Questo è un tentativo di tracciare il profilo psicologico di Serena Williams, dominatrice di questo 2015 in gonnella. L’americana è una delle poche a dar spettacolo sul rettangolo di gioco e nel bene e nel male; con Maria Sharapova è l’unica a reggere il confronto con il successo dei colleghi di sesso opposto.
Tre sconfitte in otto mesi (una non la dimenticheremo mai) non sono certo uno score da tutti. Serena Williams ha dominato il 2015 e la prova sta forse nell’attenzione che i media hanno dato alle poche sconfitte. Batterla è diventata un’utopia. Tra i motivi dell’assoluto dominio con il quale travolge le malcapitate avversarie ci sono senz’altro l’approccio alle partite, la grinta e la determinazione con le quali si rende invincibile. Oltre alle indubbie capacità tecniche, ma questo sta diventando persino scontato. E, di nuovo, solo la Sharapova forse potrebbe stare al passo con la forza mentale (anche se venuta meno a NY) dell’americana, lo testimoniano i tanti successi al terzo della siberiana, ma i deludente head to head suggeriscono che neanche lei è all’altezza.
L’aspetto che vogliamo mettere in evidenza, facendoci aiutare dalla psicologia, è quello caratteriale. La sua teatralità, il suo essere personaggio ovunque si trovi, ma soprattutto con la racchetta in mano.
Il “carattere teatrale” viene associato ad una persona instabile che si sente a disagio quando non si trova al centro dell’attenzione, per non parlare dei cambi di umore repentini. Ovviamente non è il caso della nostra campionessa, più che sana sia mentalmente che fisicamente.
Da sempre in psicologia regna il dualismo tra temperamento e carattere (o personalità). Il concetto di temperamento è molto antico, dobbiamo, infatti, a Ippocrate (460370 a.C.) la sua prima formulazione. Per il medico greco, la predominanza di uno dei quattro umori corporei (sangue, flemma, bile gialla, bile nera) costituiva la manifestazione di quattro tipologie di temperamento: sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico. Seguendo Ippocrate però e guardando il body language di Serena vengono subito alla luce due delle quattro tipologie di temperamento: il flemmatico (le camminate lente) e il sanguigno (urla e c’mon). Tutto ciò potrebbe essere facilmente spiegabile andando ad analizzare come si forma il carattere. Innanzitutto Freud, Jung, ed i primi psicoanalisti, ad esempio, utilizzarono il termine carattere, mentre oggi si preferisce parlare di personalità. Entrambi i termini suggeriscono un’integrazione del substrato biologico (il temperamento) con l’ambiente psicologico e sociale. La personalità/carattere è quindi una modalità strutturata di pensare, sentire e comportarsi, risultante dall’interazione dell’ambiente sul proprio patrimonio genetico e culturale, ed è pertanto modificabile perché costruita dall’esperienza e dall’adattamento tra i propri bisogni e desideri e la realtà esterna. Messa così risulta scontato dire che Serena è consapelvomente teatrale, spinta da tutto ciò che la circonda. Possiamo addirittura quasi affermare che nel caso in cui non fosse l’indiscussa numero uno del tennis mondiale e stesse giocando una partita amatoriale non avrebbe gli stessi comportamenti che invece porta, letteralmente, in scena sui campi di tutto il mondo.
Date per buone le ultime supposizione possiamo azzardare l’ipotesi che Serena sia la più grande attrice della storia del tennis. Ogni suo match è fatto di drammi, che i primi piani delle tv mettono in risalto puntualmente. Non c’è neanche bisogno dei grandi match, perché è una cosa che capita tranquillamente nei primi turni. Gli occhi al cielo, puntuali dopo un errore, meglio se banale, alzati come a chiedere un miracolo al Signore, ignara del fatto che in quel momento se qualcuno ha bisogno di un miracolo quella non è lei ma la sua avversaria incapace, troppo spesso, di batterla. Il repertorio ad ogni modo è bello lungo: le braccia aperte, le (quasi) lacrime di coccodrillo, i passi da tartaruga per tornare in posizione dopo gli errori, la posa immobile (incredula). Un teatro, in pratica; con il campo da tennis composto da spalti e tribune con spettatori paganti ignari del fatto che una partita di tennis possa diventare una rappresentazione, appunto teatrale.
Magari qualcuno può storcere il naso, chiamarla antipatica. Ma nel tennis di oggi, soprattutto quello del circuito WTA, è un peccato non averne altre di Serena Williams. Non solo per la bravura e la forza, ma per tutto. Le concorrenti sono quasi tutte troppo uguali, sia dentro che fuori dal campo, soprattutto dentro. La vittoria, l’ovvio obiettivo comune, è raggiungibile solo attraverso un’estrema concentrazione sui colpi, le traiettorie e ogni cosa riguardi l’aspetto puramente tecnico tattico della sfida. Non c’è spazio per altro. Il tennis però è un mondo che va al di fuori dei cartelloni pubblicitari della prima fila, fatto di un pubblico che non si diverte più a guardare due ragazze che si tirano allo stesso modo per un’ora o due. Non che la nostra numero uno faccia qualcosa di tanto diverso, però diverte il pubblico che forse distratto dalla performance dell’attrice Serena dimentica quanto noioso sia diventato il tennis in gonnella. Per questo allora, ancor più di prima, “Viva Serena!”.