Wimbledon 2014: (s)punti tecnici, finali

(S)punti Tecnici

Wimbledon 2014: (s)punti tecnici, finali

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Lo smash di Djokovic a Wimbledon (foto ART SEITZ)
 

TENNIS WIMBLEDON CHAMPIONSHIPS – Nella finale femminile si è assistito al ritorno di Petra Kvitova, che dal 2011 non era più stata così centrata e potente, contro una Genie incapace di variare il proprio gioco. Djokovic e Federer hanno messo in scena un match appassionante, il serbo l’ha spuntata con quel qualcosa in più al servizio. Il tutto in un tennis dove la varietà tecnica va scomparendo.

Lo spettacolo di Petra, Novak e Roger

Le due finali dei tabelloni di singolare femminile e maschile dei “Championships” sono state partite estremamente diverse, una completamente a senso unico, l’altra combattuta punto a punto per quattro ore e cinque set, ma hanno sotto certi aspetti offerto indicazioni molto simili.

La prima cosa da evidenziare riguardo alla grande vittoria di Petra Kvitova su Eugenie Bouchard, travolta per 6-3, 6-0, è certamente l’altissimo livello di gioco della ceca, che non si era vista tanto centrata, potente e continua forse proprio dal 2011, in occasione del suo primo titolo a Londra. A Petra ha semplicemente funzionato tutto, a partire da un servizio di rara efficacia a livello femminile, meno (non di tanto) potente di quello di Serena Williams, ma letale con le traiettorie mancine, un colpo che sono sicuro potrebbe mettere in difficoltà anche diversi giocatori maschi. Dietro a tale formidabile battuta, la Kvitova ha proposto un tennis di aggressione estrema, cercando e trovando la chiusura vincente immediata a partire dal primo colpo, con dritto e rovescio rapidissimi e anticipati al limite. Perfetta dall’inizio alla fine del match, che per sua colpa e merito è durato davvero poco.

Dall’altra parte, Eugenie a mio parere non ha avuto grandi demeriti, letteralmente presa a pallate dall’avversaria, a parte il non provare nemmeno a cambiare tattica. Avrebbe perso in ogni caso, ma almeno un qualsiasi tentativo di mischiare le carte in campo sarebbe stato doveroso da parte sua. Banalmente, trovandosi davanti una che tira forte come e più di lei, anticipa come e più di lei, ed è mancina, aspetto che richiede un aggiustamento e un ribaltamento delle geometrie abituali, la giovane canadese non ha voluto cambiare una virgola del suo tennis, forse perchè non ne è capace: niente slice, niente palle più alte e cariche di spin, nulla di nulla che potesse fare breccia nelle sicurezze di Petra e toglierle il ritmo forsennato che stava imprimendo al gioco.

Come detto, la Kvitova di sabato avrebbe vinto lo stesso, ma almeno provare a farla stare in campo di più, magari alzando qualche traiettoria, magari chiamandola a rete, avrebbe forse potuto dare alla Bouchard una minima possibilità di far pensare Petra, di farle sentire la pressione dell’evento, di farle sbagliare qualcosa, e poi chissà. Saranno riflessioni che spero Eugenie e il suo team facciano presto, perchè puoi essere forte quanto vuoi, ma il piano “B” per quando la macchina sparapalle non funziona, a certi livelli bisogna averlo.

Novak Djokovic e Roger Federer, invece, hanno dato vita a una delle finali più appassionanti e ben giocate degli ultimi anni. Quando due campioni del genere mettono in campo tutto quello che hanno, lo spettacolo è assicurato, e se il match risulta anche altalenante ed equilibrato nel punteggio, per gli spettatori è il massimo.

Dal punto di vista tecnico, a mio avviso la differenza decisiva è stata fatta dal servizio di Nole. Oltre a quello, il serbo ha espresso ad altissimo livello il suo consueto tennis di corsa, pressione, incredibile qualità nella risposta, e fantastici passanti. Ma le percentuali, sia di prime palle messe in campo, sia di realizzazione con le medesime (e anche con le seconde) sono state molto superiori al solito. Presi ad ammirare la perfetta macchina da tennis di fondocampo che Djokovic è, a volte non si nota quanto migliorato sia Novak con la battuta. Dopo anni di incertezza e problemi tecnici ed esecutivi di base, il serbo ha trovato la quadratura del cerchio: in particolare un mulinello di caricamento molto più breve di prima, e meno esteso dietro le spalle, per poter avere un ingresso e un’esplosione verso l’alto-avanti della testa della racchetta più veloci e “di ritmo”, e una postura molto più chiusa della racchetta stessa, che non gli “parte” più da troppo dietro ed è rivolta sempre verso davanti. Risultato, gran botte cariche e precisissime, diversi ace, e Federer che non è stato in grado di rispondere incisivo quasi mai: e due giorni prima Roger aveva tranquillamente gestito il servizio di Raonic, per dire.

Per il resto, sarebbe ridondante (e troppo lungo) elencare le innumerevoli prodezze che i due finalisti hanno sciorinato per cinque set, con Federer chiaramente più propositivo e aggressivo, e Djokovic che non ha arretrato di un centimetro contrattaccando e passando: volée (poche ma belle), alcuni tagli, drop shot, lob, chiusure anticipate sulle righe, recuperi impossibili, match-point salvati con un ace, chance di break decisivo nell’ultimo set, fallito e poi subito dallo svizzero, in breve davvero di tutto e di più. 6-4 al quinto per Djokovic, ma Roger e Novak vanno doverosamente ringraziati entrambi da qualunque appassionato del nostro sport.

Detto tutto questo, mi permetto di concludere con una riflessione personale che va un minimo controcorrente rispetto al (giusto) coro di apprezzamento per la bella partita: ed è qui che mi ricollego anche alla finale femminile. La questione è, semplicemente, che siamo arrivati a un punto in cui la preponderanza schiacciante del tennis corsa e di pressione da fondocampo ha stufato. As simple as that. Stufato tecnicamente, intendo: perchè anche se le perfette pallate da dietro di un Djokovic, di una Bouchard, di una Kvitova, e pure di un Federer (che però ci è costretto, saprebbe fare ben altro, ci prova e in parte lo fa, ma l’unica strada rimane la solidità con i fondamentali) sono ammirevoli, mi rifiuto di accettare che intere parti di campo, intere fasi di gioco, e di conseguenza molti tipi di esecuzione (in particolare le volée) stiano letteralmente sparendo dal tennis.

Bisognerà fare qualcosa, prima possibile, per ritrovare le meravigliosa varietà tecnica che costituisce tanta parte del fascino del nostro sport. Nel momento in cui anche sull’erba di Wimbledon un Nole prevale facendo a pallate esattamente come sulla terra rossa o sul cemento (e va benissimo che i fondocampisti come lui o Nadal abbiano le loro possibilità, ma facciamo 50 e 50, non “o così, o se provi a fare qualcos’altro tipo andare a rete non vincerai mai”), secondo me la riflessione si impone.

Non so quale soluzione sarebbe praticabile, magari lavorare sull’aerodinamica delle palle (e diversificandole, come le scarpe, a seconda del terreno di gioco) per frenarle e impedire, per esempio sui prati, velocità oltre i 180-190 kmh dei servizi evitando così i terribili Ivanisevic-Krajicek da 60 ace a testa, ma tornando al contempo a un’erba vera, dove i colpi schizzano via bassi e veloci, e dove una volée ben piazzata col taglio sotto ti sogni di tirarla su impugnando western. Lo stesso riguardo a molti campi in duro e sintetico, specie indoor, e poi che la terra ritorni lenta, e le superfici in resina e cemento all’aperto che stiano come sono, buone per tutti. Ripeto, non lo so, ma ci si deve pensare.

Altrimenti, in futuro, altro che spunti tecnici: ci ritroveremo a disquisire sui millesimi di secondo di anticipo, o sui chilometri all’ora di velocità, o sui pochi gradi di angolo di traiettoria, di esecuzioni tutte simili e desolatamente ripetitive, da parte di tennisti-maratoneti. La meraviglia di una variazione in slice, la bellezza di una volée in avanzamento (piuttosto che schiaffoni al volo) seguita dalla chiusura con smorzata, le furibonde battaglie innescate dai giocatori serve&volley contro i passanti dei difensori, che esaltavano le qualità di entrambi… sono ricordi sempre più lontani. E all’omologazione definitiva e totale ci siamo già davvero vicini, perchè Roger è a fine carriera, e oltre a lui c’è solo Dimitrov in grado di competere, ad alto livello, con un minimo di varietà tattica e tecnica nel gioco. Non tentare di rimediare sarebbe imperdonabile.

One-Handed Backhand appreciation corner

Ed è caduto anche il Vecchio Jedi Roger, eroico e indomito fino all’ultimo. Il Santuario del Talento viene ancora una volta profanato dalla barbarie bimane, ma pur appartenendo alle Schere del Lato Oscuro, il Sith di Gomma Darth Nole si merita il rispetto dovuto ai Nemici onorevoli.

I Guerrieri della Luce continuano comunque a presidiare con buona continuità i piani alti degli Slam, a parte che sull’infida terra rossa, e la Fiamma della Speranza continuerà ad ardere luminosa anche sul torrido cemento americano, lungo la Via che conduce all’ultimo presidio da difendere: lo US Open, dove i Cavalieri della presa Eastern saranno chiamati allo sforzo definitivo. E noi, come sempre, saremo con loro.

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