Semeraro S., Il codice Federer, prefazione Clerici G, statistiche Mariantoni M., Pendragon, Bologna, 2018.
Sembra che ogni nazione contemporanea si fondi su tre pilastri: una bandiera, un presidente e (almeno) una biografia su Federer. Con il Codice Federer l’Italia è tranquilla e può entrare serena nel terzo millennio. Stefano Semeraro ripercorre la carriera di Federer dividendola in segmenti temporali: (1981-1999) il ritratto dell’artista da cucciolo; (1999-2003) la costruzione di un campione; (2004-2007) un genio al lavoro; (2008-2012) una poltrona per tre; (2013-2016) il lungo sonno; (2017-…) il risveglio della forza. Lontano dalle griglie letterarie di Wallace il Codice Federer è un film visivo che ripercorre la carriera dello svizzero. Un rosario di fatti e aneddoti che ci mostra via via il bambino col braccio d’oro, il ragazzo brufoloso, fino ad arrivare alle più vite del semidio tennistico che conosciamo. Giornalismo d’alta scuola fuso nell’oggetto libro.
Emergono nel racconto i personaggi secondari che hanno costituito il perimetro della sua vita. La piccola catena d’italiani che l’hanno battuto da ragazzo, i primi allenatori, il rapporto con la madre e con un sistema educativo lungimirante nel suo essere aperto e rigoroso. E poi Mirka, che scopro essere nata nella città che ha partorito il più bel rovescio bimane di tutti i tempi: quello di sua pescosità Gattone Mecir. Uno dei miei miti più cari. Alto 1,90 cm, senza servizio, sguardo stralunato e una capacità di generare angoli e palle senza peso mai più ammirate. Se la letteratura è trampolino, finzione e zoomate su dettagli, il giornalismo è bisturi, pala, ago e filo. Informazioni e ancora informazioni. Scavare e poi mettere in scena sulla pagina bianca. Così scopriamo che Paganini capisce che per fare lavorare il giovane Federer deve essere un creativo e non un maresciallo. Un po’ come per certi calciatori brasiliani che se li fai lavorare col pallone finiscono alle tre di notte ma se li metti in palestra dopo mezz’ora aspettano solo che il tempo passi, Paganini capisce che il problema di Federer è il suo enorme talento che gli permette di nascondere pigrizie nei piedi e nei posizionamenti. Problemi che emergono sulla lunga distanza coi suoi uomini neri del primo periodo: Nalbaldian e Hewitt. Così lo costringe a estenuanti allenamenti fisici prima di cominciare l’allenamento tennistico vero e proprio. L’intelligenza di Roger e l’amore per lo sport farà il resto.
E non appena si esauriscono gli sguardi nel mondo di Roger prima di essere Federer, parte come un film la cronaca di una carriera che si è rapidamente staccata dalla dimensione tennistica per flirtare con la storia del tennis, e forse la sua stessa essenza. Il libro, impreziosito da “ritratti” dei suoi maggiori rivali, si caratterizza per essere un’opera sincronica. Non cerca l’iperbole, né la celebrazione ma si limita a poggiare la telecamera accanto al testone dello svizzero torneo dopo torneo, ricostruendo così l’incredibile carriera e permettendo di leggere le vittorie e le sconfitte dentro il loro momento e significato storico. L’incredibile schizofrenia di un circuito pazzo che muove centinaia di persone intorno al globo, trova nelle vicende dello svizzero un punto cardinale che permette a tutti di guardare nella stessa direzione. Un punto prospettico che tiene assieme sia il presente galoppante che la storia del Tennis che ne riceve nuova luce.
Il risultato è un lungo film (ancora aperto) alla fine del quale ci si accorge che la carriera dello svizzero è stata paradossalmente la colonna sonora di metà della nostra vita. Forse il segreto di tanto amore globale, e il mistero del codice evocato nel titolo, è questo. Fino a quando Roger gioca e vince, rimaniamo anche noi prigionieri del meraviglioso incantesimo in cui il tempo non passa. Nonostante figli, fatiche e rughe viviamo l’illusione reale di un’eterna gioventù che Slam dopo Slam non passa, per nessuno. Thanks Roger.
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