Come descriveresti le emozioni che hai provato nel vincere questo match e vedere Roger Federer uscire da sconfitto?
In quel momento ero molto concentrato su me stesso e non stavo pensando molto a Federer. Ero orgoglioso del modo in cui sono riuscito a portare a casa il match.
Questa è la tua prima vittoria contro Roger in uno Slam. Che importanza ha per te?
È sicuramente una grande emozione per molte ragioni. Ovviamente ero molto deluso per quello che accadde 2 anni fa e oggi ho lavorato duro e perseverato durante alcuni momenti del match. Verso la fine del quarto set mi ha lasciato uno spiraglio e io l’ho sfruttato al massimo, e da quel momento ho cercato di scappar via. Oggi ho fatto molte cose buone e la mia attitudine mi ha mantenuto in partita; penso sia questo che abbia fatto la differenza. Sono rimasto sempre positivo.
Parlaci di cosa significa questo risultato per il tennis in Canada. Cosa vorresti dire ai giocatori e agli spettatori a casa?
Penso mostri le condizioni del livello del tennis canadese. Ci sono molti junior che stanno facendo bene e in prospettiva futura c’è molta speranza. Sono lieto di essere quello che ha dato la carica e che in qualche modo è riuscito a mettere queste cose insieme.
Qual è la differenza tra il Milos Raonic di oggi paragonato a quello di due anni fa?
Due anni fa non sono riuscito a gestire tutte le difficoltà che ho avuto in campo, oggi ho trovato un modo per allontanarle e restare nel match e la situazione è girata a mio vantaggio.
Nel quarto set sembravi essere in pericolo. Come sei riuscito a uscirne? C’è stato un momento particolare?
Sul 5-6 credo lui era 40-0, o almeno 40-15. E persino prima di quel game avevo giocato alcune buone risposte, specialmente sulla seconda. In quel frangente lui mi ha regalato due punti e io ho continuato a spingere. Non ho sfruttato la prima chance e nemmeno la seconda; penso di aver sfruttato la terza.
Quando hai Federer dall’altra parte della rete, la sua aurea di mito quanto ti influenza?
Sì, questo è qualcosa che devi accantonare molto velocemente. Lui è quello che ha ottenuto più successi nel tennis ma tu stai giocando contro il Roger odierno, non quello degli anni passati. Quindi cerchi di concentrarti su questo e su cosa hai bisogno di fare senza spendere tempo a pensare a lui.
In che modo John McEnroe ti ha aiutato ad essere più loquace in campo?
Penso sia qualcosa sulla quale abbiamo lavorato entrambi e lui ci ha messo molta enfasi. Molte volte ho avuto la sensazione che durante i match mi sarei dovuto calmare perché così come molto facilmente posso avere un’atteggiamento positivo, allo stesso modo può diventare negativo.
Com’è stato avere i tuoi genitori che ti guardavano oggi? E che ruolo hanno avuto nella tua carriera?
Loro hanno ricoperto il ruolo più importante. Penso che la cosa di cui gli sono più riconoscente è che, sin dal primo giorno, loro mi hanno detto di non sapere niente di tennis. Loro sin da quando ero giovane mi hanno messo nelle mani di gente che credevano potesse aiutarmi e ne sono rimasti fuori. Loro mi accompagnavano sempre agli allenamenti e mi venivano a prendere, facevano questo genere di cose. Hanno cercato di fare il meglio che potevano. Ma fino ad oggi, quando si tratta del mio gioco, non mi hanno mai dato un consiglio.
Non hanno mai giocato a tennis loro?
No. Forse riesco a ricordarmi un week-end dove hanno giocato nel circolo locale e io li stavo a guardare. Ma oltre a questo ne dubito.
Qual è il tuo primo ricordo che hai legato al tennis?
I miei primi ricordi sono quando abbiamo cercato di lavorare con questo coach, Casey, a Toronto ma io non ero bravo abbastanza per entrare nel programma. Avevo circa 9 anni. Io e mio padre abbiamo iniziato a utilizzare la ball machine ogni mattina alle 6:00 e la sera alle 9:00, perché era l’unico momento in cui potevamo permetterci di pagare il campo. Era questo l’accordo che ci avevano fatto. Ricordo quella macchina piuttosto bene.
Tuo padre riempiva semplicemente la macchina?
Io non mi fermavo per due ore, non faceva nessun passo. Ero molto pigro e colpivo la palla stando in piedi per due ore. Lui gironzolava intorno riempiendo la macchina così io non dovevo fermarmi.
Per te c’è differenza se McEnroe si trova nello studio di commentatore? È importante per te o fa lo stesso?
Non è che faccia una gran differenza. Quando abbiamo iniziato a lavorare questa cosa l’avevo capito. Mi ricordo che quando ho giocato il terzo turno contro Jack lui mi ha mandato un messaggio dicendo: loro mi hanno chiamato per commentare il tuo match, ti dispiace? Se tu hai bisogno, farò richiesta per commentare un altro match. Io gli ho detto che non importava affatto. Ha avuto un’influenza positiva su di me.
Quando Roger è inciampato ed è caduto, sembrava si fosse fatto davvero male. Tu stavi lì in piedi vicino alla rete. Cosa ti passava per la testa? Pensavi si sarebbe ritirato?
No, a dire il vero io stavo pensando dove avrebbe servito la prossima prima. Mi sono rimesso velocemente dall’altro lato del campo e ovviamente mi sono assicurato che lui stesse bene e continuavo a pensare: quale lato del servizio devo coprire?
Oggi non sei venuto a rete tanto spesso quanto alcuni si sarebbero aspettati.
Sono un po’ triste con me stesso per non essere venuto in avanti abbastanza spesso. Lui ha fatto un lavoro fantastico, soprattutto quando servivo forte al corpo rispondeva in maniera solida e profonda. Un paio di volte ho esitato e penso che soltanto dopo un po’ ho iniziato davvero a muovermi in avanti come avrei dovuto.
Qual è la sfida più grande nell’affrontare Murray qui a Wimbledon?
Beh, sicuramente sarà una sfida in entrambi i sensi. Ci sono un sacco di cose che lui fa bene. La sfida più grande per me, e non voglio che si ripeta come al Queen’s, è quella di non venire risucchiato dal suo gioco.
Molti hanno parlato di John McEnroe, ma Riccardo Piatti ti assiste da molto più tempo. Quali sono le tue sensazioni nei suoi confronti?
Penso che Riccardo sia stato fenomenale con me nel darmi le fondamenta. Sin da quando ho iniziato a lavorare con lui, mi ha aiutato a migliorare molto tecnicamente. Quando guardi queste tre persone che mi stanno intorno, Riccardo è l’unico coach che ho sin dal giorno uno. Carlos è un ex giocatore, e anche John lo è. Riccardo mi ha curato sin dall’inizio e penso la differenza stia qui, perché lui ha fatto questo con tanti altri giocatori. Quando non gioco i tornei è con lui che passo la maggior parte delle settimane perché per lui non c’è nessun problema nel passare 6 ore al giorno in campo ad allenarsi. E lo può fare per 7 giorni perché è una cosa che ama.