Serena nella bufera. Chieda scusa o non avrà più arbitri (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)
La guerra dei mondi. Wta contro arbitri, Itf contro Wta, arbitri contro Serena. La scenata della Williams nella finale dello Us Open, persa contro Naomi Osaka, continua a lasciare una scia tossica. Come le polemiche che da quel sabato in cui la ex n°1 ha dato del ladro sessista all’arbitro Ramos, proseguono senza soluzione di continuità. «Sei un ladro, mi hai rubato un punto. Mi devi delle scuse. Ti comporti così solo perché sono una donna e una madre», sono solo alcune delle carezze che la Williams ha fatto al portoghese. Non bastasse il comportamento tenuto con l’arbitro, la vincitrice di 23 Slam ha anche rovinato la festa della povera Naomi Osaka che il titolo se l’è pienamente meritato. Un comportamento che cozza con la sua campagna in difesa delle donne. Attraverso il numero 1 Steve Simon, l’associazione delle tenniste professioniste si è schierata in sua difesa confermando che un comportamento differente tra uomini e donne da parte dei giudici c’è sempre: «La Wta crede che non ci dovrebbero essere differenze negli standard di tolleranza nei confronti delle emozioni espresse da giocatori e giocatrici e si impegna a lavorare per garantire che tutti i giocatori siano trattati allo stesso modo. Non crediamo che sia stato fatto sabato sera — ha accusato il n.1 Simon —. Pensiamo anche che la questione del coaching debba essere affrontata e dovrebbe essere consentita in tutto lo sport». Insomma, Serena sarebbe stata maltratta e l’arbitro Ramos non sarebbe stato in grado di gestire la situazione. Immediata la risposta della federtennis internazionale: «Ramos è uno dei più esperti e rispettati arbitri nel tennis. Le sue decisioni sono state adottate in conformità con le regole attinenti e sono state confermate dalla decisione degli organizzatori di multare Serena Williams per le tre violazioni. È comprensibile che un episodio rilevante e spiacevole come questo possa dare vita a un dibattito, ma allo stesso tempo è importante ricordare che Ramos ha affrontato il suo ruolo di giudice secondo le regole e agendo tutte le volte con professionalità e integrità». Ora sembra che ci sia una fronda di arbitri decisa a reagire. Dopo gli attacchi a Lahyani, reo di aver convinto Kyrgios a impegnarsi di più nel match e quindi accusato di coaching, ora le accuse di sessismo a Ramos. Secondo il Times sarebbe pronto un ammutinamento da parte degli arbitri che starebbero pensando di coalizzarsi contro la Williams per smettere di arbitrarla finché non avrà pubblicamente fatto ammenda per il suo comportamento. Un ufficiale di gara, che è voluto rimanere anonimo, avrebbe confermato al quotidiano inglese che gli arbitri non si siano sentiti supportati dall’Usta in diverse occasioni e che Ramos sia «stato gettato in pasto al branco semplicemente per aver fatto il suo lavoro»… [SEGUE].
Millennial Musetti (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Sarà numero uno, e non servirà la macchina del tempo per scoprire quando. Potrebbe accadere presto, magari il prossimo anno, ma solo se lui lo vorrà, se gli sarà utile, e questo è tutto da vedere. Numero uno juniores, o no? Lorenzo Musetti da Carrara sta per prendere le prime decisioni importanti della carriera. Ha sedici anni, ha raggiunto la finale junior degli Us Open, è cresciuto parecchio in questi mesi, si è rinforzato, è al numero cinque del ranking di categoria e davanti ha solo ragazzi più grandi di due anni: se resta nella sua confortevole dimensione può vincere tutto, ma forse ha già le qualità per andare alla scoperta dei primi tornei Futures (ne ha giocato appena uno) e mettere un piede nel mondo del tennis professionale. Non ha ancora un punto Atp, a differenza dell’altro sedicenne del nostro tennis, Giulio Zeppieri da Latina (nei quarti a New York), che ha raggiunto le semifinali nel 15 mila dollari di Gaeta e ora di punti ne ha sei, 1153° del ranking mondiale. Forse è davvero venuto il momento di aprire quella porta sul futuro, chissà… Qualunque sia la decisione finale, Musetti non la prenderà da solo. Ha una bella famiglia intorno, con papà Francesco e mamma Sabrina che per lui si sono dati un gran daffare, evitando però di inondarlo di smanie da protagonismo e di urgenze che al momento è meglio non vi siano; c’è coach Simone Tartarini, che lo segue ormai da otto anni e l’ha cresciuto sui campi dello Junior Tennis San Benedetto a La Spezia; e ci sono anche Filippo Volandri, che lo segue con Tartarini negli allenamenti al centro tecnico federale di Tirrenia (da settembre 2017 tre a settimana) e di tanto in tanto si fa vivo l’uomo della Champ’Seed Foundation, la fondazione creata da Patrick Mouratoglou (sempre lui, il coach di Serena Williams) per aiutare finanziariamente i migliori talenti del tennis europeo. È già complessa, come si vede, la realtà tennistica di un ragazzo ai primi passi, ma l’obiettivo è quello di non disperdere i talenti migliori, tanto più nei Paesi assediati dal caldo, che così poco lascia alle altre discipline. E Musetti il talento, la dote più sacra del nostro sport, ce l’ha per vie naturali. Il padre era (ed è) un appassionato della domenica, buon giocatore dicono, ma convinto in cuor suo che il tennis sia bello per tutte le cose che ci si possono mettere dentro, a cominciare dalla fantasia; per questo ha voluto garantire al giovane Lorenzo una crescita più tradizionale, e la scelta di Tartarini, di un posto vicino casa («Be’, quaranta chilometri non sono pochi, ma ci siamo impegnati tutti per dare a Lorenzo questa opportunità», ha raccontato il padre), corrispondono a queste premesse. Oggi Lorenzo, nel quadro generale del tennis juniores degli anni Duemila, appare un oggetto di grande artigianato, che le mani di Tartarini stanno ancora modellando. Gioca il rovescio a una mano, ha un dritto robusto e scende spesso e volentieri a rete, senza grandi apprensioni… [SEGUE]. Il padre gli ha messo in mano la racchetta a cinque anni. Il resto lo ha fatto… Federer. «È il mio spirito guida, giocherei come lui se solo potessi. Ma il mio tennis è diverso, però mi piace ugualmente osservarlo e tento di fare miei alcuni dei suoi movimenti, per esempio la presa della rete, e stare di più con i piedi dentro il campo, un consiglio questo che il mio coach mi ripete fino a stordirmi. Tentativi, niente di più. Roger è il massimo, per l’eleganza e perché incarna l’essenza stessa del tennis»… [SEGUE].
Serena sia un po’ più serena. E noi parliamo di Naomi (Mauro Berruto, Avvenire)
Sarebbe stato bello poter leggere dei complimenti a Naomi Osaka per la splendida vittoria agli US Open di tennis. Sarebbe stato bello raccontare del suo sguardo timido, commosso, rispettoso dell’avversaria, nascosto sotto la visiera del cappellino abbassato sugli occhi, dopo l’ultimo punto. Sarebbe stato bello parlare della storia di una ragazza giapponese di vent’anni capace di realizzare il suo sogno alla prima finale importante, capace di demolire con la tecnica e con la testa un mostro sacro del tennis mondiale come Serena Williams. Sarebbe stato bello parlare dei cicli dello sport che, proprio come succede in natura, fanno sì che arrivi il giorno in cui i grandi campioni cedono il passo a giovani emergenti, talentuosi, affamati. Invece no. Della vicenda della finale degli US Open si parla considerando Naomi Osaka, la giovane vincitrice, un accessorio. Non si parla d’altro che del j’accuse della trentaseienne Serena Williams urlato, fra le lacrime, nei confronti di un arbitro che ha osato applicare il regolamento. Carlos Ramos, infatti, stimatissimo arbitro designato per la finale, prima la richiama per un «illegal coaching» (nel tennis è proibito che l’allenatore comunichi con il suo atleta), poi la penalizza di un punto per aver rotto una racchetta dalla rabbia e infine di un game dopo essersi preso del «ladro, disonesto, sessista». Di tutta la vicenda colpiscono due tesi contenute nella frase simbolo del Williams-pensiero: «Lo sapete tutti quello che ho fatto per arrivare fin qui, se fossi stato un uomo tutto questo non sarebbe successo». Proviamo ad analizzare i due passaggi che compongono, insieme, il concetto. Quel «lo sapete tutti quello che ho fatto per arrivare fin qui» mette insieme la carriera, la recente gravidanza e il conseguente sforzo per tornare ad altissimi livelli, l’ossessione per la vittoria nonostante età e maternità. Sacrosanto. Peccato che qualche campione talvolta si dimentichi che il proprio avversario ha fatto gli stessi sforzi e gli stessi sacrifici, ha provato lo stesso dolore, si è nutrito della stessa fatica e ha gli stessi sogni. Questa parte della frase ricorda da vicino l’altrettanto infelice uscita di Gianluigi Buffon quando accusò l’arbitro inglese Oliver di aver assegnato un rigore al Real Madrid al 96° minuto: «distruggendo una squadra che ha dato tutto in campo» e dunque, a suo giudizio, dimostrando di «avere un bidone della spazzatura al posto del cuore». In sostanza la Williams, come il Buffon di Champions League, reclama un rispetto che dovrebbe prescindere dalle regole, un occhio chiuso di fronte alla storia, al palmares, all’età. Beh, lo sport non funziona così. Lo sport resta uno dei pochissimi territori dove la meritocrazia ha modo (non sempre, ma spesso) di emergere. Di trattamenti di favore è pieno tutto il resto del mondo, dalla politica all’economia, che almeno lo sport ne resti fuori. Altrettanto (o forse più) sconcertante, la seconda parte del pensiero della Williams: «Se fossi stato un uomo tutto questo non sarebbe successo». Perché? Come? Quando? Soprattutto: che c’entra? Lei, donna, ha infranto il regolamento e insultato volgarmente un arbitro (uomo) dandogli del «ladro». La sua avversaria, ovvero colei che avrebbe potuto essere penalizzata se l’arbitro avesse fatto finta di niente, era una donna. Questa seconda parte del Williams-pensiero sembra proprio buttata un po’ lì per giustificare quella che è stata una crisi isterica o uno psicodramma. Nel tennis succede che qualche atleta (uomo o donna) perda la testa e venga penalizzato proprio come successo alla Williams. Lo sappiamo bene noi italiani che abbiamo un campione del settore: Fabio Fognini… [SEGUE].