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Sono Andy Murray e finalmente mi scuso con voi

L'ultimo anche in questo. Mi battono spesso, si sposano prima di me, si scusano prima di me. Vabbè. Non sono il peggiore dei quattro, non sono il peggiore dei quattro, non sono il peggiore dei quattro. Credete che me lo ripeta in continuazione davanti allo specchio? No, vi sbagliate

Last updated: 17/08/2016 2:06
By Alessandro Stella Published 16/08/2016
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6 Min Read

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Carte in tavola. So benissimo di avere qualcosa in meno, non mi pesa, non mi interessa, io sono comunque Murray. Nel braccio ho tutto quello che serve, nelle gambe ho anche più di quello che è necessario, nella testa non sono fragile come credete ma consapevole. Consapevole che nel mondo solo in tre sanno fare meglio di me quello che io già so fare benissimo e di questi tre solo uno ha ancora le energie per dimostrarlo. Ogni settimana. Tutte le settimane. Non tutte le settimane, tre volte quest’anno ho vinto io e la seconda era anche parecchio importante perché tutti parlavano la mia lingua. E la terza piangevano tutti, scusatemi se è poco.

Una volta eravamo giovani e sembravamo gemelli. Anzi di rovescio sembravo anche un po’ più forte, si diceva che avremmo fatto grandi cose. E le abbiamo fatte, ma lui alla fine qualcuna più di me. Perché? Non è vero, non si tratta solo della testa: è che lui davvero non sbaglia mai e io a volte ho bisogno di sbagliare, ho bisogno di ricordarmi che il tennis è uno sport in cui posso fallire per ritrovare la calma dei miei colpi. Il mio braccio lo richiede. E fuori sembro un vulcano, ne dico di tutti i colori, ma non ce l’ho mai con nessuno. E per ogni volta che vi ho infastidito vi chiedo scusa con la genuinità di chi è davvero privo di cattivo intenzioni. E chiedo scusa soprattutto a chi per questo si è allontanato da me.

A volte però vorrei dirvi: provateci voi. Ad esempio, provateci voi con quell’altro quando gioca come l’anno scorso in semifinale a Wimbledon. Non si tratta solo di tennis e di corsa, perché quel giorno le avevo entrambe, è piuttosto constatare che certe vette non sono le mie. Sono splendide, e le vorrei raggiungere, ma la strada non è sempre tracciata. L’ho detto no? Posso piangere come lui ma non giocare come lui. Mi ricordo che senza rendermene conto quel giorno avevo quasi perso, incurante stavo provando a lottare contro forze che conoscevo troppo bene. Schiaffo di dritto, almeno questo mi sa che è vincente: quello arriva e non ha bisogno di frenare, ipnotizza la pallina, la incrocia continuando la sua corsa e mi vedo passato. Mi scuso, anzi se preferite mi costerno, ma ripeto provateci voi.

Poi c’è il tizio che ho incontrato sei volte in semifinale negli Slam. Quello che mi ha impedito di giocare cinque finali, e non è detto che le avrei perse tutte. Mi è sempre sembrato di avere tutto per batterlo, quanto l’ho fatto correre, quanto sembrava sudare, quanto sembrava soffrire. Più del suo diritto mi sfiancava la sua pazienza, più del suo mancino pativo la sua certezza di sapermi inferiore. Il mio animo un po’ vassallo ma non il tennis, quello non sfigurava mai. Direte “ma non basta” e forse devo scusarmi per non essermi posto il dubbio quando ero in tempo, quando potevo sperare di diventare vincente come quei tre. Lo sarei stato, forte come lui e come loro? Oggi sono sicuro di no, allora dovevo costringermi alla riflessione. Ora è tardi.

La realtà mi rimette davanti agli occhi tutto il tennis che ho giocato. Tanti colpi, troppi che non li ricordo tutti. Adesso ne gioco anche di più perché all’inizio mi piaceva vincerlo il punto, ora mi sono accorto che sono troppo bravo quando aspetto di non perderlo. Se voglio so anche vincerlo, ma spesso non è necessario. La maledizione è che sono troppo bravo per pensare di andare ancora oltre, non si fa un altro salto così grande a 29 anni, non quando c’è in giro qualcuno che mi toglie la scena. E se lui finisse prima di me? Potrei avere le forze di approfittarne e fare quello che non sono riuscito a fare in dieci anni – ma chissà quelli nuovi quanto saranno diventati forti – oppure onorare il profondo rispetto che nutro per le grandi vittorie dei miei avversari e uscire discretamente dalla scena, come primo degli umani, omaggiato dal tifo un po’ compassionevole di chi si immedesima in me e crede che io soffra di questo ruolo.

Io sono il primo degli umani, non devo essere compatito, posso battere quasi tutti senza neanche dare il 100%. Scusatemi se non è poi così male.


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