Nadal e Djokovic in volo tra filosofia e super coach (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Gli amanti della cabala ci avevano ricamato fior di profezie: il 31 maggio di nove anni fa, Nadal perdeva agli ottavi con Soderling dopo aver dominato per quattro edizioni consecutive sulla terra benedetta di Parigi. Lo svedese di nome faceva Robin, come l’avversario di secondo turno di stavolta, l’olandese Haase. E perciò via con le memorie, le statistiche, le previsioni. Sciocchezze, per il braccio armato mancino di Rafa, arrivato al Roland Garros con l’obiettivo della Decima e il fuoco sacro di una stagione sul rosso quasi perfetta, non fosse per l’inattesa fermata romana contro Thiem. Quella del 2009 resterà senza dubbio una delle sorprese più clamorose della storia, intanto il maiorchino ci ha aggiunto altri cento e cento successi che l’hanno sicuramente schermato dalla scaramanzia: 38 vincenti e nessuna fatica, con il buon Haase (che è mancino ma gioca di destro, lo specchio del suo avversario) rispedito sotto la doccia in meno di due ore.
Così, in attesa che il torneo si scaldi per davvero (ma non per il clima, fortunatamente torrido), sono i coach-star a tenere vive le discussioni nei corridoi. Martedì, ad esempio, è stato domandato a Murray se il rendimento ballerino degli ultimi mesi non fosse legato all’assenza di Ivan Lendl, che di solito si appalesa solo per Wimbledon e la stagione estiva. Lo scozzese ha risposto con gli occhi di brace: «L’anno scorso ci siamo salutati dopo gli Us Open e ci siamo rivisti al Masters e in quell’intervallo ho giocato il miglior tennis della mia vita, perciò stiamo parlando del nulla. Perfino Rafa, al momento troppo più forte perché gli si chiedano analisi tecniche, è stato stuzzicato sul rapporto con zio Toni, dal prossimo anno lontano dall’angolo del nipote per occuparsi dell’Accademia di famiglia: «Un feeling diverso con Parigi perché è l’ultima volta con Toni? A parte che potrà tornare quando vuole, io sono qui solo per giocare a tennis nel torneo che è sempre stato il più importante della mia carriera. Mio zio è stato la persona più importante della mia vita, ma accanto a lui adesso c’è Moya, che come lui mi conosce da quando sono bambino ed è entrato perfettamente nelle dinamiche del nostro team».
Il più inquadrato, il più ricercato, il più esaminato resta ovviamente Andre Agassi, sempre sorridente lassù nello spicchio di tribuna riservato al clan Djokovic. Per adesso il feeling funziona, anche grazie a un tabellone davvero morbido, ma in questo momento Nole ha bisogno proprio di vittorie come quella con il portoghese Sousa, curiosamente con lo stesso punteggio di Nadal (6-1 6-4 6-3), facili e corroboranti per l’autostima: »Mi sto divertendo, giocare mi piace tanto, amo il tennis e ho ancora una grande passione. Avere Agassi con me mi aiuta in questo, voglio scoprire cosa altro mi aspetta nella vita.. Ormai ogni uscita pubblica del Djoker dopo un match assomiglia sempre di più a un trattato di filosofia orientale: «Andre e io abbiamo avuto delle difficoltà nei nostri percorsi. La cosa che lo fa assomigliare di più a me è che, per la maggior parte della carriera, ha pensato che vincere fosse l’unica cosa a renderlo felice. Anch’io, per anni, ho basato la mia gioia sulle vittorie . Ma mi sono reso conto – confessa l’ex numero uno – che puntavo tutto solo sul tennis, considerato come fonte di gioia e pace interiore. Ma, alla fine, non è così. Perché non si può vincere sempre. E quando si perde, non dovrebbe essere la fine del mondo e non si dovrebbero sprecare così tante energie a essere così delusi (…)
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Djokovic stia attento che Agassi si distrae (Gianni Clerici, La Repubblica)
Adesso lo posso dire, senza essere soprannominato cortigiano, adulatore, o peggio. Ho sempre apprezzato quanto mi dicevano quei veri competenti di Tennis che ho soprannominato Aficionados, un termine che ho sottratto ai preparatissimi spettatori della corrida. Così, non potendo assistere all’inizio del Roland Garros, mi sono rivolto a Paolo Garimberti, che non è più il direttore-vice del giornale, ma soprattutto mio amico. Paolo ha assistito per tre giorni dell’inizio del torneo nel palco di un altro amico, Pierre Barthès, che negli Anni ’60 fu tra i primi grandi prof della storia del gioco. Gli ho chiesto come avesse visto Djokovic, teoricamente assistito da Andre Agassi ed ecco la risposta. «L’assistenza di Agassi è notizia da cattivo giornalismo, Andre guarda giocare Djokovic perplesso, con l’aria di chi si trova casualmente sul campo». E cosa mi dici di Djokovic. «Mi lascia incerto. Sembra non essere più nella straordinaria condizione atletica che gli consentiva di stare in equilibrio al termine di una scivolata, magari sul cemento, magari negli angoli. Non sarà certo Agassi a fargli ritrovare la sicurezza che viene dalla condizione atletica». Confortato da questi suggerimenti, sono andato ad assistere al match tra Nole e Joao Sousa, il primo tennista venuto dal Portogallo, curioso filologo che, in una recente partita, ha discusso vivamente con l’arbitro che lo privava di un punto per l’esclamazione “Puta madre”. Joao ha insistito nel punto di vista che l’affermazione sia un insulto alla Mamma in Spagna, ma non sia tale in portoghese, giusto una esclamazione gergale.
Nell’attesa di conoscere il risultato dell’indagine suggerita all’Atp, l’ho visto allenare dignitosamente Djokovic, beninteso in gara. Ad altre due partite mi sono interessato per patriottismo. La prima del piemontese di antenati campani Stefano Napolitano, ragazzo che aveva suscitato il mio entusiasmo, e alcune righe, il giorno in cui l’avevo visto in campo uscito dalle qualificazioni al Foro Italico contro un buon tennista quale Jurgen Melzer. Felicemente assistito da Christian Brandi, tennista della benedetta gravitazione Piatti, Napolitano ha disputato una dignitosa partita contro Schwartzman, il più piccolo -1,70 – del circuito, ma certo non il meno efficiente. Di Napolitano, della sua famiglia, che gestisce l’antico Tennis Biella, dopo quella che sembra una storia alla Rocco e i suoi Fratelli, ha già parlato l’altro ieri Paolo Rossi e, nell’assenza di giocatori italiani contemporanei, le sue future prestazioni, che lo avvicinano all’ammissione ai Grand Slam, vanno seguite. Per parlare d’Italia, ho osservato ancora una volta, con tristezza, la fugace apparizione su un campo Centrale di Sara Errani, la stessa che su campi simili aveva destato più di una volta la mia ammirazione, per un tennis fatto di intelligenza, regolarità, personalità (…)
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Un supercoach per non perdersi (Claudio Giua, repubblica.it)
I numeri non sempre rappresentano compiutamente la realtà. Novak Djokovic si libera in tre set di Joao Sousa, classe 1989, numero 59 del ranking ATP, e approda al terzo turno del Roland Garros. Eppure fa fatica: nel secondo e nel terzo set il portoghese riesce più volte a costringere il numero 2 ATP ai vantaggi, dilatando il match oltre le due ore (6-1 6-4 6-3 in 126 minuti). Non differisce di nemmeno un game il punteggio della partita, quasi contemporanea, tra Rafael Nadal e Robin Haase, 30 anni, 46 ATP. L’olandese – uno che carbura lentamente – soltanto nella seconda frazione riesce a contenere l’esuberanza dell’attuale numero 4 al mondo e numero 1 nella classifica Race to London che tiene conto dei risultati da gennaio. Per il resto, è un monologo dello spagnolo. I diciassette minuti in meno rispetto al serbo impiegati per chiudere la pratica con lo stesso 6-1 6-4 6-3 sono tuttavia eloquenti. Nole sta crescendo in sicurezza e continuità ma non ha raggiunto la forma psicofisica migliore, Rafa sta confermando le qualità mostrate in tutta la prima fase della stagione, con le finali a Melbourne e Miami, i successi consecutivi a Monte Carlo, Barcellona e Madrid e il solo passo falso a Roma, contro Dominic Thiem.
È distanza, anche un confronto tra coach. Nello spicchio di tribuna del campo Suzanne Langlen assegnato allo staff di Djokovic siede, serissimo, Andre Agassi, all’esordio come principale consigliere del campione uscente di Parigi. In quello dello stadio Philippe Chatrier è Carlos Moyá a osservare, senza apparenti emozioni, i movimenti e i tempi sulla palla di Nadal. L’americano al fianco del campione in astinenza di risultati è una delle novità degli Open francesi. Qualche giorno fa Nole ha detto all’Equipe: “Per gran parte della carriera Andre ha lavorato e si è allenato come se vincere sul campo fosse la sola cosa a contare, a soddisfarlo e a renderlo felice. Non era così, come ha rivelato quando ha confessato che in fondo non amava il tennis, che si sentiva spesso in gabbia, costretto a giocare, a primeggiare. Anche io ho basato tutto sul battere gli avversari”.
Dopo i tentativi falliti del controverso guru Pepe Imaz nell’autunno scorso, adesso tocca ad Agassi convincere Djokovic che, a trent’anni appena compiuti e dodici Slam conquistati, si possono mettere in fila le proprie priorità di vita in un ordine differente e, tuttavia, continuare a essere vincente sui campi di quattro continenti. Andre lo sa meglio di chiunque altro. Nick Bollettieri, eccezionale formatore di campioni, ha raccontato così il ragazzo californiano appena arrivato nella sua Academy nel marzo 1984: “Non aveva soltanto un enorme talento per il tennis. Possedeva la genialità di chi cambia il gioco, comune a pochi nella storia della disciplina. Con la sua personalità sfrontata ed esuberante fece irruzione in uno sport che per certi versi molti consideravano timido e scialbo, diventando la prima rockstar del tennis. Quello che era un passatempo per gentiluomini a tinte pastello, con Andre diventò selvaggio ed elettrico. Lo catapultò nella sfera pubblica in un modo del tutto nuovo e lo rese sexy come nessuno prima e dopo di lui”. E ancora: “Una volta eresse una torre di bottiglie di whisky vuote in camera sua pur sapendo delle frequenti ispezioni del personale. Noi non capivamo che si trattava di puro esibizionismo. Jim Courier e altri del mio gruppo di talenti si chiedevano perché non buttassi fuori dall’Academy quel ragazzino ribelle”. Vent’anni dopo, a fine carriera, Agassi sarebbe stato il più corretto e compassato, oltre che vincente, protagonista del circuito. Djokovic ha lavorato molto su di sé da quand’era un teen ager molto arrogante. Ora deve fare un tagliando e ripartire: per riuscirci, ha rinunciato ad avere accando tre figure determinanti per i suoi successi, il coach Marian Vajda, il preparatore atletico Phil Gritsch e il fisioterapista Miljan Amanovic. E s’è affidato ad Andre.
Tutt’altra la storia di Rafa, che ha bisogno di stimoli tattici più che motivazionali. Moyá è stato il numero 1 ATP per due settimane nel 1999 pur disponendo di un bagaglio tecnico non paragonabile a quello del più giovane co-isolano. La sua caratteristica era sfruttare le proprie qualità senza sprecare nulla e risparmiando le energie. Per un decennio, invece, Nadal ha usato ogni spicchio di forza per combattere, nonostante i frequenti infortuni, alla pari con Djokovic, Roger Federer e Andy Murray. Al suo fianco, come coach e mentore, c’era allora solo zio Toni. La suddivisione delle responsabilità tra Nadal Sr. e Moyá, cominciata sei mesi fa, ha finora perfettamente funzionato. Parigi è la prova del fuoco.
Per non annoiare chi fosse arrivato fin qui, non commenterò le uscite di scena di Stefano Napolitano, Simone Bolelli e Sara Errani, che pure non hanno sfigurato nonostante le sconfitte. In particolare, il giovane biellese ha saputo tenere testa al tostissimo argentino Diego Schwartzman (…)
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L’Italia a Parigi perde tre pezzi (Angelo Mancuso, Il Messaggero)
Il 31 maggio non è una data che Nadal ricorda volentieri. Quel giorno, nel 2009, subì la prima sconfitta al Roland Garros per mano di Robin Soderling. Ieri aveva di fronte un altro Robin, che di cognome fa Haase ed è olandese, non svedese. Stavolta è filato tutto liscio: 6-1 6-4 6-3 e la corsa verso la “Decima” continua. Tornerà in campo domani opposto al georgiano Basilashvili e non sabato. «C’è la finale di Champions del mio Real con la Juve, non me la posso perdere», sorride lo spagnolo. Ha vinto con lo stesso punteggio Djokovic contro Sousa. I tre set a zero rifilati al portoghese (idem all’esordio con Granollers) dovrebbero essere la normalità per Nole, ma di normale nel suo 2017 c’è ben poco. Il serbo può sorridere e con lui Agassi, che però tornerà a casa domenica. E’ terminato contro Thiem, sesta testa di serie, il torneo di Simone Bolelli. Qualche chance il bolognese l’ha avuta nel primo set in cui era avanti 3-0, ma gli è mancata un po’ di cattiveria e l’austriaco l’ha spuntata per 7-5 6-1 6-3. Cosi come l’argentino Schwartzman ha superato il 22enne Stefano Napolitano: 6-3 7-5 6-2. Saluta Parigi al secondo turno anche Sara Errani, sconfitta dalla francese Mladenovic: 6-2 6-3. Oggi va in scena il derby tra Fognini e Seppi, mentre Lorenzi sfida il gigante Isner.
Intanto a Parigi c’è bufera dopo le dichiarazioni di Margaret Court, vincitrice di 24 Slam. «Il tennis è pieno di lesbiche e i bambini transgender sono opera del diavolo», queste le parole della 74enne ex campionessa, reverendo della chiesa evangelica a Perth. Già nei giorni scorsi aveva detto di voler boicottare la compagnia aerea Quantas, che ha offerto il proprio appoggio ai matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Alcune tenniste australiane, tra cui la Stosur, hanno proposto di cambiare nome alla Margaret Court Arena di Melbourne (…)