Melbourne, four seasons in one day

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Melbourne, four seasons in one day

Beati quelli che saranno in Australia a godere, tra le altre cose, dell’alternarsi delle stagioni in solo 24 ore. Per quelli che restano qui l’imbarazzo di parteggiare per l’estate di Djokovic, l’inverno di Nadal, la primavera di Federer e l’autunno di Murray. Ma ricordatevi che non ci sono più le mezze stagioni…

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Melbourne dal punto di vista meteorologico è considerata una delle città più imprevedibili del mondo. Famoso il detto “Four season in one day” che porta turisti e abitanti a vivere l’ebbrezza di passare dal grigiore dell’autunno allo scintillio dell’estate nel giro di poche ore. I fortunati che tra pochissimi giorni assisteranno “live” agli Australian Open potranno godere non solo di questa roulette climatica ma anche dello spettacolo offerto dai magnifici quattro sul cemento australiano.

E se per un attimo stagioni e fab four si confondessero quale scenario potremmo prospettare?

L’estate senza dubbio rapirebbe Novak Djokovic.

La stagione più amata non potrebbe che innamorarsi del numero uno del tennis mondiale perché solo in lui riuscirebbe a riconoscersi. Tutto nella vita del campione serbo splende come una chiara mattina di luglio. Il suo gioco rasenta la perfezione, i suoi colpi risultano ingiocabili e la pausa invernale non ha fatto altro che migliorare la sua già strepitosa forma fisica. In tribuna ad applaudirlo e sostenerlo la sua dolcissima moglie, nelle stanze d’hotel ad aspettarne il ritorno dopo la battaglia il suo primogenito, che a detta del nonno paterno già dimostra una naturale predisposizione al tennis (su questa dichiarazione di Djokovic senior ci riserviamo qualche ragionevole dubbio…).

Tutto ciò che Nole tocca sembra ricoprirsi d’oro, qualsiasi suo atteggiamento ci spinge ad ammirarlo. Balla con Serena Williams al party di Wimbledon ed è a suo agio come fosse uno showman scafato. Riceve il trofeo di Doha rappresentante un falco dorato e si commuove ricordando il nonno scomparso che era solito chiamarlo con il nome del rapace. Imita avversari e grandi campioni del passato e, anche quando sembra eccessivo, non può che suscitare l’ilarità del pubblico. A Parigi inizia a scendere inesorabile la pioggia proprio mentre Novak sta disputando un incontro ed egli cosa fa? Si siede in panchina e fa accomodare il raccattapalle accanto a se per fare due chiacchiere e stappare una Perrier in compagnia.

Tutti amano l’estate perché le giornate sono infinite, il sole porta con se allegria e voglia di vivere e addirittura quando il caldo diventa insopportabile lo si trasforma nella scusa per godere di un tuffo in mare. Certo alcune persone dicono di preferire all’estate una delle altre tre stagioni; così come non tutti i tifosi si schierano dalla parte di Djokovic, ma alzi la mano chi non si è mai lasciato conquistare dallo splendore di un nuovo giorno d’estate, alzi la mano chi non ha mai sorriso a un siparietto di Nole, alzi la mano chi non ha mai sinceramente applaudito a un suo miracoloso recupero in spaccata.

Il suo opposto, l’inverno, in questo momento accoglierebbe sotto la sua coltre di neve Rafael Nadal.

È arrivata l’ora del gelo per il campione maiorchino. La paura di non riuscire più a vincere e dominare come è stato abituato a fare attanaglia i suoi muscoli costruiti con il duro allenamento, i suoi tendini logorati da tante battaglie, ma soprattutto la sua testa e i suoi pensieri, così come il freddo si impadronisce del paesaggio nelle lunghe sere invernali.

Ma questa stagione, di tutte la più difficile da affrontare, si sarebbe infatuata di Rafa anche nel momento del massimo splendore perché nello spagnolo non c’è mai stata leggerezza nemmeno nel trionfo. I gesti e l’atteggiamento, fin dal riscaldamento e dal lancio della moneta, denotano la sua spasmodica, quasi dolorosa concentrazione nell’affrontare il tennis, sport che né da lui né da suo zio Toni è mai stato classificato nella categoria giochi. Anche nella vittoria, nel momento in cui l’ultimo punto ha decretato in tante occasioni Nadal campione, egli è mai riuscito a lasciarsi andare a una risata liberatoria, bensì l’abbiamo visto spesso crollare a terra e sciogliersi in lacrime mentre, probabilmente, ricordava a uno a uno tutti i dolori e i sacrifici che l’avevano portato alla perfezione di quel momento. L’inverno deciderebbe di fare suo Rafa perché saprebbe apprezzare la forza di un campione che non si è mai arreso davanti a uno scambio impossibile o a un punteggio che sembrava irreversibile. Non sempre ha ribaltato il risultato ma ha lottato in ogni singola occasione per riuscirci, perciò questa stagione sa che, anche se ora una tempesta si sta scatenando nella mente di Nadal, egli è l’unico giocatore in grado di alzare la testa, sopportare la neve sul viso e trovare la forza necessaria per tornare ad accarezzare la dolce commozione della vittoria.

La primavera con la sua serena delicatezza sceglierebbe senza dubbio alcuno Roger Federer.

Nessuno mai è riuscito a rendere semplice e romantico il gioco del tennis come ha fatto il campione svizzero. La primavera è la stagione dei nuovi amori, dei fiori che sbocciano nei loro colori pastello dopo la paura dell’inverno e dei profumi che riempiono l’aria spingendo le persone a rialzare gli occhi verso l’azzurro del cielo. Ecco tutto ciò che si prova in un tiepido pomeriggio di maggio lo si prova guardando Roger colpire una pallina da tennis. C’è lo stupore per il miracolo a cui si assiste, c’è la serenità che riempie il cuore nel vederlo compiere un gesto che pare sgorgare dal profondo in modo naturale, senza sforzo, e c’è l’amore che nasce per questo sport guardando uno dei suoi massimi rappresentati rendergli onore con colpi che sono classe cristallina.

Federer è nato per giocare a tennis. Il suo fisico non è quello di un super atleta, i suoi modi non sono mai eccessivi, la sua serenità sempre immutata anche davanti alle sconfitte. Le immagini che lo ritraggono fuori dal campo in compagnia della numerosa famiglia confermano l’aurea di semplicità che avvolge la sua figura. Wimbledon è considerato ormai il giardino di casa sua e così egli calca quell’erba: un ottimo padrone di casa durante una festa di primavera.

Si dice ormai che la carriera di Re Roger sia arrivata al tramonto eppure la stagione della rinascita sceglierebbe proprio lui. Un controsenso? Assolutamente no. Anche se i risultati non sono più quelli degli anni d’oro, anche se le finali giocate sono sempre meno, chiunque mai avrà la fortuna di assistere ad un suo tocco su un campo da tennis non potrà che rimanere a bocca aperta come davanti a un ciliegio in fiore.

Infine la cenerentola delle stagioni dovrebbe accontentarsi di colui che è sempre stato considerato l’ultimo dei quattro grandi. L’autunno farebbe cadere tra le sue braccia Andy Murray.

La sfortuna dell’autunno è quella di arrivare immediatamente dopo l’estate. Il caldo scema, le foglie cadono e il cielo torna grigio. E così la sfortuna di Murray è stata quella di nascere nella stessa generazione sportiva di Federer, Nadal e Djokovic. Il paragone con la classe di Roger, la determinazione di Rafa e la grinta di Nole risulta impietoso. Andy non ha nessuna di queste caratteristiche o almeno le maschera dietro a un atteggiamento che pare sconsolato, dietro a mille piccoli e finti infortuni inventati durante gli incontri, non appena la situazione pare farsi complicata. Non ama parlare di tennis, preferisce dare l’impressione di non considerare importanti vittorie e sconfitte, concentrandosi piuttosto sulla bella moglie, sul bimbo in arrivo o sugli amati cagnolini.

Così come l’autunno anche lo scozzese ha delle giornate di sole che paiono estive e durante le quali riesce a dimostrare quanto può anch’egli essere grande. In quei momenti dimentica la pavida prudenza che lo accompagna e si trasforma in un campione. Murray ha dimostrato di poter lottare contro avversari, pressione ed emozione conquistando la gloriosa erba verde di Wimbledon. È riuscito sugli stessi campi a salire sul gradino più alto del podio olimpico, mantenendosi comunque fedele alle sue origini scozzesi grazie a una piccola bandiera disegnata sulle scarpe. Ha riportato al popolo inglese la coppa Davis, caricandosi l’intera squadra sulle spalle.

Eppure alla maggior parte del pubblico non bastano questi sprazzi di luce per illuminare il campione, così come qualche giorno di temperature miti non basta alle persone per dimenticare la tristezza degli alberi che giorno dopo giorno si fanno più spogli. Per apprezzare l’autunno bisogna riuscire ad andare oltre l’apparenza iniziale, a cercare nel profondo la particolarità di una stagione imprevedibile e dai dettagli nascosti, così come per capire Andy bisogna sorvolare sulla suo finto disinteresse, comprendere la sua timidezza e inchinarsi davanti a un essere umano che, malgrado il timore del confronto, è riuscito ad accomodarsi al fianco degli dei.

Chiara Gheza

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