Confesso che avrei scommesso che Naomi Osaka avrebbe vinto il torneo Premier di Tokyo. Karolina Pliskova non mi era sembrata in grande spolvero in semifinale, aveva vinto soffrendo al terzo set con la Vekic che le aveva regalato qualcosa quando avrebbe dovuto stringere, mi era apparsa affaticata. Mi ero svegliato alle 7 del mattino di sabato – dopo essere andato a letto tre ore prima per guardare Federer e Djokovic nel doppio perso con Anderson-Sock nella Laver Cup – per seguire la prova di Camila Giorgi contro Osaka. Non mi facevo soverchie illusioni ma speravo tuttavia di poter assistere a un suo nuovo exploit dopo quello ottenuto a spese di Caroline Wozniacki e quell’altro (più fortunato) con un’altra ex n.1 WTA, Vika Azarenka, costretta al ritiro sul 5-3 del primo set.
Sapete come è andata. E sapete anche, proprio perché ho appena scritto che pensavo che Osaka avrebbe battuto anche la Pliskova, che nel tennis femminile pensare di azzeccare i pronostici è un’impresa improba. Può succedere tutto e il contrario di tutto. Molto di più che nel singolare maschile. Dicendo questo voglio dire che le impressioni che ho riportato seguendo il 6-2 6-3 inflitto dalla Osaka a Camila potrebbero tranquillamente rovesciarsi nel corso di un prossimo duello fra le due.
Intanto Camila, che sette giorni fa era n.37, ha eguagliato il suo best ranking in trentesima posizione sebbene non avrà speranze di migliorarlo questa settimana in virtù della prematura sconfitta al primo turno di Wuhan. Questo è un fatto concreto, non una semplice impressione. L’impressione alla fine di un match di 71 minuti, e durante per la verità dopo i primi quattro game di illusorio equilibrio, è stata che al momento Osaka, pur più giovane di un lustro rispetto a Camila, sia di un’altra categoria. Perché?
Perché oltre ad avere tutt’altro servizio, come ben illustrano le statistiche del match – 5 gli ace di Camila ma 8 i doppi falli, mentre Osaka (che serviva sopra i 193 km/h) ha fatto registrare 0 doppi falli e 9 ace – tanto che Camila non è mai riuscita a conquistarsi neppure una palla break perché è incappata in una brutta giornata anche con la risposta al servizio (con la “seconda” Naomi ha fatto l’86% dei punti, con la “prima” il 76%), la differenza che più mi ha colpito prescinde del tutto dalla diversa, lampante efficacia del servizio. Osaka è un filino più potente di Camila, ma soprattutto è anni luce più forte in difesa. Recupera e rovescia tantissime situazioni apparentemente compromesse. Anche Naomi ama tenere il pallino in pugno, avere l’iniziativa, ma nelle occasioni in cui non ci riesce è agilissima, corre come Speedy Gonzales, riprende palle quasi impossibili e non pretende di tirare a tutta randa se si trova fuori posizione. Se necessario stacca la presa bimane e si difende anche con un pallonetto ad una mano. Ha recuperato punti che parevano persi.
Camila queste caratteristiche proprio non le ha. Lei attacca, aggredisce, o dentro o fuori. Se la risposta quel giorno – come contro la Osaka – è in cattiva giornata, lei non deflette. Continua a spararla come se nulla fosse accaduto. Lei vi dirà, immancabilmente, che “il piano B non esiste” e certo quando accadono situazioni come quella che le ha consentito di recuperare un match che pareva perduto con la Wozniacki quando si è trovata sotto di un break nel terzo set, si capisce anche che lei – e suo padre – possano pensarla a quel modo. Però quando lei viene spostata, in corsa non riesce a giocare un dritto o un rovescio puramente difensivo, tagliato. L’idea di giocare un colpo interlocutorio per tentare di riguadagnare una posizione centrale, non la sfiora proprio. Guai.
Per Osaka invece, e lo si è notato quando Camila qualche volta è riuscita a spararle un missile addosso, rifugiarsi in un palleggio di minimo contenimento – senza trasformarsi in un muro tipo Wozniacki – è serenamente contemplato. Lo fa senza vergognarsene. Di fatto adotta un tennis tatticamente più saggio. Non voglio dire più intelligente. “Manda una volta di più la palla di là, può an che essere che non ritorni” diceva un vecchio maestro di circolo… che non corrisponde assolutamente ai dettami di papà Giorgi.
Quanto ho appena scritto non è qualcosa che – a differenza da altre variabili – possa cambiare a seconda delle buone giornate dell’una o dell’altra. Osaka può giocare in più modi. Camila no. Osaka sa difendere, Camila no. Poi anche la giapponese può incappare in brutte giornate, come contro la Pliskova che servendo benissimo non le ha dato tanto ritmo, e l’ha certamente aiutata a diventare più fallosa. Contro Camila, invece, Naomi non ha praticamente mai sbagliato. Questo è accaduto anche perché Camila andava come al solito di fretta e sbagliava prima. Troppo presto. Potrà quindi succedere, auguriamolo a Camila, che un giorno Naomi contro di lei sbagli più di quanto le accadde lo scorso sabato mattina.
Però, attenzione: servizio a parte, i colpi da fondocampo di Naomi sono più equilibrati di quelli di Camila. Osaka è forte di dritto quanto di rovescio. Camila no: il suo dritto è molto più ballerino del rovescio. Naomi riesce – all’occorrenza – a giocare dritti anche un po’ liftati che passano un bel po’ sopra la rete, come dritti strettissimi e incrociati, mentre il dritto di Camila è prevalentemente piatto, magari fortissimo, però non altrettanto angolato. Non so se coscientemente o incoscientemente, ma Camila ha cercato più volte di sfondare di potenza Naomi giocando centrale, tirandole addosso. Quasi che temesse di offrirle degli angoli che le avrebbero consentito a sua volta traiettorie ancor più angolate e imprendibili. Chissà, forse era – per una volta – una tattica più pensata in preparazione al match che istintiva (come quasi sempre).
Quel che non ha funzionato a Tokyio potrà funzionare da un’altra parte, le vittorie di Camila contro 9 top ten stanno a dimostrare quanto tutto sia possibile. Però, come dicevo, certe caratteristiche tecniche, fisiche, mentali, restano. E quelle sono quasi tutte a favore di Naomi, che non a caso è arrivata già a 20 anni fra le top ten, a vincere uno Slam e un torneo prestigioso come Indian Wells. Perché, fondamentalmente, le sue sono qualità che le consentono – fino a un certo livello – di arginare le giornate meno felici. E ciò si traduce in una maggior continuità. È con la continuità che si costruisce una grande classifica. Mentre con il talento si può dare vita a grandi e anche grandissimi exploit. Estemporanei, però.
A favore di Naomi Osaka, della quale ho sottolineato la diversa flessibilità nelle strategie di gioco, c’è certamente anche la facoltà di potersi avvalere della consulenza di un giovane e brillante coach come Sascha Bajin, che è riuscito a svestire i panni dello sparring partner che aveva indossato per giocatrici del calibro di Serena Williams, Vika Azarenka e Caroline Wozniacki, trascinandosi dietro ogni volte delle ottime referenze, prima che Osaka decidesse di affidarsi a lui non più solo come sparring partner ma come allenatore a tempo pieno. Bajin ha dunque potuto allargare il proprio bagaglio di conoscenze molto di più di quanto abbia fatto Sergio Giorgi che da anni ha potuto dedicarsi (sia pur con apprezzabilissimi risultati) soltanto alla sua Camila.