Tie-break a 12 pari? E il seguito Nole-Rafa prima o dopo la finale donne?

Editoriali del Direttore

Tie-break a 12 pari? E il seguito Nole-Rafa prima o dopo la finale donne?

LONDRA – La proposta Isner. Sei ore e 36 minuti? Troppi. Condivido la scelta di Wimbledon, contestata da Wta e tenniste. Rafa e Nole, super show. Anderson-Isner critiche immeritate

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da Londra, il Direttore

Sono stati parecchi, a giudicare dalle visite a Ubitennis, ma chi ha deciso di non seguire la giornata delle semifinali semplicemente perché non era più in gara Roger Federer, avrà avuto i suoi motivi, ma secondo me non ha avuto ragione. Sia perché il match vinto da Anderson su Isner 7-6 (6) 6-7 (5) 6-7 (9) 6-4 26-24 non è stato solo una battaglia di servizi, anche se certo tutti faranno riferimento soprattutto a quelli, ai 53 ace di Isner e ai 49 di Anderson, nonché ai 214 ace di Isner che così supera il record di 213 di Ivanisevic, sia perché i 3 set di lotta feroce fra Djokovic e Nadal sono stati di livello straordinario, extraterrestre. Fantastici. Certo durante le prime 6 ore e 36 minuti della prima semifinale ci saranno stati molti che avrebbero gridato “Aridatece Federer!”, però anche se tutto quel tempo è davvero troppo e non c’è più ragione – come hanno vigorosamente sostenuto i due protagonisti (e vittime) della prima semifinale – per non imitare l’US Open che dal 1970 (48 anni fa!) ha optato per il tiebreak anche al quinto set.

Vero che qui a Wimbledon ci saremmo persi certe finali leggendarie quali quello concluse per 9-7 al quinto del 2008 fra Nadal e Federer, del 2001 fra Ivanisevic e Rafter, i 16-14 del 2009 fra Federer e Roddick. Ma vero anche che se certi long-set accadono nei turni precedenti alle finali, chi li vince è quasi sempre spacciato al turno successivo. A me viene sempre in mente quell’anno in Australia quando Roddick battè El Ayanoui 21-19 al quinto, e poi al turno successivo crollò letteralmente contro Schuettler. Le chances di Anderson di disputare una bella finale, chiunque sia l’avversario che uscirà dal match interrotto sul 2 set a 1 per Djokovic, sono davvero modeste secondo me. 13-11 al quinto con Federer dopo 77 game, 26-24 al quinto con Isner dopo 99 game – e nel mezzo ci sono in realtà 4 tie-break che “pesano” e durano molto più di solito di un game qualsiasi, l’eroico sudafricano si è sobbarcato la bellezza di 10 set e 176 game in 48 ore, stando in campo per più di 10. “h e 55  minuti soltanto per il quinto set. Anderson non è più un ragazzino: ha 32 anni.

Ci credo che non vorrebbe più il long set a fine quinto! Idem Isner che – sebbene diventato molto più famoso per il celebre 70-68 al quinto con tanto di placca dorata a ricordare l’evento sul campo 18 – di long set non ne vorrebbe più sapere dopo aver tentato di raggiungere la prima finale di Slam per un americano dal 2009 (Roddick). E non solo perché ha 33 anni, uno più del suo giustiziere di ieri, di cui è ottimo amico da più di 14 anni. Qualcuno ricorda che Isner dopo quel famigerato 70-68 perse al turno successivo da De Bakker senza riuscire a mettere a segno un solo ace? Non è un dato che la dice lunga? Mi è sembrata, peraltro intelligente, la proposta dello stesso Isner, evidentemente ancora lucido nonostante il ritardo con cui è arrivato in sala stampa, peraltro scusandosi con grande educazione e… non fatemi dire a chi penso quando questo succede a un giocatore italiano che a scusarsi proprio neppure ci pensa. “Si potrebbe giocare il tie-break dal 12 pari. Se fino a 12 pari nessuno è riuscito a far fuori (finish off) l’avversario, beh allora che sia il tiebreak a chiudere il match”.

Chi più di Isner ha diritto ad avanzare una proposta al riguardo? Io gliela sposo in toto. Si salverebbero quei match citati sopra e non si arriverebbe a queste “torture urologiche” come le battezzò l’inventore del tie-break, Jimmy Van Alen, dopo aver visto nella sua Newport (Rhode Island) un doppio finito (mi par di ricordare eh) 44-42. Anderson ha aggiunto una considerazione molto onesta (e umile): “Gli spettatori che hanno pagato il biglietto hanno rischiato di vedere una sola semifinale… e credo che parecchi non vedessero l’ora che noi finissimo. Non c’era bisogno che ci guardassero per 6 ore e mezzo! E poi anche per Rafa e Novak non è ideale giocare una partita in due tempi e riprendere un match interrotto… ”. Poco sopra ho detto che questo match, per quanto ovviamente condizionato dai servizi, non è stato brutto. I due giganti non sanno solo servire. E i momenti emozionanti non sono mancati. A parte il fatto che ci sono stati 4 break a Isner e 2 a Anderson, le palle break sono state 16, e ciascuna di quelle aveva il sapore di un set point o di un match point. Quindi 16 punti più i 6 dei break significa che ci sono stati 22 punti di grande suspense. Se si aggiungono i 4 set point trasformati e il match point, diventano 27 punti che meritavano di essere giocati con grande attenzione, ma anche di essere seguiti con altrettanta attenzione. Alla fine non poi così pochi.

A tutto ciò mi pare si debba aggiungere che almeno io ho visto bei scambi di 23 colpi, di 18 e di 13. E altri me ne saranno sfuggiti. Sono stati 22 i punti con più di 15 scambi e 15 di quelli sono stati appannaggio di Anderson, decisamente il tennista più mobile e più completo. Non è stato solo tennis essenziale, scarno: ben 77 punti si sono decisi fra il quinto e l’ottavo colpo. Quindi se oggi leggerete da qualche parte che è stata solo battaglia di servizi, perché un set che finisce 26-24 non può che dare quell’impressione, e la loro altezza da giganti del basket certo corrobora questa sensazione, beh diffidatene almeno in parte. Anderson, già finalista all’US Open, già protagonista anni fa nel 2015 quando battè Andy Murray a New York, già strenuo avversario di Djokovic qui tre anni fa sul campo n.1 quando andò avanti due set a zero e perse soltanto di misura al quinto dopo aver avuto palle break per andare avanti di un break, ha vinto con pieno merito dimostrando, come già contro Federer, di avere davvero attributi fuori del comune.

Sia con Roger sia con Isner, dal 5-4 in poi il biondo e filiforme sudafricano di 203 centimetri è stato costretto sempre a inseguire. Per 15 game se non conto male, con Isner. Guardate che è dura, durissima. E sempre ha saputo reagire all’indubbio stress senza concedere palle break. Formidabile. E incredibile che, tutto sommato, sia venuto fuori a questi livelli dai 30 in poi. “Non sono quasi mai stato sotto 0-15 o 15-30 e cominciare bene il game aiuta molto psicologicamente” ha detto il sudafricano che alla fine della più lunga semifinale della storia, prima di concedersi in un lungo abbraccio a Isner, non ha avuto nemmeno la forza di esultare o di cacciare un grido di gioia. Era esausto lui, era stremato Isner. E poi sono scesi in campo, alle 20,05 locali, con il “coprifuoco” imposto dai residenti del sobborgo di Wimbledon, Djokovic e Nadal.

Come abbiano vissuto quella lunghissima attesa lo sapremo soltanto dopo la conclusione del loro match, sospeso sul due set a uno per un risorto Djokovic – oggi della sua resurrezione non si può più dubitare, anche se dovesse perdere al quinto – e programmato per oggi alle 14 italiane, con una decisione che ha fatto arrabbiare tutti i fans del tennis femminile e di chi dice che una finale di uno Slam merita altro rispetto, ma che invece mi trova d’accordo. Di fatto per le ragazze giocare alle 14 oppure alle 17 – come è capitato a tutti e a tutte tante volte (e non alle 20,05 ieri a Nadal e Djokovic)  – non sposta niente sotto il profilo della regolarità tecnica del match. Invece se, poniamo, la prosecuzione del match Djokovic-Nadal fosse stata programmata per le 17 e fosse finita anch’essa con un long-long set, beh la regolarità tecnica della finale maschile dell’indomani sarebbe andata a farsi benedire.

Quindi secondo me, e non si tratta di essere maschilisti o femministi (parafrasando…che non c’entra nulla), qui Andrew Jarrett, il direttore del torneo, ha preso una decisione giusta. Dei tre set giocati da Djokovic e Nadal posso solo dire che è stato un grande, grandissimo spettacolo. Forse favorito anche in parte da un impianto strepitoso per un’illuminazione perfetta. Sembrava di giocare in pieno pomeriggio. E l’impianto restituiva con un’acustica sublime l’efficacia e la potenza dei colpi. I due attori poi hanno fatto cose straordinarie. Da ripetute standing ovation. Come le tre smorzate giocate, due da Rafa e una da Nole, tutte vincenti al termine di scambi mozzafiato, nel tie-break che ha deciso il terzo set. Ancor più del 26-24 della prima semifinale che poteva suggerire nel pareggio la soluzione più giusta e salomonica (ma in realtà non era così, perché sebbene Isner fosse andato avanti due set a uno, Anderson era stato migliore), se la sospensione della seconda semifinale avesse potuto arrivare sul 6-6 del terzo – ed era chiaro che non poteva arrivare lì – sarebbe stato più equo.

I due rivali alla cinquantaduesima sfida si erano equivalsi. Mai negli ultimi due anni avevo più visto Djokovic servire così bene e forte. Un set ciascuno e poi nel terzo set senza break la decisione inevitabile era il tie-break. Lì Nole è stato avanti 5-3, poi Rafa ha avuto tre set point, 6-5, 7-6, 8-7, ma solo uno sul proprio servizio. E lì rimpiangerà forse di aver messo soltanto una seconda di battuta. Al secondo set point è stato Djokovic a far suo il set – 6-4, 3-6, 7-6 (9) che gli consentirebbe oggi di vincerne anche uno solo su due per conquistare una finale che, dopo tutto quel che ha passato Anderson, lo vedrebbe certamente favorito per un quarto trionfo a Wimbledon. Ma lo stesso discorso varrebbe ovviamente anche per Nadal, ove di set sapesse conquistarne due. Dopo di che, poiché il tennis è lo sport del diavolo, come diceva sempre sor Mario Belardinelli, magari il torneo lo vince proprio Anderson e mette tutti d’accordo. Sulla finale donne ho lasciato il compito di parlarne ai miei validissimi collaboratori. Non ho faticato come Anderson questo lunghissimo venerdì, ma… ho anche più del doppio dei suoi anni.

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