Australian Open, parola a Bottazzi: la donna "essere inferiore" può allenare l'uomo "essere superiore"?

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Australian Open, parola a Bottazzi: la donna “essere inferiore” può allenare l’uomo “essere superiore”?

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Quali sono nel tennis le competenze che deve avere un coach? Se la prima qualità di un coach è saper giocare al livello del suo “assistito-campione” allora perchè il coach stesso non fa il campione? Insegnamento e allenamento sono la stessa cosa? Solo il campione può essere considerato esperto assoluto dell’intera materia tennis? Nel passato e nel presente le donne hanno ricoperto con successo il ruolo di insegnante, di allenatore e di coach di campioni uomini?

Il tennis è arte e scienza. L’arte si manifesta attraverso le gesta dei grandi campioni, supportata in primo luogo da un  talento, spesso inconsapevole, fuori dal comune. Al contrario, la scienza non appartiene ai campioni perché in genere, gli stessi, non sono studiosi del gioco. La scienza necessita oltre la conoscenza tecnica della materia, anche e sopratutto, dello studio degli aspetti psicologici, pedagogici, metodologici, didattici e statistici. Queste in breve, sono le parole e la sintesi del pensiero di William Tatem Tilden, padre della scienza del gioco, campione dei campioni e maestro dei maestri; secondo i maggiori autori ed esperti di tennis internazionale. Tilden ha pubblicato, dal 1920 al 1950, oltre trenta libri la maggior parte dei quali tecnici, dedicando la sua intera vita all’arte dei “gesti bianchi” (G. Clerici). Tennis che ha interpretato nel ruolo di campione, studioso, insegnante, allenatore e divulgatore dell’attività che quotidianamente ha svolto fino alla sua morte.

Spesso, insegnamento e allenamento, vengono scambiati come sinonimi. Alcuni dizionari definiscono l’insegnamento come: “Fornire nozioni teoriche o elementi pratici a qualcuno in modo che apprenda”. Mentre per l’allenamento si legge: “Esercitare la mente e il corpo”. Definizioni che tradotte nel linguaggio sportivo dicono che l’insegnamento è rivolto a destinatari ai primi passi, proteso ad evolvere competenze adeguate per essere poi successivamente allenate. Dunque, chi viene allenato è colui il quale compete per performare, per vincere. Tuttavia, va detto che alcuni campioni non smettono mai di imparare. Questi, hanno addirittura aggiunto elementi nuovi al proprio gioco per diventare più competitivi o per rilanciare carriere terminali. Pertanto, anche se il campione viene giustamente assistito da un allenatore, in certi casi ha la necessità dell’insegnante. Orbene, la figura che riveste il ruolo sia di insegnante che di allenatore, con competenze riscontrabili, è di fatto rarissima e non solo nel mondo del tennis.

Di norma, quando il campione termina la carriera agonistica e decide di rimanere sul campo, svolge il ruolo di allenatore. Non ricordo a memoria, e me ne scuso col lettore, un campione che nelle ultime decadi si sia dedicato all’insegnamento nella scuola di base in forma esclusiva, inventando un metodo per l’insegnamento/apprendimento. Non parlo di un metodo empirico, ma di un metodo che sia fondato su basi scientifiche e riconosciuto a livello internazionale. A titolo di cronaca, le varie accademie nel mondo sono frequentate da giovani che già competono nel tennis, non certo da utenti alla loro prima esperienza. Pertanto, oltre al mestiere di allenatore, il campione si dedica anche a quello del coach. In un certo qual modo egli svolge la mansione dello sherpa himalayano che supporta gli alpinisti di talento alla conquista delle vette più elevate del mondo. Tuttavia, nello sport sono stati diversi i “non-campioni” divenuti grandissimi allenatori. Nel calcio, ad esempio, ricordo Arrigo Sacchi e Josè Mourinho. Ebbene, anche nel tennis questo fenomeno si è manifestato in modo importante. A puro titolo informativo cito Nick Bollettieri e Patrick Mouratoglu.

Cambiamo ora parzialmente prospettiva per parlare delle donne nel ruolo di insegnante e di allenatore. Dal dopoguerra le donne, hanno sempre svolto la mansione delle insegnanti molto più degli uomini, nel mondo della scuola. In particolare quella materna e quella primaria. Nello sport, invece, il fattore “donne-insegnanti” fatica a decollare perché sono gli uomini, in sensibile maggioranza, a ricoprire questa posizione. Invece, circa la figura dell’allenatore o del coach, si tratta di aree ad esclusiva quasi totale degli uomini, sia in ambito di tennis maschile che femminile. Ovviamente, sono in corso dei cambiamenti che stanno alimentando varie polemiche. Sul punto posso citare due semplici esempi. Gala Leon, capitano di Coppa Davis spagnola e Amelie Mauresmo coach dello scozzese Andy Murray. Personalmente credo che una donna possa incontrare non poche difficoltà ad allenare gli uomini. Soprattutto l’aspetto pratico costituito dall’elemento “spogliatoio” che, se si tratta di uno sport di squadra, rappresenta un ostacolo non facile da superare, anche perché il mondo dello sport resta purtroppo un ambiente involuto e maschilista. “La cultura alla quale apparteniamo trasmette il mito della naturale superiorità maschile contrapposta alla naturale inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità maschili e qualità femminili, ma solo qualità umane”. Recita un passaggio del libro “Dalla parte delle bambine” edito da Feltrinelli e scritto da Elena Gianini Belotti, direttrice dal 1960 al 1980 del Centro Nascita Montessori di Roma.

Dunque, se il sistema volesse realmente evolvere dal suo status quo generale le cose sarebbero logicamente diverse. Non si tratterebbe più di questioni sessiste ma di individui e di competenze. Ebbene, ancora una volta il tennis è, ed è stato all’avanguardia. Negli anni venti, trenta, quaranta, l’allenatore-coach più titolato al mondo era una donna. Si trattava dell’americana Elenor Tennant maestra di Bobby Riggs, di Maureen Connolly e di altri campioni ancora. Nonché allenatrice di fenomeni come Pancho Segura, Jack Kramer, Pancho Gonzales e dei nostri Giuseppe Merlo e Fausto Gardini che andarono alla corte della Tennant nel 1950 ad imparare l’arte del tennis a spese della federazione italiana. La “Divina” Suzanne Lenglen, invece, oltre che inarrivabile campionessa, è stata la consigliera dei quattro moschettieri di Francia (Lacoste, Cochet, Borotra, Brugnon) in più di una Davis, oltreché la realizzatrice del progetto per le prime scuole tennis della federazione d’oltralpe. Nel tennis più attuale, da rilevare come altre figure femminili abbiano concorso alla formazione tennistica di campioni: dalla madre di Connors a mamma Safin a quella di Murray. Inoltre, non posso certo dimenticare la signora Wally San Donnino insegnante di Adriano Panatta, Tatiana Naunko allenatrice del russo Chesnokov e la maestra di Nole Djokovic. Tra poco toccherà ad Amelie Mauresmo cercare di abbattere il tabù sessista attraverso la finale, e perché no, dalla possibile vittoria agli Australian Open 2015 del suo pupillo Andy Murray. Non dovesse vincere Andy? Allora toccherà a Nole alzare il trofeo, e come a Wimbledon 2014, ringraziare la sua prima, e oramai defunta maestra Jelena Gencic.

 

Luca Bottazzi  (www.lucabottazzi.it)

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