Libreria
La Piccola Biblioteca. Hitchcock e il tennis
Venerdì letterari. Recensiamo un capolavoro di Hitchcock che spoglia il tennis dagli orpelli sportivi e ce lo presenta nella sua dimensione più cruda: uno sfida, uno muore

Hitchcock A., Delitto per delitto (L’altro uomo). Titolo originale: “Strangers on a Train”. Produzione Warner Brothers, USA, 1951, h. 101’
Al tempo dei filosofi sofisti, nella Grecia di 2500 anni fa, le discussioni erano una vera e propria battaglia “all’ultimo sangue”. In palio c’era la vita stessa. Chi vinceva la disputa aveva dimostrato la supremazia e la forza del proprio argomentare, la capacità di confutare qualsiasi tesi, vera o falsa che fosse, grazie all’acutezza, alla potenza dell’eloquio, della retorica, della ragione. Lo sconfitto veniva letteralmente distrutto, distrutta la sua credibilità. Una lotta per la vita o la morte e poco importa se la morte non fosse fisica, per i sofisti perdere una sfida intellettuale era come la morte fisica. “Agonistico”, d’altronde, deriva da “agone”, termine di origine greca che indica la gara, la disputa che, nella Grecia antica, non si riferiva solo alle competizioni sportive ma anche a quelle culturali (al teatro e alla musica, ad esempio). Chiaro, ho generalizzato, la situazione era molto più complessa, ma questa semplificazione mi serve per dire che il tennis è una sfida in cui in palio c’è la vita e la morte. Sto esagerando? Sì, forse. Anzi, senz’altro. Ma fino a un certo punto.
Vi invito a riflettere su questo: in pochi sport, come nel tennis, il risultato (che può essere vittoria o sconfitta, il pareggio non è contemplato) significa “o dentro o fuori”. Se vinci vai avanti, se perdi sei eliminato. Non c’è possibilità di rimediare a una sconfitta come nel calcio, nel basket, nella pallavolo, non c’è nemmeno la possibilità di essere “ripescati”, come nel judo. O sei dentro o sei fuori. O sei vivo o sei morto. Per fortuna, il tennista può, come l’araba fenice, risorgere dalle proprie ceneri e affrontare il torneo successivo. Fatto sta che la carriera di un tennista è una sequenza di morti e rinascite e se questa condizione è comune anche ad altri sport, nel tennis è messa in evidenza con tutta la sua crudezza e ineluttabilità, incarnate dal tabellone degli incontri, appuntamento che tutti, tennisti e appassionati, attendono sempre con una segreta, spesso mal dissimulata, apprensione.
Domanda: poteva Alfred Hitchcock, il maestro del brivido, esimersi dall’utilizzare il tennis per mettere in moto un congegno narrativo dove suspense e tensione, lotta disperata fra vita e distruzione della vita sono gli ingredienti per seguire le vicende di un uomo, campione di tennis, stretto nella morsa di un ricatto mortale? Risposta: no, non poteva. Per illustrare meglio l’argomento, scomoderò, ancora una volta, Carlo Magnani e la sua “Filosofia del Tennis”. La citazione sarà un po’ lunga, ma vale la pena seguire il ragionamento fino in fondo, ci introdurrà nel migliore dei modi nel mondo ritratto da Hitchcock nel suo film. “Ci sono due soli modi di colpire, o di diritto o di rovescio: e questo è il risultato di una presa di posizione. La libertà, la necessità o il caso, dispongono di questa determinazione della volontà. Come notava il grande biologo Monod, spesso le alternative si riducono e la libertà si esercita entro i margini imposti da leggi naturali, entro l’oggettiva necessità appunto; oppure la scelta scaturisce dalla combinazione del mero arbitrio aleatorio, ossia dal caso” (Pag. 11).
Questa la premessa. Vediamo, ora, nel dettaglio le tre opzioni che si possono presentare. “Di fronte al proietto che giunge possiamo essere costretti a giocare il colpo a cui ci ha obbligati l’avversario, in questo caso l’angolo scelto e la traiettoria della palla sono un dato oggettivo che non possiamo fare altro che subire, armando il colpo, diritto o rovescio, chiamato in gioco dalla necessità. Altre volte la sorte è assai più liberale nei nostri confronti, tanto che ci sentiamo in grado di aggirare la sfera o di affrontarla con il tiro da noi preferito in quell’istante: qui non c’è il colpo necessitato ma quello scelto dal libero arbitrio (…) Altre volte, ancora, succede invece l’imprevisto e l’imprevedibile, consentito dalle regole del gioco e perciò legittimo (…) la palla tocca il nastro della rete e perde velocità e peso, per cadere in un luogo in cui nessuno l’ha inviata e in cui nessuno osava pensare che fosse diretta. Le strategie sono scombinate e bisogna preparare una risposta per la bisogna” (Pag. 12).
Quindi:
1) libertà;
2) necessità;
3) caso.
Woody Allen, nel film “Match Point” (2005), si concentra sulla terza opzione, il caso: il successo nella vita è determinato dal caso e conseguentemente dalla fortuna, e se si capisce questo si capisce l’essenza della vita stessa. Lo sperimenterà l’ex tennista Chris che, dopo aver compiuto un duplice omicidio, riuscirà a sfuggire alle maglie della giustizia (ma non a quelle del suo tribunale interiore). Hitchcok, diversamente da Allen, dipana la sua ragnatela toccando tutte le possibilità. All’inizio del film la libertà, a metà la necessità, alla fine il caso.
A questo punto è necessario riassumere brevemente la trama del film (senza svelare il finale, ovviamente). Mi servirò della sintesi proposta da Francois Truffaut nel suo bellissimo libro-intervista al Maestro: “Il cinema secondo Hitchcock”, edizioni Il Saggiatore, collana NET Nuove Edizioni tascabili, 2002. “In un treno, un giovane campione di tennis, Guy (Farley Granger), viene avvicinato da un ammiratore, Bruno (Robert Walker). Bruno sa tutto di Guy e gli propone, per amicizia, di commettere uno scambio di omicidi. Lui, Bruno, sopprimerà la moglie di Guy (che non vuole accordargli il divorzio); in cambio di questo Guy ucciderà il padre di Bruno, che è un guastafeste. Guy rifiuta energicamente, si separa da Bruno. Tuttavia quest’ultimo compie la prima parte del suo piano: strangola l’odiosa moglie di Guy in un luna-park. Guy è interrogato dalla polizia e, dal momento che non può fornire un alibi verificabile, viene sorvegliato, ma con certi riguardi per la sua notorietà e per la sua relazione con la figlia di un senatore. Bruno non tarda a far sapere a Guy che conta su di lui per vedersi ricambiato il favore. Guy si tira indietro, ma il suo turbamento lo compromette sempre di più. Infine Bruno, scontento della non esecuzione del tacito contratto, decide di rovinare Guy, mettendo sul luogo del delitto un accendino che appartiene al giovane tennista. Questo deve vincere in cinque set una partita, poi fugge dallo stadio per raggiungere Bruno …”(Pagg. 161-162).
1) La libertà
Il film inizia con due persone, i nostri protagonisti, che si avviano in stazione per prendere lo stesso treno. Vengono inquadrati dalle gambe in giù, a sottolineare il fatto che la vicenda a cui assisteremo potrebbe capitare a chiunque, anche a noi, oggi, domani, dopodomani. Come dire: l’assurdo che irrompe nella normalità del nostro vivere quotidiano. I due, che ancora non si conoscono, si siedono nella carrozza uno di fronte all’altro. L’episodio che fa scattare la conoscenza reciproca è del tutto banale. Guy, sedendosi, urta il piede di Bruno. Da lì nasce la conversazione, all’inizio piacevole, leggera, come può esserla quella di due viaggiatori che devono condividere un lungo viaggio in treno. Capita a tutti, no? Potrebbe succedere anche a noi, oggi, domani, dopodomani. La conversazione, da amabile, diventa però subito insidiosa. Bruno dimostra di conoscere tutto di Guy (segue il gossip sulle riviste mondane), veniamo anche a sapere che è il figlio viziato e nullafacente di una ricca famiglia, con una mamma iperprotettiva, incapace di vedere la pazzia latente annidata nella mente del figlio. Ed è qui che inizia la partita a tennis tra Guy e Bruno. Solo che, a differenza dei soliti incontri, la posta in palio sarà molto più importante. Bruno sa che Guy è sposato con una donna che non ama più e che ha una relazione con la bella e sofisticata figlia di un senatore. Gli propone, come fosse uno scherzo innocente, un sistema per “risolvere il problema”, visto che anche lui, Bruno, ne ha uno e bello grande: il padre, che lo umilia continuamente. Ma siamo ancora in fase di palleggio da fondocampo. Guy conduce gli scambi con tranquillità, con nonchalance, con la forza del suo innegabile talento, sicuro della sua superiorità fisica, tecnica, tattica. È come una partita fra un top ten e il tesserato di un oscuro circolo di periferia. Non è neanche un allenamento, è un’esibizione, addirittura imbarazzante per la netta superiorità di Guy. In dirittura d’arrivo, Bruno scopre le carte: gli propone il duplice omicidio. Piazza il colpo della vita, quel vincente che sta aspettando da tanto, troppo tempo. La sua mente, malata e contorta ma tutt’altro che stupida e sprovveduta, vede il modo di incartare il gioco del campione. Quante volte lo abbiamo visto sui campi da tennis, anche recentemente? E il campione cosa fa? Sorpreso da quel diritto sul suo rovescio (il suo punto debole), un colpo di tale arditezza che non si aspettava potesse essere così potente, vacilla, prende tempo, riflette. Si fa serio. La partita sta assumendo un aspetto inedito, l’ombra dell’inquietudine si dipinge sul volto del campione. Ma il campione ha le armi per contrastare il principiante fortunato. Il colpo arriva, è diretto sul suo rovescio, cerca di mandarlo fuori dal campo. Guy lo aggira, si pone nella posizione più comoda e con un diritto magistrale annulla il pericolo. Libero arbitrio.
Al momento del congedo, Guy ringrazia lo sfidante, gli dice che la sua teoria è ottima, potrebbe addirittura funzionare, convinto com’è di parlare, se non a un matto, a un eccentrico di scarso valore di cui subito dimenticarsi. Come il maestro che dice all’alunno: “Hai fatto proprio un bel disegno”, quando il foglio è pieno di sgorbi indecifrabili, e lo corregge con due o tre rapidi tratti di matita. Ecco, che bravo sono, pensa il maestro, ho corretto questa corbelleria senza far capire al bambino che il suo lavoro era una schifezza. Ma l’alunno è meno sprovveduto di quello che pensa il maestro e riflette, inizia a nutrire rancore, desiderio di vendetta… Ma siamo ancora nella fase di libertà: il campione domina il gioco. Per ora.
2) La necessità
Bruno sorprende Guy: uccide la sua conturbante e odiosa moglie. Ecco il cambiamento di tattica, quello che Guy non si aspettava. La partita, dopo un set più che tranquillo e sempre in controllo, sta virando verso inaspettati, pericolosi lidi. Il tennista di scarso valore, il 400 in classifica ATP gioca la partita della vita in una sorta di trance agonistica che spiazza il consumato campione. Incredibile. Bisogna ricorrere ai ripari, ma è dura. Ogni colpo che Bruno assesta costringe Guy alla difensiva. Le sue risposte non sono più frutto del libero arbitrio, ma un adattamento a una situazione di emergenza, di necessità. Bruno non ha nulla da perdere, gioca a tutto braccio, sventaglia da tutte le posizioni in tutte le direzioni. Guy subisce un break dopo l’altro, tutto ciò che escogita pare non funzioni. Bruno è furbo, gli sta facendo terra bruciata attorno. Il campione è convocato dalla polizia, ovviamente è il primo sospettato. Cerca di scagionarsi, ma nemmeno la persona che potrebbe discolparlo, quello che lo ha visto in treno mentre si compiva il delitto, è credibile, malgrado sia un professore universitario. Era ubriaco e non ricorda di aver visto Guy, nemmeno di avergli parlato. Il cerchio si stringe attorno al tennista e le varianti possibili, sotto il bombardamento di Bruno, si fanno sempre più ridotte. Guy ricorre alla risorsa estrema: finge di accettare il contratto maledetto impostogli e si reca nella villa di Bruno con l’intento apparente di ucciderne il padre, in realtà per avvertirlo della pazzia del figlio ma, sorpresa, nel letto del padre trova lo stesso Bruno che, capite le vere intenzioni di Guy, manda all’aria il piano del campione.
E poi c’è quel dannato accendino con le iniziali di Guy e dell’amante, la figlia del senatore, un regalo d’amore che il nostro eroe mai ha tanto odiato come ora. Bruno se l’è preso, ha intenzione di portarlo sul luogo del delitto, così la colpevolezza di Guy sarà provata in modo inconfutabile. Come se non bastasse, Bruno, con l’astuzia, ha conosciuto la bella figlia del senatore, si è intrufolato nella vita e nel mondo di Guy, lo tallona da vicino, lo controlla. La tattica del cattivo sta mettendo alle corde il bel gioco del campione e il campione non sa più cosa fare. Come si dice in questi casi? “Oggi non era la mia giornata, il mio avversario ha fatto un grande match”. Set perso. Tutto da rifare. A questo punto bisogna solo affidarsi alla fortuna, al caso, sperare che il Cielo la mandi buona.
3) Il caso
E arriviamo al dunque: la resa dei conti. Arriviamo anche alla partita di tennis vera, quella che Guy deve giocare in un importante torneo. La fidanzata lo dissuade, ma lui dice che la deve giocare, perché se si rifiutasse i sospetti graverebbero ancor più su di lui. Deve giocare, a tutti i costi. Questione di vita o di morte. Hitchcock, con una serie di sequenze in montaggio parallelo, sviluppa l’ultima parte della storia come una partita a tennis dall’esito imprevedibile. Una finale da Slam. Da una parte Guy, intento a giocare la partita vera e a vincerla per poi raggiungere Bruno sul luogo del delitto per cercare di sottrargli l’accendino, dall’altra Bruno, che si reca al luna-park per portare a termine il suo piano mortale. La scena si snoda con le sequenze della partita a tennis reale e il viaggio in treno di Bruno alla cittadina di Metcalf (dove ha compiuto l’omicidio). Il caso, l’imperscrutabile destino, la fa da padrona. È interessante come la partita metaforica (ma più reale di una partita vera) tra Guy e Bruno viva il suo set decisivo attraverso un match autentico, quello giocato da Guy sul court (in cui si può godere un po’ di tennis d’altri tempi, vestiti bianchi, racchette di legno, gesti eleganti, superficie in erba, tutto esaltato dal bellissimo bianco e nero di Robert Burks, direttore della fotografia).
Il caso, dunque, coronerà la fine della vicenda. Anzi, un susseguirsi di casi fortuiti. Bruno che, arrivato a Metcalf, lascia inavvertitamente cadere l’accendino che finisce in un tombino. Riesce a fatica a recuperarlo. Guy che, dopo aver vinto in scioltezza due set e avviato a una facile vittoria, incappa in una serie di errori imprevisti e imprevedibili che permettono all’avversario di recuperare… Hitchcock, in queste sequenze, comprime e dilata il tempo in modo magistrale, ci fa vivere il trascorrere dei secondi con una lunghezza diversa a seconda delle scene. Durante la partita a tennis il tempo è “spremuto come un limone” (definizione di Truffaut). A partita finita, mentre Guy si precipita a Metcalf per fermare Bruno, il tempo si dilata, rallenta in modo esasperante: Bruno deve attendere il calare della sera, il buio, per mettere l’accendino sul luogo del delitto e il tempo non passa mai. La situazione è tale che nessuno dei due sa veramente come andrà a finire. La pallina, ora, ha colpito la rete e sta girando sopra il nastro, indecisa se andare di là o rimanere di qua. Se andrà di là, per Guy ci sarà una possibilità di salvezza, se ricadrà di qua sarà la fine. Il caso… la fortuna… Riuscirà il nostro eroe, Guy, a dimostrare la propria innocenza? A voi il piacere di scoprirlo. Buona visione.
Carlo Cocconi
Leggi tutte le recensioni della Piccola Biblioteca di Ubitennis!
Flash
Premio “Gianni Mura”: vince Giorgia Mecca con “Serena e Venus Williams, nel nome del padre” come miglior libro sul tennis
Il libro sulle sorelle Williams si aggiudica, alla prima edizione, il premio “Gianni Mura” a Palazzo Madama e riceve la menzione speciale della giuria

Sabato 12 novembre, una settimana prima che anche il direttore Ubaldo Scanagatta varcasse la soglia di Palazzo a Madama per chiudere la rassegna stampa di 8 giorni di ATP Finals, prendeva vita la prima edizione del premio Gianni Mura. Un premio intitolato a uno dei più illustri giornalisti sportivi italiani, storica firma del giornale Repubblica, scomparso a Senigallia nel marzo del 2020.
Giorgia Mecca, nata a Torino nel 1989, scrive per il quotidiano “Il Foglio”, per l’edizione torinese del “Corriere della Sera” e con il suo libro “Serena e Venus Williams, nel nome del padre” edito da 66thand2nd si è aggiudicata il premio con la menzione speciale della giuria come miglior libro sul tennis. Un libro che racconta la storia di due giovani tenniste di colore e del sogno di loro padre: farle diventare le più grandi.
Diciassette capitoli racchiudono in questo libro la forza, la paura, la tenacia e anche la vergogna di credere in un sogno. Un sogno che il padre di Serena e Venus aveva già in serbo per loro ancor prima che nascessero e che ha ispirato la giovane giornalista torinese a farne un libro di successo. Giorgia Mecca nei suoi capitoli ci racconta come queste due tenniste un giorno abbiano dovuto smettere di essere sorelle e siano dovute diventare avversarie. Ripercorre numerose sfide, la prima di tante nel capitolo intitolato “18 gennaio 1998 – Venus 7-6 6-1” dove racconta il giorno in cui Venus e Serena, al secondo turno degli Australian Open, hanno iniziato a giocare una contro l’altra. Ma ripercorre anche un’infanzia a tratti molto difficile e una storia di famiglia, più unica che rara. Questa la citazione più celebre del libro premiato: “Sono state nere in un mondo di bianchi, potenti in uno sport elegante, urlanti in un campo che richiede silenzio. Sempre dalla parte sbagliata. Per provocazione (loro), e per pregiudizio (altrui). Nel nome del padre due figlie sono state le prime afroamericane con la racchetta in mano, per non essere le ultime”.
Dopo aver elogiato il famoso giornalista sportivo Gianni Mura, la giornalista torinese, commossa e felice, ha chiuso così il discorso di ringraziamenti per aver ricevuto il premio: “Se anche loro si sono concesse di cadere qualche volta, forse dovremmo imparare a concedercelo tutti ogni tanto”.
Flash
Esce oggi “Il Grande Libro di Roger Federer”, 542 pagine con il racconto (e i dati) dei giorni più memorabili del fenomeno svizzero
Stagione per stagione l’autore Remo Borgatti ripercorre tutta la sua straordinaria carriera. Tutti i suoi incontri, curiosità e statistiche, anche in rapporto alle caratteristiche tecniche degli avversari, da Nadal a Djokovic, Murray e Wawrinka, a seconda delle superfici

IL GRANDE LIBRO DI ROGER FEDERER
AUTORE: REMO BORGATTI
PAGINE: 542
EURO: 24,00
EDITORE: ULTRA SPORT

Autore del libro è Remo Borgatti, uno dei primissimi collaboratori di Ubitennis. Suo è il racconto ‘Uno contro tutti’ che ripercorre l’avvicendarsi di tutti i numeri 1 della storia del tennis, pubblicato a puntate su Ubitennis. Lo potete trovare a questo link.
Tra le sue rubriche c’è anche ‘Mercoledì da Leoni’, racconti di imprese più o meno grandi compiute da tennisti non particolarmente noti al grande pubblico. La serie la potete trovare a questo link.
Di Roger Federer, nel corso della sua lunga e meravigliosa carriera, si è detto e scritto di tutto. Il ritiro ufficiale, avvenuto durante lo svolgimento della Laver Cup di Londra, ha soltanto messo la parola fine a una vicenda umana e agonistica che ha cambiato per sempre la storia del tennis e più in generale dello sport. Nel volume dal titolo “IL GRANDE LIBRO DI ROGER FEDERER” (Ultra Edizioni, 542 pagine, 24 Euro), Remo Borgatti ha raccolto ed elaborato tutti i risultati e i numeri fatti registrare dal campione elvetico. Il libro è sostanzialmente diviso in due parti. Nella prima, ricca di testo, viene passata in rassegna tutta la carriera di Federer stagione per stagione e nei suoi 150 giorni più significativi. Nella seconda, vengono elencati in ordine cronologico tutti gli incontri disputati nel circuito e negli slam, con tanto di statistiche e percentuali, oltre a una serie di tabelle analitiche che vanno a sviscerare anche gli aspetti più curiosi ed inediti, come ad esempio il bilancio vinte-perse in base alla superficie e alla categoria del torneo, o in base al seeded-player degli avversari o dello stesso Federer, o ancora in base alla mano (destro o mancino) e al rovescio (una o due mani) degli avversari. Poi c’è altro, molto altro. Probabilmente c’è tutto quello che un tifoso o un appassionato vorrebbe sapere su “King Roger” e che forse nemmeno Federer conosce così bene. Certo, nell’era di internet e del web molti di questi dati (ma non tutti) si trovano anche in rete e vien da chiedersi quale sia lo scopo di un lavoro del genere. Ma pensiamo che la risposta sia semplice e venga dalla passione e dalla volontà da parte dell’autore di analizzare e svelare il fenomeno-Federer mediante le sue cifre, data l’evidente impossibilità di spiegarlo attraverso i numeri che ha fatto sui campi di tennis di tutto il mondo.
Flash
John Lloyd, intervistato da Scanagatta, presenta l’autobiografia “Dear John” [ESCLUSIVA]
Intervistato in esclusiva per Ubitennis, l’ex-tennista britannico Lloyd si racconta tra aneddoti e ricordi. “Avrei dovuto vincere quel match” a proposito della finale all’Australian Open con Gerulaitis

L’ex tennista britannico John Lloyd, presentando la sua autobiografia “Dear John”, viene intervistato in esclusiva dal direttore Ubaldo Scanagatta e racconta tanti aneddoti relativi alla sua carriera, inclusi i faccia a faccia con l’Italia in Coppa Davis. Le principali fortune di Lloyd arrivarono in Australia dove raggiunse la finale dello Slam nel 1977: “All’epoca era un grande torneo ma non come adesso” ricorda il 67enne Lloyd. “Mancavano molti tennisti perché si disputava a dicembre attorno a Natale, ma ad ogni modo sono arrivato in finale. Avrei dovuto vincerlo quel match” – ammette con franchezza e una punta di rammarico – “ho perso in cinque set dal mio amico Vitas (Gerulaitis). Fu una grande delusione ma se dovevo perdere da qualcuno, lui era quello giusto. Era una persona fantastica”.
Respirando aria di Wimbledon, era impossibile tralasciare l’argomento. Lo Slam di casa fu tuttavia quello che diede meno soddisfazioni a Lloyd, infatti il miglior risultato è il terzo turno raggiunto tre volte. “Sentivo la pressione ma era davvero auto inflitta, da me stesso, perché giocavo bene in Davis e lì la pressione è la stessa che giocare per il tuo paese” ha spiegato l’ex marito di Chris Evert. “Ho vinto in doppio misto (con Wendy Turnbull, nel biennio ’83-’84) ed è fantastico ma sono sempre rimasto deluso dalle mie prestazioni lì. Ho ottenuto qualche bella vittoria: battei Roscoe Tunner (nel 1977) quando era testa di serie n.4 e tutti si aspettavano che avrebbe vinto il torneo. Giocammo sul campo 1. Ma era una caratteristica tipica delle mie prestazioni a Wimbledon, fare un grande exlpoit e poi perdere il giorno dopo. In quell’occasione persi contro un tennista tedesco, Karl Meiler”. In quel match di secondo turno tra i due, Lloyd si trovò due set a zero prima di perdere 2-6 3-6 6-2 6-4 9-7. Insomma cambieranno anche le tecnologie, gli stili di gioco, i nomi dei protagonisti… ma certe dinamiche nel tennis non cambieranno mai.