da Roma, il nostro inviato
Leggendaria come il suo sorriso accecante, che si illumina quando allunga una mano facendola spuntare dalla coltre di asciugamani che la ricopre: “C’è l’aria condizionata, ho una certa età!” esclama mentre saluta, alzandosi dal divano del Social Media Space, l’area dedicata alle interviste nel Centrale del Foro Italico. È ancora sudata per la sessione di allenamento appena conclusa sul campo 4, uno di quelli aperti al pubblico: lei abituata al clamore di quando era dominatrice incontrastata prima ancora di prendere la patente, adesso si diverte senza pressioni, rinata dopo il suo controverso doppio ritiro dalle competizioni. Si è dedicata solo al doppio, su cui aveva già abbondantemente regnato quasi vent’anni fa: a diciannove anni il Grande Slam di specialità, tutti i Major conquistati nello stesso anno, tre dei quali con la ceca Jana Novotna: “Una delle mie partner preferite ovviamente, tre Slam insieme non sono pochi”. Con lei sette dei cinquantasette titoli in carriera; adesso il team con Chan Yung-jan, ventisettenne di Taipei che ha disertato la sfida con l’Italia a aprile, si sta rivelando piuttosto proficuo: “Sono molto felice, ci stiamo divertendo molto. Tre titoli in sei tornei non è mica male! Abbiamo vinto anche partite dure (a Roma in quarti hanno salvato match point contro Hibino/Rosolska, ndr), sono cose che aiutano a cementare il nostro legame e supportarci a vicenda”. Altre collaborazioni di successo, dopo il rientro, con Flavia Pennetta e Sania Mirza. “Non ho mai avuto difficoltà a trovare una compagna. Ci conosciamo tutte, valutiamo i pro e i contro prima di iniziare. A me piace avere qualcuno che tiri forte, come Chan, ma in passato ho collaborato anche con tenniste brave a rete: Lucic, Fernandez era elegantissima, Novotna appunto. Non credo ci sia un particolare che scelgo, si tratta piuttosto di capire cosa si può fare bene insieme, e lavorarci”.
A proposito di Flavia, il volto le si illumina quando inizia a parlarne: la loro collaborazione era terminata in maniera anche brusca, con Martina che denunciava uno scarso feeling, ma adesso c’è spazio solo per parole al miele: “Flavia è fantastica. È stato splendido vederla chiudere a 33 anni, con la vittoria in uno Slam, ed è ancora più bello vederla trovare felicità fuori dal campo. Sono davvero contenta per lei; la vita non finisce, anzi comincia dopo la fine di una carriera. Il tennis sarà sempre parte delle nostre vite, ovvio, ma c’è dell’altro. Sono sicura sarà felicissima”. Poi alza gli occhi scoppiando a ridere, quasi a giustificarsi: “Io non ne ho idea, il mio momento non è ancora arrivato!“. Ha ancora lo spirito combattivo e la voglia di vivere di quando era agli inizi: il fisico esile ma tonico, e i capelli lisci raccolti in una lunga coda, che in campo organizza con una visiera. Sempre positiva durante il gioco, pronta a dare il cinque alla compagna, ma vivace e ruvida quando deve rimproverarsi un tocco sbagliato o una scelta tattica infelice. A sedici anni stabilì il record di precocità per una numero uno del mondo: dodici titoli su tredici finali, l’unica persa al Roland Garros mancando così di un soffio il Grande Slam. La sua passione per l’equitazione la tradì sul più bello, una caduta le causò dei postumi che le impedirono di giocare al meglio la finale di Parigi. Gira ancora il mondo, vince e non si stanca. “La mia è stata una generazione di giovanissime campionesse, io, Seles, Capriati, Graf, Sabatini, abbiamo tutte iniziato a 14 anni: all’epoca era normale, dopo un paio di anni Juniores. A proposito di longevità, guarda le Williams, sono ancora là nonostante acciacchi e malelingue. Dipende da quanta passione hai, e da come sei capace di gestire le cose. Invecchiando apprezzi di più quello che fai, da giovane ti distrai più facilmente. Era una generazione diversa, adesso serve più tempo per il passaggio al tennis delle grandi”.
Vent’anni di carriera and counting, e non ha dubbi sul cambiamento più importante a cui ha assistito. “I social, assolutamente” dice spalancando gli occhi con una vena negativa, scuotendo la testa e riassestandosi gli asciugamani sulle spalle. “Comunicavamo di più, parlavamo sia tra di noi che con i media. Adesso lo facciamo ancora, ma si da più importanza alla foto o a pubblicare un pezzo, o a preparare materiale da mettere online. Durante le conferenze vedi giornalisti che fanno una domanda, e poi invece di guardare negli occhi chi risponde, chinano il capo per cominciare a digitare o usare Twitter. E poi tutto è diventato più professionalizzato. Sono aumentati i soldi, gli interessi si sono ingranditi: i team di ogni singolo giocatore sono più grandi, è come se prima si sentisse meno che di fatto questo è un lavoro. Ora ci sono figure professionali che anni fa nemmeno esistevano, vedi il mental coach o il dietologo”. Parlando di soldi, Kontinen ci aveva raccontato della differenza con il singolare e della difficoltà di guadagnarsi da vivere con il doppio. Hingis era tornata regina del ranking di specialità nel 2015, a distanza di diciassette anni dalla prima volta: “Da numero 1 è facile parlare! Credo si possano avere soddisfazioni già in top 10, ma sopratutto dipende dalla nazione in cui si vive: in Svizzera, anche se sei in top 10 in doppio, dopo dovrai continuare a lavorare. Molte di noi vogliono farlo, a me piace essere un coach (ha collaborato con Pavlyuchenkova, Lisicki e da ultima Bencic, ndr). Mia madre ha un’accademia e quando torno lavoro con i ragazzi più forti, ci sono tre o quattro dei migliori junior della nazione, 13-14 anni. Ogni volta lottano come pazzi per fare punto, mi mettono a dura prova!”, descrive mentre ride e gesticola, asciugandosi le ultime gocce di sudore e risistemandosi il top in tessuto aderente. “Tutti devono trovare qualcosa da fare dopo, forse nei paesi dell’Est è diverso, i guadagni ti bastano. Di certo non in Svizzera, da noi è tutto costosissimo!”.
Mentre saluta, a registratore spento, risponde allegra ma con una vena di rassegnazione: “Olimpiadi di Tokyo? Come no, andrò a sostenere la squadra e guarderò tutto con i pop corn dagli spalti”. Intanto andrà da favorita al Roland Garros, per aggiungere un ulteriore trofeo alla sua già strepitosa collezione: mancherà al tennis, sopratutto per la gioia che trasmette in campo e fuori. Ma fino al 2020 c’è tempo.