Se racconti in giro che il 2017 sarà l’anno del ritorno all’attività di Roger Federer qualcuno potrebbe non crederci. Roger Federer, classe ’81, per gli appassionati un vecchio dio che usa la racchetta al posto del bastone. Ma sarà davvero così? Il suo ritorno sarà una semplice comparsata, un cameo, oppure veramente King Roger vorrà dire la sua, magari proprio contro quel Murray neo number one che passa le notti a spingere come un pazzo sulla cyclette nel salone di casa a Miami?
A detta di Pouille lo svizzero più famoso di sempre si muove ancora da semidio, almeno in allenamento è così (a Dubai non è sembrato in realtà…). Tra il dire il fare però sappiamo quanta differenza ci sia. Tutti bravi a giocare a braccio sciolto quando non c’è nulla in palio. La pressione è tutt’altra cosa. E forse proprio per questo Federer ha scelto di partite dall’Hopman Cup, competitiva e impegnativa ma pur sempre non “ufficiale”. Difenderà i colori svizzeri, proprio quelli che gli hanno dato l’ultimo grande successo della carriera: la Coppa Davis 2015 conclusasi, tra l’altro, con quella smorzata marchio di fabbrica federeriano. Batterà il primo colpo alle 10:30, avversario il britannico Evans.
Cosa dobbiamo aspettarci da questo Federer? Sicuramente non potrà chiedere a se stesso di accontentarsi, non sarebbe giusto. Paradossalmente dovrà rispettare la sua stessa carriera, evitando di macchiarla con un inutile anno (anni?) fatto di continui ko. Magari qualcuno umiliante. Federer sembra Rocky Balboa nel suo ultimo film, con le rughe in volto ma con la voglia pazza di tornare ancora a lottare, di salire sul ring della vita e dire: “Non sono mica finito io!”. Rocky però è una pellicola hollywoodiana e lì sappiamo come vanno a finire le cose, c’è sempre il lieto fine perché lo spettatore si alzi contento, commosso e soddisfatto dalla poltrona del cinema.
Sarebbe da folli non dire che il maestro svizzero tornerà a giocare solo e soltanto per vincere nuovamente un major, cosa che non gli riesce dal 2012. Veramente troppo, troppo tempo, già così sembra utopia. Come può un tennista trentacinquenne (a New York uno in più) pensare di poter vincere uno slam dopo quasi un anno di inattività e a distanza di quasi cinque anni dall’ultimo successo? Inutile nascondersi, nel caso in cui Federer riuscisse nell’impresa sarebbe uno dei miracoli sportivi più significativi della storia. A quel punto, forse, neanche un film della saga di Rocky potrebbe reggere il confronto.
In questi quattro anni ci è andato molto vicino, delle volte vicinissimo, con dei passaggi davvero cruciali, forse anche per la storia del tennis. Dopo un orribile 2013 si ripresenta in finale a Wimbledon l’anno dopo, lotta come un leone e agguanta il quinto set di un match già finito. A metà del decisivo parziale ha una palla break: Nole attacca, Fed ci arriva ma il back difensivo è in rete. Djokovic campione. Us Open dello stesso anno: Djokovic è eliminato, da Nishikori! In corsa sono rimasti il giapponese, Cilic e Federer, se fossimo a Cincinnati non avrebbero neanche giocato decretando lo svizzero campione. Ma siamo a New York e qualcuno si mette in testa che il resto del torneo deve essere comunque giocato. Cilic annienta Roger tra ace e dritti spaziali, altro treno che passa… Nel 2015 altre due finali con altrettante sconfitte. Sui prati dell’All England Club altra battaglia ma questa volta il serbo la spunta in quattro parziali (solo due davvero tirati). A Flushing Meadows va invece in scena l’ultimo grande rimpianto: 4 su 23, a buon intenditore poche parole.
Come nell’ultimo Rocky con Balboa in attività, per tornare al paragone, l’altra faccia della medaglia vive nella vittoria morale, nel calore del pubblico che non finirà mai di osannare il grande campione. Il più grande di tutti. Nel film soddisfa, come abbiamo già detto, lo spettatore, ma nella realtà il tifoso può nutristi solo di questo? E soprattutto può farlo lo stesso Federer? Ci sarà sempre qualcuno che guardandolo giocare dirà, anche a 50 anni: “Eccolo lì, il più grande tennista di tutti i tempi”. Nessuno giocherà mai come lui, nessuno ci riuscirà mai. Nei film però ci si può anche accontentare solo di questo ma nel reale no, le sconfitte sono batoste, anche per chi ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Tra dieci anni il nome di Federer non sarà associato a nessuno dei quattro Slam citati in precedenza, si tratta di tornei nei quali chi è sconfitto non può scrivere la storia.
Quindi caro Roger, che tu voglia riprovarci ancora ti fa onore e ci riempie il cuore di gioia. Ma ti sarai di certo accorto – figurarsi, sappiamo che lo sai – che in 500.000 s’incollano al pc per seguire in diretta un tuo allenamento e altri 8.000 accorrono affannati se apri i cancelli per “un paio di palleggi”. Quindi, te ne preghiamo, regalaci un ultimo film che sbanchi il botteghino, perché probabilmente le tue vittorie morali fanno più male a noi che a te.