Djokovic, la polemica si fa ipobarica (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Novak Djokovic sul campo è abituato a togliere il respiro agli avversari con il ritmo soffocante del suo tennis, ma appena può corre ad ossigenarsi il corpo e le idee: dentro la molto discussa camera ipobarica. Un dispositivo legale negli States e in Australia, ma che in Europa è vietato perché assimilato al doping tanto che alla Wada, l’agenzia mondiale antidoping, non piace affatto. Un toccasana per recuperare in fretta da infortuni, stanchezza, ridurre le infiammazioni, aiutare la circolazione del sangue, rafforzare il sistema immunitario, migliorare il benessere generale. E naturalmente ossigenare massicciamente il corpo, come avviene quando si soggiorna ad alta quota, anzi molto più efficacemente. «Non posso averlo dappertutto – spiega il serbo – ma cerco di usarlo appena posso, perché offre grandi benefici al corpo. Di solito respiriamo ossigeno al 20%, mentre nella camera pressurizzata si arriva anche al 100%». Djokovic ha iniziato a farne uso nel 2011 agli US Open, e qualcuno già allora alzò il ditino sostenendo che si trattava di una pratica illecita, ma non è certo né il primo né il solo a sfruttare un trattamento che si addentra nella (ampia) zona grigia dei regolamenti. L’ovetto è popolarissimo fra i giocatori di football americano della NFL e i cestisti della Nba mentre fra i tennisti una grande fan della camera iperbarica è Bethanie Mattek Sands, l’attuale n.1 di doppio. Comprarne uno costa svariate decine di migliaia di dollari (anche 75.000), e Djokovic potrebbe tranquillamente permetterselo, ma il trasporto da un torneo all’altro è problematico. Molto più comodo frequentare i tanti centri che ormai lo mettono a disposizione degli sportivi, e non solo. Una seduta in un centro specializzato costa circa 200 dollari (per mezz’ora) e a Melbourne quello più frequentato (anche da Nole) è l’HyperMed Clinic di South Yarra, gestita da Malcolm Hooper, un personaggio decisamente controverso. Tre anni fa la Sanità australiana gli ha revocato il diploma da chiropratico dopo aver scoperto che Hooper aveva scucito 45.000 dollari australiani (circa 30.000 euro) a un paziente con disturbi cerebrali per una terapia mai sperimentata prima, mentre più recentemente un altro paziente, peraltro con problemi cardiaci non correlati con il trattamento, è morto per infarto mentre era dell’ovetto. Djokovic, da buon salutista, problemi del genere non dovrebbe averne e comunque alla vigilia degli Australian Open, in attesa di infilarsi nell’ovetto delle meraviglie, non si è negato passatempi meno controversi. In una serata organizzata sulla Margaret Court Arena di Melbourne per raccogliere fondi a favore della sua fondazione per l’infanzia ad esempio ha lasciato momentaneamente la racchetta per divertirsi a giocare a cricket, oltre che a calcio e a basket. Durante l’esibizione si è anche seduto su una carrozzina per confrontarsi con il campione australiano di wheelchair tennis, Dylan Alcott, rendendosi presto conto che colpire la pallina cercando nel contempo di far girare le ruote della carrozzina non è affatto semplice. «Ma come ci riuscite?», ha chiesto più volte, beccandosi anche i rimproveri divertiti di Alcott che durante gli scambi lo ha invitato più volte a «darsi una mossa». Alla fine il tennista più agile ed elastico del mondo se l’è cavata trovando un lato positivo nell’avventura: «Be’, se riesco a infilarmi qui dentro vuol dire che in fondo ho ancora un sedere abbastanza magro…».
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Australian Open: Federer alla 17 mette paura a tutti (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Più che l’elenco delle teste di serie, avrà contato il sorteggio (che si è tenuto stanotte all’una): perché gli Australian Open, a differenza di Wimbledon e qualche volta di Parigi, nel determinare i 32 favoriti e le 32 favorite seguono pedissequamente la classifica. Così quel 17 accanto al nome di Federer mette i brividi a tutto il parterre, perché significa che il Divino, al rientro ufficiale da Wimbledon, potrà trovare uno dei primi quattro, e quindi Murray, Djokovic, Raonic o Wawrinka già al terzo turno (quando teoricamente i primi 16 affrontano i secondi 16), in un percorso straordinariamente ad ostacoli, e non solo per lui, ma anche per chi lo incrocia tra gli altri big. Peraltro, anche il 9 di Nadal significa che lo spagnolo potrebbe trovare uno dei primi quattro già negli ottavi. Era dal Roland Garros 2001 (numero 18) che Federer non stava così in basso nel seeding. Unica italiana, uomini compresi, tra le teste di serie è Roberta Vinci, che grazie ai forfeit di Keys, Kvitova e Azarenka sale da 18 a 15. Intanto, nelle qualificazioni maschili, Thomas Fabbiano approda al turno decisivo battendo 4-6 6-4 6-2 il giapponese Santillan e domani si gioca un posto in tabellone contro il brasiliano Ghem. L’altro azzurro Luca Vanni, vincitore all’esordio con Gaio, è tornato invece in campo stanotte al secondo turno contro Sarkissian (Usa).
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Belle speranze per il tennis (Gaia Piccardi, Corriere della Sera – Milano)
Se “il tennis è un gioco di scacchi della mente” (John McEnroe) e se “panta rei” (Eraclito), val la pena di credere che un giorno gli Internazionali d’Italia possano tornare nella culla in cui sono nati, 600 km a Nord del Foro Italico dove soggiornano dal 1935 (con l’unica eccezione dell’edizione ’61 a Torino per il centenario dell’Unità d’Italia), a Milano. Certo, forse i nobili vialetti del Tc Milano – che al tempo che fu videro Bill Tilden umiliare il barone De Morpurgo – non sarebbero più adeguati a contenere il gigantismo di un torneo che muove 1,50 milioni di indotto per la città che lo ospita. Ed è ovvio che di fronte all’intemerata del presidente della Federtennis Angelo Binaghi («Abbiamo creato un nuovo asset con il sindaco Beppe Sala, se son rose fioriranno…»), stufo delle pastoie delle amministrazioni capitoline, Milano che ha appena preso per cinque anni Next Gen, il Master giovanile (7-11 novembre), non vede l’ora di allargarsi per tornare all’antico splendore («Siamo disponibili» fa sapere l’assessore allo Sport Roberta Guaineri). Gli argomenti, a Milano, non mancano. «Il baricentro della Federazione è in Lombardia, regione che rappresenta il 22-25 per cento di tutto il movimento, e Milano ne rappresenta il faro» spiega Sergio Palmieri, presidente del Comitato regionale lombardo e — guarda caso — direttore degli Internazionali contesi. I numeri lo dimostrano: 148 circoli per un totale di 536 campi (in testa c’è il Tc Ambrosiano con 18 campi), 21.637 tesserati divisi tra circa 6mila donne e 15mila uomini per un totale di 5.695 agonisti, cioè regolari frequentatori di tornei o campionati a squadre. Circa la metà dei tesserati ha meno di 18 anni, a testimonianza della vocazione verde del tennis in città, esaltata dai due appuntamenti clou del calendario Junior internazionale: il Trofeo Bonfiglio (Under 18: nell’albo d’oro Lendl, Noah, Courier, Ivanisevic), organizzato dal ’59 dal Tc Milano, e il torneo dell’Avvenire (Under 16: tra i vincitori Borg, Edberg, Hingis e Capriati), dal ’65 al Tc Ambrosiano. Assieme al fermento, Milano assicura tradizione, passione e storia. «Avete ospitato mitici incontri di Coppa Davis, all’epoca di Cucelli, Del Bello, Pietrangeli e Sirola — ricorda Palmieri —, oltre alla finale Italia-Svezia del ’98. Nel ’72, poi, organizzato da Carlo Della Vida, alla vecchia Fiera nacque il torneo internazionale che per anni ha portato sotto la Madonnina i migliori fuoriclasse del mondo». Serve ricordare che un certo Roger Federer vinceva il primo di 88 titoli Atp il 14 febbraio 2001 proprio a Milano? Al netto del crollo per neve (1985) di un palazzetto dello sport che non è mai più stato ricostruito, Milano si è sempre dimostrata terreno fertile, amata — ricambiata — dal tennis. «E una città ricca — sottolinea Palmieri — che può spendere e pretende il meglio. il tennis ha sempre avuto il pienone anche in concomitanza delle partite di Inter e Milan». Sognando gli Internazionali, quest’anno la città avrà di che divertirsi con le giovani racchette del Master Under 21 alla Fiera di Rho. Una vetrina di futuri campioni Slam, in anteprima assoluta. Vinceranno a Roma, nel futuro, ma prima passano da qui.