un po’ troppo sanguigno, ma è soltanto perché ho una passione incredibile. Ci metto l’anima e commetto qualche peccato dovuto alla mia irruenza, alla giovane età. Sto cercando di migliorare» . Si dice che I giocatori come lei, o come Kyrglos, siano ciò di cui il tennis ha bisogno per essere più interessante. «Diciamo che la diversità è un valore aggiunto. Se ci comportassimo allo stesso modo, sarebbe una noia. Ognuno ha il proprio carattere e mi piace che sia così». Comunque Nick Kyrgios, un luminare in tema dl caratteraccio la apprezza a tal punto che vorrebbe diventare il suo allenatore. «Nick è forte, mi fanno piacere le sue parole. Più che altro, se mi fosse data l’occasione di rubare un colpo a qualcuno, vorrei íl suo servizio». Lei è seguito da mamma, che le fa da manager e la accompagna in giro per il mondo. Che rapporto avete? «Mia mamma è una persona fondamentale nella mia vita. Mi fido ciecamente di lei e seguo tutto quello che mi dice, soprattutto quando mi chiede di dare tutto e mettere passione in campo. Nessuno mi conosce meglio di lei, a chi dovrei dare retta?».
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Patrick Mouratoglou, che la segue Insieme a Lars Christensen dice di lei che è ossessionato dal tennis. «Beh, penso che se non sei ossessionato da quello che fai è difficile. Devi dedicare le tue intere giornate agli allenamenti, alla preparazione, ai tornei. Mi spiace per quelli che non sono ossessionati, li aspetta una vita sul circuito molto difficile». Chi saranno i Big 3 del futuro? «Domanda difficile, però la so! Uno del trio spero di essere io, poi Alcaraz, che ha già dimostrato di saper vincere gli Slam, e infine Sinner. Ha un atteggiamento incredibile. Sembra sia sul tour da una vita ma ha appena 21 anni, e ogni volta che gioca mostra miglioramenti».
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Trevisan sogna i quarti: “Deve stare tranquilla” (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Una vittoria ottenuta dopo oltre tre ore di gioco, rimontando un set di svantaggio, e nonostante le diciotto palle break concesse alla sua rivale, l’americana n59 del mondo Liu. Non poteva esserci un modo migliore per Martina Trevisan per tagliare il traguardo del suo primo ottavo di finale in carriera nel WTA1000 di Miami. «E’ stata una giornata lunga, abbiamo dormito poco nonostante la stanchezza del match e il caldo, ma siamo riusciti a recuperare e tra poco ci alleniamo – ci dice da Miami il suo coach Matteo Catarsi.
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“Martina e stata brava a non farsi prendere dalla fretta, a fare un passo indietro per tentare di rimettere il match sui binari della lotta e della costruzione del punto». Un copione per lei ideale. Alla cui lunghezza ieri non sembrava corrispondere altrettanta incertezza per l’esito della sfida. Anzi. Più passava il tempo, più netta era l’impressione che l’azzurra fosse sempre più vicina alla soluzione dei suoi problemi «Sa difendersi, specialmente con il back di rovescio. Col servizio varia molto di più – sottolinea Catarsi – E poi l’atteggiamento… è stata brava a trovare i giusti accorgimenti in un match iniziato con il caldo, viziato dal vento e chiuso con l’umidità». Tra Trevisan e i quarti c’è la lettone Jelena Ostapenko, una che rivuole sempre tenere l’iniziativa, fa correre le sue avversarie e non sarà facile farla muovere in campo. La stiamo già preparando, ma l’importante è che Martina stia tranquilla». SONEOO.Si è qualificato al terzo turno Lorenzo Sonego. il n.59 del mondo ha battuto in rimonta il britannico Evans, bissando cosí il bel successo ottenuto al primo turno contro Thiem e se la vedrà ora con l’americano Frances Tiafoe
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Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Paolo Rossi, La Repubblica)
Lo chiamano Killer. «Anche mia moglie, gli amici. Nessuno mi chiama Darren. Me lo hanno affibbiato da piccolo, ma va bene e sono felice così». In carriera ha vinto due titoli ed è arrivato in semifinale agli Us Open nel 1988. Ma soprattutto vanta una grande carriera da coach, e si spera che continui: Darren Cahill, australiano di Adelaide, classe `65, è il coach (con Simone Vagnozzi) di Jannik Sinner. Cahill, ricorda quel suo torneo di New York dei 1988? «Come fosse ieri. Come puoi dimenticare uno dei momenti salienti della tua carriera. Ho battuto anche Boris Becker, in quel torneo “vedevo” la palla». Però non ha poi brillato… «Ero decente, ma non un grande giocatore. In una buona giornata davo fastidio, ma essere un grande giocatore è diverso: io esponevo troppo le mie debolezze».
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Come è iniziata la sua carriera di coach? «Fortuna e porte scorrevoli: una si chiude, un’altra si apre. Ho finito giovane, per problemi al ginocchio. Avevo 25 anni. Tornato ad Adelaide, la mia città, incontrai un ragazzino di circa 12 anni: Lleyton Hewitt. Aveva già il suo coach, Peter Smith. Quindi il mio lavoro fu più di strategia: come giocare, il tipo di colpo, quale parte del campo, l’individuazione dei punti deboli dell’avversario». È questo il suo segreto? «Se non sei un tennista talentuoso devi essere in grado di vedere il gioco: è quello che faccio, cerco modi per battere i migliori. Ci sono ex giocatori che non erano campioni ma poi si rivelano coach bravi. Perché? Fanno ciò che hanno fatto per tutta la loro carriera: vedere il gioco diversamente dai campioni». Quindi gli ex campioni non sono bravi allenatori? «Tutt’altro: sono stati in quelle posizioni, in quei momenti, sanno parlare e connettersi con i giocatori. E sanno come mettere una palla in un punto del campo impossibile per i comuni mortali: una differenza c’è». Jannik dice di lei che prima del match sa trovare le parole magiche. «A volte il giocatore ha bisogno di informazioni, oppure di un discorso ispiratore, o di qualche chiarimento. Altre va lasciato in pace, o gli va dato un abbraccio. Dipende dalla situazione: per tenere la convinzione i tennisti hanno bisogno di tutto ciò, a questo servono gli allenatori». E qual e la sua parola magica? «La sto ancora cercando: importante per un vero allenatore è aiutare il giocatore a trasformare le situazioni perdenti in vincenti. Statisticamente se ci riesci 4/5 volte in un anno il tennista potrà fare qualcosa di importante nei grandi tornei». Torniamo indietro: dopo Hewitt ha allenato un certo Agassi. «Andre aveva 32 anni, era già una leggenda. Non sapevo se avrebbe giocato sei settimane, sei mesi o sei anni. Alla fine ha giocato per cinque stagioni a un livello molto alto. Per me è stata una grande lezione di coaching: mai visto uno che volesse così tante informazioni. Richieste sugli avversari, analisi e domande tipo “se colpisco la palla così, con questo tipo di giocatore e in questa posizione in campo quale sarà la risposta?”. Con Andre dovevi davvero fare i compiti: mi ha reso un allenatore migliore». Poi l’esperienza femminile. «Simona Halep. Con lei ho vissuto i migliori momenti della carriera, la gioia più alta: è una persona straordinaria, a volte era lei la sua peggior nemica. Ma che pressione aveva, con tutta la Romania che si aspettava diventasse la numero 1». E siamo al presente, in Italia. «Beh, conosco bene Riccardo Piatti, mi aveva parlato molte volte di Jannik. Ci eravamo incrociati un paio di volte, il tennis è come una famiglia e la tua reputazione gira, quindi: se, come Jannik, sei una brava persona e hai buoni valori, la gente ti conosce prima di vederti. Sapevo che viene da una grande famiglia, che ha i piedi per terra, che lavora duramente, che è motivato, rispetta le persone, tutte cose per cui è attraente lavorare con lui. La cosa più importante per me è il carattere di un giocatore». Però lei è da solo in un gruppo tutto italiano… «La “mafia” italiana (ride). Scherzo, quella è la ciliegina: è fantastico lavorare con Simone Vagnozzi, bravissimo sulla tecnica, e poi Umberto Ferrara e Giacomo Naldi».
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Su cosa deve migliorare Sinner? «Prima del mio arrivo era già un grande giocatore, già top ten: ha armi incredibili, era ben allenato. Ora vanno guardate le sue partite contro i migliori e capire cosa lo trattiene dal batterli. E lavorarci. Ma c’è bisogno di tempo, di un paio d’anni e di molte situazioni di partita. Può migliorare il servizio, il gioco di transizione, essere dominante da fondo campo. Ma la cosa più importante, quando alleni i grandi giocatori, è continuare a migliorare i loro punti di forza. Ad esempio Jannik si muove incredibilmente bene, quindi spendiamo tanto tempo su questo. È grandioso che sia così disposto a provare cose nuove e a cercare di migliorare, purché non ci si allontani troppo dal tipo di giocatore che è».
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Rassegna stampa
Musetti e Berrettini fuori (Cocchi, Giammò, Azzolini)
La rassegna stampa di domenica 26 marzo 2023
Musetti e Berrettini giù. Sinner accende i motori per cambiare marcia (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
A Miami il sole spacca le pietre eppure, sui protagonisti azzurri, si addensano nuvole nere. Dal Masters 1000 della Florida escono in una sola giornata Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini. Jannik Sinner, in campo oggi contro Grigor Dimitrov, è l’ultimo tricolore a cui aggrapparsi in tabellone. Ma a ben guardare i due ko del toscano e del romano hanno sfumature differenti. L’esordio di Melissa Satta nel box di Matteo Berrettini non è stato dei più fortunati. Non ha potuto festeggiare un trionfo ma è stata costretta a soffrire caldo e tensione nel match del compagno contro lo statunitense numero 55 al mondo Mackenzie McDonald. È finita col romano fuori all’esordio eppure, rispetto alle partite precedenti, un tiepido raggio di luce si è intravisto. Ci sono state occasioni, c’è stato atteggiamento positivo, è mancata sicuramente la freschezza fisica. Ma su questo aspetto Berrettini e il team si metteranno al lavoro da subito in vista della stagione sul rosso. Sulla terra, l’ex numero 6 al mondo non ha punti da difendere grazie al lungo stop a cui era stato costretto lo scorso anno per l’operazione alla mano destra. […] Nella partita finita con un doppio tie break a favore dello statunitense si sono visti sprazzi del Matteo che fu e pur consapevoli che la strada è ancora lunga, le premesse sono buone. Preoccupa di più l’ennesima frenata di Lorenzo Musetti. Sì, è giovane. Sì, ha trovato un Jiri Lehecka solidissimo, ma la lunga trasferta in America, prima sulla terra di Argentina, Brasile e Cile e poi sul cemento statunitense, si è chiusa senza acuti. Musetti troppo spesso si è fatto prendere dal nervosismo e ha mancato di lucidità nei momenti decisivi. Lorenzo ora è iscritto allAtp 250 di Marrakech per preparare il Masters 1000 di Montecarlo, ma potrebbe anche decidere di fermarsi più a lungo a casa e allenarsi nel Principato, dopo quasi due mesi tra Sudamerica e Usa. Quella sul rosso per l’allievo di Tartarini è la stagione più importante, ora serve ritrovare la rotta.
Berrettini e Musetti, crisi infinita (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Se vincere aiuta a vincere, la sconfitta, se ripetuta, si trasforma in una compagnia da cui diventa sempre più difficile liberarsi. I match di secondo turno persi ieri a Miami da Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini, rispettivamente contro Jiri Lehecka (n.44 Atp) e Mackenzie McDonald (n.55) sono stati un’ulteriore conferma. Talentuosi, dotati entrambi di un tennis tanto appagante quanto efficace, Musetti e Lehecka si erano infatti presentati alla vigilia della loro sfida con una cronologia di risultati che era lo specchio dei rispettivi momenti di forma: il ceco, dopo essersi spinto fino ai quarti in Australia, battendo lungo la strada Norrie e Auger-Aliassime, aveva poi concesso il bis a Doha, cedendo in semifinale a Murray non prima di aver colto di sorpresa Andrey Rublev. A Miami ha colto la sua 15a vittoria stagionale; molto più magro invece il bilancio dell’azzurro, che in Florida era atterrato sperando di invertire il trend che lo aveva visto sconfitto in sei delle sue ultime sette uscite. II doppio 6-4 con cui Lehecka si è aggiudicato il match, reca comunque indicazioni e segnali di ripresa su cui Musetti potrà continuare a lavorare in vista del suo ritorno in Europa per lo swing sulla terra battuta. Ne è convinto Davide Sanguinetti, ex n. 42 del mondo: «Oggi (ieri; ndr) Lehecka ha giocato in maniera perfetta, gli toglieva il tempo, non lo faceva pensare. Segno che hanno iniziato a capire come gioca. E Musetti, non essendo in confidenza, l’ha pagata a caro prezzo». Anche per Corrado Barazzutti «non si tratta di una questione tecnica o fisica, sono due dei giocatori più forti del mondo: è un problema che sorge nei tennisti quando non vincono». Il match di Berrettini è stato all’insegna degli scambi corti, un tennis muscolare, volontà di potenza in cui nessuno vuol recitare il ruolo di sparring partner. Intensità pura che, quando non accompagnata da ritmo e variazioni, ha finito col trasformare la sfida in un braccio di ferro giocato colpo dopo colpo sul filo del rasoio, la cui inerzia è rimasta a lungo in bilico salvo risolversi poi in due tie-break. «L’impressione che ho – riflette Barazzutti – è che entrambi siano mancati nei momenti importanti e questo denota l’assenza di qualche partita vinta e di quei momenti che, quando si è in fiducia, si vivono con determinazione e attenzione diverse». Per l’allievo di Vincenzo Santopadre, quei momenti sono coincisi proprio con due errori cruciali nei due momenti più caldi della partita: un dritto regalato gratuitamente, dopo aver annullato tre set-point e averne sciupato uno nel primo tie-break, e un altro incagliatosi nella rete nel secondo. «Per Berrettini sarà più semplice rimettersi in carreggiata, per abitudine e tipologia di gioco – sottolinea convinto Sanguinetti – Ne è già uscito tante volte, deve solo lavorare e mettere partite nelle gambe perché in questo momento ne sta giocando davvero poche». La fiducia non è però dote che si possa acquistare e la ricetta per ritrovarla è una sola: «Basta vincere una partita e cambia tutto – chiosa l’ex capitano di Davis – Ritrovarsi e vincere un primo match rimetterà a posto tutto perché il valore dei due giocatori e indiscutibile».
Musetti-Berrettini. Adesso le sconfitte fanno meno male (Daniele Azzolini, Tuttosport)
C’è qualcosa di buono, in fondo a questa giornata di nuove macerie che certo non renderà facile il riveder le stelle alla nostra mesta compagnia dei tennisti che si sono perduti. Lo dico forse per troppo affetto nei confronti di Matteo e Lorenzo, magari peccando di eccessivo ottimismo, o di buonismo, fate voi, ma le due nuove sconfitte mi sono sembrate diverse dalle precedenti. Quelle di Musetti che si perdono nella notte dei tempi e quelle di Berrettini, che hanno preso forma dal nulla — forse dal malvissuto match point sprecato al quinto contro Murray a Melbourne — e via via gli si sono strette intorno alla gola. Come un cappio che lo ponga sempre nell’urgenza di fare qualcosa di straordinario, o sopra le righe, pur di respirare una boccata di ossigeno. Due sconfitte dalle quali si può ripartire. Giunte contro avversari alla portata dei due azzurri, ma entrambi in eccezionali condizioni di forma, sorretti da uno stato d’animo ricavato dalla miglior forgia che il tennis possa garantire, quella combinazione in cui tutto appare leggero e dentro ti senti imbattibile. Ne sono sortiti due match dall’andamento altalenante – certo più quello di Berrettini contro Mackenzie McDonald – che avrebbero potuto prendere traiettorie diverse e premiare gli sforzi dei due italiani. Così non è stato, Musetti ha ceduto campo al ceco Jiri Lehecka, come lui ventunenne ma di cinque mesi più “anziano”, venuto su senza grandi pretese in questo Tour abbagliato dalle magie del numero uno Alcaraz, ma dotato di colpi di gran valore e con un fisico agile e perfettamente costruito che gli permette un gioco di pressione costante e di estremo assillo per gli avversari. Berrettini invece ha subito la prima sconfitta da McDonald, dopo due precedenti match che lo avevano visto assoluto padrone del campo. Non è ancora il Matteo in grado di dominare la scena, lo si sapeva, lo si era visto a Indian Wells, preso d’infilata da Taro Daniel, e lo aveva confermato nel challenger di Phoenix, cincischiando senza costrutto contro avversari di seconda fascia, fino a lanciare quell’urlo forse liberatorio, certo mesto, ormai diventato famoso: «Portaterni via dal campo, sono inguardabile». Ieri, se non altro, si è mostrato a mezza via, dunque sulla strada del ritorno. È un passo avanti, se vi va di sottolinearlo. Non ancora definitivo, purtroppo… Eppure Matteo ha goduto di chance robuste, fallite almeno in una occasione per un autentico guizzo della buona sorte, che si è fatta di lato quel tanto da evitare che un recupero di Berrettini pizzicasse la riga di fondo. Mezzo millimetro appena, ché tanto sarebbe servito a Matteo per chiudere il primo set. Una palla per il set sull’8-7 del primo tie break, poi altre due nella seconda frazione, sul 6-5, ma nessuna sul proprio servizio. Matteo si era tirato su nel primo tie-break cancellando due set point sul 6-4 per l’americano. Nel seicondo invece si è portato avanti 4-2 nel tie break, ma non ha retto il ritorno di McDonald, che nel frangente ha giocato un tennis di rincorse e testardaggine davvero pregevole. Chance che non ha avuto Musetti, ma il ceco gli è stato superiore nelle fasi più calde. Ha ottenuto il break sul 3 pari dei primo set, ha chiuso 6-4 e subito si è portato avanti di un break anche nella seconda partita. Il resto i due se la sono giocata alla pari, ma quando la disputa si è accesa, inutile nasconderlo, Lehecka è stato migliore. […]