La Williams si arrende, "Non gioco in Australia". Bellucci positivo e torna l'ombra del "silent ban" (Crivelli). Anche Serena diserta Melbourne, "Non sono pronta per vincere" (Corsport). Evoluzione della specie (Semeraro). Povera Melbourne, anche Serena dà forfait (Mancuso)

Rassegna stampa

La Williams si arrende, “Non gioco in Australia”. Bellucci positivo e torna l’ombra del “silent ban” (Crivelli). Anche Serena diserta Melbourne, “Non sono pronta per vincere” (Corsport). Evoluzione della specie (Semeraro). Povera Melbourne, anche Serena dà forfait (Mancuso)

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La Williams si arrende, “Non gioco in Australia” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Più che un tabellone, ormai sembra un bollettino di guerra: ogni giorno, un caduto. Metaforico, s’intende. Ma dopo Andy Murray (e Nishikori), e con Djokovic e Wawrinka assai dubbiosi, gli Australian Open perdono pure la regina, la campionessa in carica, la signora dei 23 Slam. Ebbene sì: Serena Williams non sarà a Melbourne, perché la fresca maternità (il 1 settembre è nata Alexis Olympia Junior, figlia sua e di Alexis Ohanian, fondatore del social network Reddit, poi sposato a novembre) non le garantisce ancora la condizione ideale per provare a vincere il torneo. E senza lo stimolo del successo, la leonessa si sente con gli artigli spuntati. UN PASSO IN PIU’ L’ex numero uno, scesa ora al numero 22, il 30 dicembre aveva giocato un’esibizione a Abu Dhabi perdendo in tre set contro la Ostapenko vincitrice di Parigi, ma era apparsa ancora sovrappeso, con qualche problema di mobilità e molto fallosa al servizio, anche se la voglia e la grinta si avvicinavano già a quelle dei giorni di gloria. Dopo quel match Serena aveva seminato dubbi sulla partecipazione al primo Slam stagionale, e ieri li ha certificati con la rinuncia ufficiale: «A Abu Dhabi ho realizzato che sebbene sia molto vicina, non sono ancora dove voglio essere. E il mio coach e il mio team mi dicono sempre di partecipare ai tornei solo se sono sicura di arrivare in fondo. Posso competere, ma non voglio giocare giusto per farlo. Posso fare molto meglio di così, solo che ho bisogno di un po’ più di tempo. Così, anche se mi dispiace, ho deciso di non partecipare a Melbourne, anche se non vedo l’ora di ritornarci». La Williams si è presa anche i complimenti ammirati di Craig Tiley, il direttore del torneo, alle prese con un’ecatombe storica di big: «E’ una vera campionessa che ha fatto sforzi sovrumani negli ultimi mesi perché desiderava giocare gli Australian Open. Nello sport, come nella vita, vuole sempre dare il meglio. Non era nelle condizioni di potersi dare la chance per vincere. Le auguro il meglio e non vedo l’ora di darle il benvenuto per gli Australian Open del prossimo anno». RICORDI La vittoria del 2017 rimane così l’ultima immagine agonistica di Serena, che si impose (sulla sorella Venus) senza perdere nemmeno un set e soprattutto senza sapere di essere incinta di sette settimane: «Per questo il ricordo dell’ultimo Australian Open è qualcosa che io e mai figlia porteremo sempre con noi». E se per gli infortunati illustri la stagione rimane costellata di ombre pericolose, per lei sembra soltanto trattarsi di una questione di tempo: quando avrà recuperato una dignitosa condizione atletica, tornerà a inseguire il 24 Slam, che le consentirebbe di eguagliare il record della Court Smith, con l’obiettivo, neppur troppo celato, di fare anche meglio. Tra l’altro, l’australiana è una delle quattro tenniste capaci di imporsi in un Major dopo la maternità: le altre sono Dorothea Chambers (addirittura nel 1914 e aveva 36 anni, come la Williams), Evonne Goolagong (che ha il record di precocità: nel 1977 vinse a Melbourne appena sette mesi dopo la nascita della primogenita) e più di recente Kim Clijsters. Pensate che Serena voglia essere da meno?

 

Bellucci positivo e torna l’ombra del “silent ban” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

A pensar male si fa peccato, ma certo l’Itf, la federazione internazionale del tennis, malgrado i tentativi di garantire maggiore trasparenza, continua a maneggiare l’argomento doping con un’opacità che non fa il bene suo, dei giocatori e dello sport. VITAMINE L’ultimo caso è quello del brasiliano Thomaz Bellucci, 30 anni, numero 112 del mondo ma già 21 nel 2010, che in una conferenza stampa organizzata nel suo Paese ha comunicato di essere stato squalificato cinque mesi (dal 1 settembre 2017 al 31 gennaio 2018) per positività all’idroclorotiazide, un diuretico con effetti coprenti, rivelata da un test di luglio al torneo di Bastad. Bellucci rischiava fino a quattro anni di stop, ma la pena è stata notevolmente ridotta perché gli è stata riconosciuta l’assunzione involontaria: «Ho dimostrato che la positività è stata frutto della contaminazione di un integratore preparato da una farmacia svedese. Non ho mai fatto uso di doping, né avrei mai pensato che un multivitaminico potesse contenere sostanze simili, seppur in dosi minime». L’Itf gli ha creduto: «Non sono emerse significative prove di dolo». SILENT BAN Ma più che il dilemma dell’assunzione volontaria o meno, il caso riporta alla luce il cosidetto silent ban, vale a dire l’allontanamento dal circuito mascherato attraverso un infortunio fittizio, pratica che dal 2016 sarebbe stata proibita dall’Itf: Bellucci infatti non gioca dal primo turno perso agli Us Open contro Dustin Brown, guarda caso un paio di giorni prima dell’inizio della squalifica, ufficialmente per problemi a un tendine d’Achille. Tecnicamente, non si tratta tuttavia di silent ban, visto che il tennista si è sempre dichiarato innocente e non ha accettato la sospensione preventiva, impedendo di fatto la divulgazione del test fino alla conclusione dell’istruttoria, come previsto dalle nuove regole (se si accetta la sospensione, la positività viene subito comunicata, proprio per evitare illazioni) e avrebbe quindi potuto continuare a giocare. E’ piuttosto curioso, però, che l’infortunio abbia coperto l’identico intervallo della squalifica (Bellucci rientra a Quito il 5 febbraio). Eppure basterebbe poco: positività resa pubblica non appena rilevata, a prescindere dalla difesa del giocatore. Altrimenti la mala pianta del dubbio non si estirperà mai.

 

Anche Serena diserta Melbourne, “Non sono pronta per vincere” (Corriere dello Sport)

Serena Williams non parteciperà agii Australian Open (15-28 gennaio). Lo ha annunciato lei stessa, perché non si sente ancora pronta. «Ad Abu Dhabi – ha detto la 36 campionessa statunitense, che è tornata in campo alcuni giorni fa per una esibizione dopo essere diventata mamma l’ 1 settembre scorso – ho realizzato che, sebbene ci sia molto vicina, non sono ancora dove voglio essere. E il mio coach e il mio team mi dicono sempre di partecipare ai tornei solo se sono sicura di arrivare in fondo. Posso competere a un certo livello ma non voglio giocare giusto per farlo. Posso fare molto meglio di così, solo che ho bisogno di un po’ più tempo. Così, anche se mi dispiace, ho deciso di non giocare a Melbourne». Proprio nello Slam australiano un anno fa Serena aveva giocato il suo ultimo torneo, vincendo gli Open (superò Venus in finale) per la settima volta in carriera quando era già alla 7° settimana di gravidanza. La Williams s’è rivista in azione la scorsa settimana, nel match-esibizione perso in tre set ad Abu Dhabi contro la lettone Jelena Ostapenko, vincitrice del Roland Garros 2017. «Il ricordo dell’ultimo Australian Open è qualcosa che io e Olympia porteremo sempre con noi. E non vedo l’ora di poter giocare ancora a Melbourne», ha concluso la statunitense, che è appunto diventata mamma l’ 1 settembre. Craig They, direttore del torneo di Melbourne, ha avuto ieri belle parole per l’ex numero 1, attualmente 221 nel ranking Wta. «È una vera campionessa che ha fatto sforzi sovrumani negli ultimi mesi perché desiderava giocare gli Australian Open. Nello sport, come nella vita, vuole sempre dare il meglio. Non era nelle condizioni di potersi dare la chance per vincere. Ma ci ha riflettuto fino all’ultimo. Le auguro il meglio e non vedo l’ora di darle il benvenuto per gli Australian Open del prossimo anno». Dopo aver incassato le rinunce di Andy Murray e Kei Nishikori nel tabellone maschile, Riley è invece tranquillo sul fronte Rafa Nadal. «La situazione non è diversa da quella di un anno fa: sarà pronto per l’inizio del torneo». Con il forfeit di Serena, pronostico apertissimo per i bookmaker; con Muguruza, Pliskova, Halep, Sharapova e Svitolina a quote comprese tra 6,80 e addirittura 17.

 

Evoluzione della specie (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Anche Paolo Lorenzi, che negli ultimi 15 anni il tennis lo ha vissuto e respirato da cima a fondo, dallo scantinato dei Futures all’attico degli Slam, ne è convinto. «Guardate che il tennis è già da due anni che sta cambiando», spiega fra un allenamento e l’altro all’Atp 250 diDoha. «A voi da fuori sembra che a dominare siano sempre gli stessi, in realtà è già arrivata tutta una generazione di giovani che gioca in modo diverso, tirando tutto da fondocampo, quasi senza variazioni. Per i vecchi vincere sarà sempre più difficile, vedrete». A dargli ragione ci sono anche i quarti di finale a Doha, dove di tennisti con il bollino Next Gen e dintorni ne sono arrivati tre: Andrey Rublev, Borna Coric e Stefano Tsitsipas. È la loro generazione, non più tanto “next” ma ormai avvitata al presente, che ci traghetterà verso il tennis del futuro. Un gioco che a medio-lungo termine finirà per utilizzare molte, se non tutte, le regole sperimentate a Milano nelle Next Gen Finals, ovvero niente vantaggi, niente let sul servizio, set più corti, caos organizzato sulle tribune. Ma che in tempi più lunghi, questi sì davvero futuribili, potrebbe finire per ridursi a una serie di tie-break: aspettate dieci anni, il tempo d’incubazione previsto dal presidente dell’Atp Chris Kermode, e vedrete (e nel frattempo, temete). Sarà un tennis veloce, frenetico, senza pause, quasi un videogame, probabilmente mono-superficie (solo cemento), popolato da campioni alti due metri ma leggeri (non più di 80-85 chili) e flessibili come un giunco, capaci di colpire quasi sempre di controbalzo. Il prototipo lo conosciamo: si chiama Novak Djokovic. La sua evoluzione 2.0 è Sascha Zverev, il prossimo “step” forse Andrey Rublev, che a 20 anni è alto 1 metro e 88, pesa appena 68 chili eppure, piazzato un metro dentro il campo, mena diritti e rovesci a velocità ultrasoniche. Difficile, contro fenomeni del genere, coltivare l’arte della smorzata, o immaginarsi un serve e volley come quello di Boris Becke ; che per altro, insieme ad Andre Agassi, è l’antenato più influente nell’album di famiglia della Next Gen. Tirare sempre, tirare tutto, eccolo slogan, contando su attrezzi sempre più leggeri – racchette, corde, scarpe – e una tecnologia che sostituirà il fattore umano (addio giudici di linea e di sedia). Anche la geografia del tennis è in evoluzione. Dopo anni di mezzo declino stanno tornando i russi, resiste comunque l’Europa dell’Est, calano i latini – gli spagnoli del post-Nadal, gli argentini – mentre con Frances Tiafoe si affacciano gli afro-americani, e zitti zitti anche i cinesi, che un tempo in campo maschile producevano solo piccoli destini, stanno sfornando talenti fisici importanti per giunta abituati a ritmi infernali di allenamento. Chissà. Forse il nuovo Federer è già nato, e si sta allenando dall’altra parte della Grande Muraglia…

 

Povera Melbourne, anche Serena dà forfait (Angelo Mancuso, Il Messaggero)

Per fortuna che c’è Federer. Mentre King Roger oggi è impegnato contro la Germania del Next Gen Zverev nella finale della Hopman Cup, torneo ITF misto per nazioni in corso a Perth, gli Australian Open continuano a perdere pezzi da novanta. Due giorni fa gli annunci degli assenti di lungo corso Murray (anca e la prospettiva concreta di andare sotto i ferri) e Nishikori (polso, il giapponese non giocherà neppure in Davis a Morioka contro l’Italia nel primo week end di febbraio). Ieri anche Serena Williams, che però non è infortunata, ha ufficializzato la rinuncia a Melbourne. Le rivali della 36enne campionessa statunitense possono sorridere ancora per un po’. Il match di esibizione perso la scorsa settimana ad Abu Dhabi contro la top ten Ostapenko ha fatto chiarezza sulle condizioni di Serena, tornata in campo a meno di 4 mesi dall’aver messo al mondo la primogenita Olympia Alexis. LE RAGIONI DEL NO «Non voglio giocare e basta e per questo mi serve altro tempo. Ora posso solo competere, ma io voglio vincere», ha sottolineato la Williams. Nel 2017 ha partecipato a due tornei: Australian Open e Auckland e grazie ai 2.000 punti del trionfo di Melbourne è comunque n.22 nonostante gli 11 mesi di stop. Li perderà tutti e per la prima volta in 20 anni resterà senza classifica Wta. Poco male: potrà usufruire del ranking protetto previsto anche in caso di maternità e comunque i tornei faranno la fila per darle delle wild card. Ragionevole pensare che rientri a marzo a Indian Wells o al massimo Miami. CHIAMATELI MUTUA OPEN Intanto gli organizzatori del primo Slam della stagione al via il 15 gennaio tremano. Nadal (ginocchio) e Djokovic (gomito) sono un punto interrogativo. Sono volati in Australia ed entrambi hanno confermato la loro presenza al Tie Break Tens alla Margaret Court Arena il 10 gennaio (ci sarà pure Wawrinka, che sta recuperando dall’infortunio al ginocchio). Nole, che è quello più a rischio, poi giocherà il Kooyong Classic (11 e 12), altra esibizione che precede gli Australian Open prima di prendere una decisione. Sfortuna? Non solo, secondo Pier Francesco Parra, responsabile della staff medico delle nazionali azzurre di Davis e Fed Cup: «Bisognerebbe fare prevenzione a monte – dice – noi abbiamo l’esempio di Seppi, che soffre dello stesso problema all’anca di Murray e a 34 anni gioca ad alti livelli facendo appunto la giusta prevenzione. Invece nel circuito in tanti preferiscono affidarsi a fisioterapisti non supportati, come la logica vorrebbe, dal medico. Questi sono i risultati».

 

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