Quando Federer e Nadal sono in difficoltà: chi si accontenta gode?

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Quando Federer e Nadal sono in difficoltà: chi si accontenta gode?

Roger Federer ha perso nettamente in semifinale in Australia, e sarà costretto ad almeno un mese di stop a causa di un intervento al ginocchio. Rafael Nadal si è arreso addirittura all’esordio, e ormai da tempo sembra aver perso lo smalto di un tempo. Come fare, da tifosi, per evitare di soffrire a causa loro?

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Nel corso della vita possono susseguirsi situazioni di grande cambiamento, anche radicale, che comportano uno stravolgimento importante: che si tratti di luoghi, abitudini o frequentazioni, l’uomo deve rapportarsi a modifiche a volte traumatiche nella propria esistenza, e reagire di conseguenza. D’altronde non ha la meglio il più forte, ma il più adatto agli stimoli e alle incognite (lo dice Darwin eh, non prendetevela con chi vi scrive). Se si pensa ad esempio ad un trasloco: i primi giudizi che si materializzano appena si si da uno sguardo alla possibile nuova casa sono paragoni, per lo più negativi: non è luminosa come quella vecchia, è scollegata dai miei luoghi d’interesse, è più piccola, più fredda. Le prime visite sono quasi inutili, non faranno mai cambiare parere su quanto trasferirsi sembri una pessima idea; e agli amici si riempie la testa con “adesso sai che noia a spostarsi sempre in auto, da un altro quartiere”. Poi però si crea un misto di rassegnazione e curiosità, la comprensione di essere ormai quasi costretti a cambiare e non pensare più alla vecchia camera da letto, e piuttosto iniziare a vivere la quotidianità nella nuova dimensione; ad un tratto, si è disposti anche al compromesso. È scollegata dal centro, però ha una bellissima vista. Serve usare l’auto ogni giorno, ma il quartiere è tranquillo e residenziale, sembra di stare in vacanza tutto l’anno e c’è il posto nel parco. E anche se gli amici sono meno facili da raggiungere, si fa una gran figura quando li si ospita a cena. Quindi va bene così, il passato è un ricordo dolcissimo, ma adesso si guarda avanti, accontentandosi magari, ma con prospettiva serena: e la nuova vita va avanti anche senza le pareti a cui ci si era abituati, anzi con il tempo si apprezzano tutti i minimi dettagli che è anche divertente scoprire, tra condomini, vicini di casa e portiere. Chissà.

Il tifoso di tennis sembra però non essere pronto per questo ultimo passo: la sensazione che il proprio beniamino sia ormai in netto calo, e sarà a breve tempo di lasciarlo andare, è palpabile, ma il processo che porta alla rassegnazione, per quanto genuina e non depressa, è ancora lontano dal concludersi. Eppure non è sano continuare così: c’è da chiedersi per quanto ancora il ritornello sarà “Federer ha perso, ma a trentaquattro anni ancora è lì”, quando quel “lì” significa galleggiare tra il secondo e terzo posto in classifica, accontentandosi (lui sì, mi sa) del trofeo del finalista, quando va bene. Quante volte ancora sentiremo o leggeremo “Nadal ormai è in declino, ma sulla terra rossa è ancora l’uomo da battere”, quando a Rafa probabilmente poco interessa essere l’uomo solo al comando ai tornei di Buenos Aires o Amburgo. È pur vero che manca, almeno in parte, la seconda condizione necessaria a completare il cambiamento, quella nuova dimensione in cui trovare qualcosa di buono da poter assaporare mentre si ripensa, con piacere e non per forza malinconia, ai giorni che furono: manca il ricambio generazionale, mancano gli atleti che potranno rimpiazzare i Federer e Nadal. Insomma manca quel qualcosa che possa far dire “è vero, però…”; per quanto banale, va comunque ricordato che fu così anche quando il declino colse i vari Sampras e Agassi, Borg e McEnroe e così via.

E la soluzione qual è? Il tifoso al momento sembra stabile su una corsia ben precisa, che è proprio quella dell’accontentarsi, ma all’inverso: che vengano tutte le batoste possibili, siano esse opera di Seppi, Verdasco o Djokovic, si gioirà piuttosto di qualsiasi successo. Non importa se ad Halle o a Barcelona, se dovesse trattarsi di record di Slam giocati consecutivamente o trofei vinti sul rosso: l’importante sarà apprezzare ancora una volta, finché non sarà l’ultima, il discorso di ringraziamento al pubblico con la coppa in mano, a prescindere dal valore della competizione. Ancora di più, l’accontentarsi estremo: si può perdere anche in un’ora e mezza, ma il passante di rovescio lungolinea in corsa, il dritto mancino con l’effetto a rientrare, una demivolèe in avanzamento o un vamos a decibel inauditi, basteranno per sorridere e dire che va bene così. L’opzione opposta sarebbe quella dell’amatore puro, che freddamente riesce a staccarsi dall’emotività che tutti questi gesti o risultati possono dare, e cerca uno spunto o un motivo per entusiasmarsi anche in un de Schepper-Basilashvili al primo turno di Montpellier. Rallegrarsi perché Troicki non è l’unico serbo ad aver alzato un alloro nel 2016, commuoversi per la storia personale di Jack Sock e del fratello, chiedersi se Raonic e Nishikori prenotano il volo di ritorno già prima di scendere in campo contro i Big Four. Insomma, godere di ogni inezia che il tennis può regalare dentro e fuori dal campo, non per forza condizionati dall’amore e dall’ammirazione che si dedicano ai propri idoli. È una buona idea? Sì, però…

 

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