Il caso Tennys Sandgren: da sorpresa a 'diavolo' in poche ore

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Il caso Tennys Sandgren: da sorpresa a ‘diavolo’ in poche ore

Tennys Sandgren è stato accusato di essere omofobo, razzista e vicino alle posizioni del suprematismo bianco. Ha provato a difendersi con un monologo in conferenza stampa, che ha sbigottito il pubblico

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Non conta nulla, neanche un po’, chi segui su Twitter. Non sono informazioni che indicano cosa pensi o quello in cui credi, ed è assurdo pensare che sia così“. Tennys Sandgren aveva commentato così lunedì sera, a poche ora dalla sorprendente vittoria contro Dominic Thiem, le prime e ancora fievoli polemiche su alcune sue attività social ritenute indicative di un credo politico vicino all’ala alt-right. Da frequentatore piuttosto assiduo del social cinguettante, Tennys ha sentito odore di tempesta e il mattino successivo ha cancellato ogni sua attività su Twitter, salvando dall’epurazione soltanto il retweet di un articolo celebrativo risalente al 2013. Per quanto sia stato proprio quell’account – @BadToss – a rinfocolare maggiormente le accuse rivendicando il ‘dovere’ di considerare Tennys Sandgren un razzista, sulla base di quello che aveva scritto o pubblicamente apprezzato.

Ai microfoni di ESPN, il tennista statunitense ha poi motivato la sua scelta spiegando di averlo fatto non perché tra quei tweet ci fosse qualcosa ‘per cui essere in imbarazzo’, ma perché ‘non è una cattiva idea dare l’immagine di un nuovo inizio‘. Tennys ha usato l’espressione ‘cleaner start‘, come se effettivamente sentisse di dover passare una mano di detergente su quanto affermato in passato. “La gente può fare screenshot, salvare e divulgare quello che vuole, so che è così e lo accetto. Solo pensavo che non sarebbe stata una cattiva trovata per il futuro. La cancellazione dei tweet non solo ha aumentato il carico di ambiguità sulla sua posizione, ma non ha del tutto raggiunto lo scopo poiché gli utenti più solerti si erano già premurati di correre nell’edificio in fiamme e salvare qualche testimonianza dell’attività di Sandgren. Non che se ne sentisse il bisogno, visti i contenuti di cui potete trovare un esempio qui, quiqui e anche qui. L’identikit sarebbe quello di una persona omofoba, razzista e vicina alle posizioni del ‘suprematismo bianco’. La ciliegina di una torta non particolarmente appetitosa è costituita da una manciata di like ‘galeotti’ di Tennys che lasciano trapelare (oltre alle sue simpatie repubblicane) un sostegno, più o meno velato, alla teoria del Pizzagate. Tra gli endorsement più ricorrenti quelli allo psicologo canadese Jordan Peterson, già accusato di aver veicolato messaggi incitanti l’odio di genere.

Nella polemica che ne è scaturita è intervenuto persino John Isner, altro tennista – insieme a Sam Querrey – le cui posizioni politiche sono ritenute vicine a quelle del presidente Trump. John è entrato in una discussione anche piuttosto accesa con l’utente che si era fatto promotore delle accuse più dure ai danni del suo connazionale. Secondo Isner si tratta di una sorta di guerra scatenata dai ‘guerrieri del perbenismo’, che professano la tolleranza salvo avere pregiudizi nei riguardi di chi sostiene posizioni diverse dalle proprie.

Quando da un utente gli viene chiesto se condanna le uscite di Sandgren, Isner risponde: “Condanno questo blog atroce (il blog dell’utente BadToss, ndr) o in qualsiasi modo vogliate chiamarlo. Penso che anche Tennys vorrebbe non aver mai twittato certe cose. Ma è un bravo ragazzo, ve lo posso giurare“. Di tutta la discussione –  a dire il vero piuttosto stucchevole – tra Isner e la variabile fauna di Twitter, questo scambio è probabilmente quello su cui vale la pena soffermarsi con più attenzione. Quanto (e cosa) effettivamente dice di una persona un like su Twitter? È corretto che l’attività social – per di più un tennista, neanche di vertice, la cui opinione su temi politici può essere considerata trascurabile – sia sufficiente per certificarne la natura ‘umana’ e scatenare le reazioni conseguenti, siano esse condanne o elogi?

Appare evidente che da Tennys Sandgren non ci si debba attendere nuove teorie illuministe, e se chi scrive fosse un editore costretto a valutare dei manoscritti per la pubblicazione nella categoria ‘Saggi sociologici’, difficilmente prenderebbe in considerazione il memoir di Sandgren. Appare però altrettanto evidente, in direzione contraria, l’esigenza quasi morbosa di totalizzare le informazioni  – a volte anche parziali e frammentarie – al fine (unico?) di decidere se un profilo pubblico vada incasellato tra i personaggi del ‘bene’ o quelli del ‘male’. Spesso anche con sorprendente rapidità, considerando il semi-anonimato nel quale giaceva il tennista statunitense appena 10 giorni fa. Sembra un po’ una disperata corsa alla rettitudine, forse più chiacchierata (e prettamente virtuale) che perseguita con i fatti.

L’esempio di questa frenesia è dato da questo screenshot. Nella prima ondata di diffusione era stato tagliato il titolo dell’articolo retwittato da Sandgren, così che la sua uscita sembrasse inequivocabilmente pregna di razzismo nei confronti di Serena. Preso nel suo contesto, il contenuto torna ad assumere una forma meno condannabile.

Non è bastato per evitare che la stessa Serena, raggiunta dagli echi della querelle, comunicasse con un tweet di aver cambiato canale poco prima dell’inizio del match tra Chung e Sandgren (povero coreano, viene da pensare: sta giocando un torneo straordinario!), dimostrando come ormai la condanna sia quasi unanime. Certo Sandgren ha fatto poco – diciamo anche nulla – per non apparire ambiguo nelle sue esternazioni e nei suoi endorsement, come confermato dalla carrellata di ‘mi piace’ che ancora giacciono in una lunga lista (9810) sul suo profilo Twitter. Quelli sì impossibile da eliminare, poiché Tennys avrebbe da passare delle ore di fronte a un laptot o da assumere un amanuense del web perché gli ‘scuoricinasse‘ ogni contenuto apprezzato dal 2012 ad oggi. Nella sua nuova ‘bio’ di Twitter si legge questo: “Scrivo tutti i miei tweet prima su un tovagliolo, per ordinare i pensieri… like e retweet non sono apprezzamenti“.

L’ultimo capitolo di questa saga un po’ surreale è andato in scena in apertura dell’ultima conferenza stampa di Tennys Sandgren da Melbourne. Il tennista – con piglio abbastanza aggressivo – ha letto un comunicato, praticamente un monologo, esaurendo la questione e dichiarandosi disponibile, da quel momento, a parlare soltanto dell’incontro di tennis appena perso.

Voi cercate di mettere le persone in queste piccole scatole in modo da poter ordinare il mondo secondo i vostri preconcetti. Strappate via ogni individualità per demonizzare, collettivamente. Con una manciata di ‘follow’ e di ‘mi piace’ su Twitter il mio destino è segnato, secondo le vostre opinioni. Per scrivere una storia incisiva, sensazionale, ignorate alcuni dettagli pur di considerarmi l’uomo che disperatamente volete che io sia. Preferite perpetuare la macchina della propaganda piuttosto che cercare informazioni da prospettive differenti, per essere disposti a imparare, cambiare e crescere. Disumanizzate con carta e penna e mettete zizzania tra persone vicine. In questo modo potreste scoprire che vi state approssimando all’inferno che vorreste evitare, che tutti vogliamo evitare. È mia ferma convinzione che il valore più alto debba essere attribuito alla virtù di ogni individuo a prescindere da genere, razza, religione e orientamento sessuale. Il mio compito è continuare su questa strada per diventare la persona migliore possibile e incarnare l’amore che Cristo ha per me, perché io rispondo solo e soltanto a Lui. Adesso accetterò domande che riguardano la partita, se non vi dispiace”

Il monologo ha lasciato i presenti in sala un po’ sbigottiti, tanto per i contenuti quanto per il tono con cui è stato letto. La sensazione è che la morsa stretta attorno a Sandgren fosse evitabile (ed eccessiva) almeno quanto traballante (ed eccessiva) appare questa ultima difesa.

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