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Djokovic, la prima è ok. E arriva pure Federer (Crivelli). Caccia al n. 1. Djokovic, quattro mesi ad alta velocità (Semeraro)

Last updated: 31/10/2018 9:32
By Alessia Gentile Published 31/10/2018
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6 Min Read

Djokovic, la prima è ok. E arriva pure Federer (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Uno non si ferma, l’altro arriva. In una sola giornata Parigi Bercy applaude il 19° successo consecutivo di Djokovic, che non perde dalla finale del Queen’s a giugno, e esulta per il ritorno nel torneo di Federer, che non partecipava da tre anni e ha deciso per il sì ieri pomeriggio, dopo un test in allenamento: «Sento che è meglio giocare piuttosto che restare fermo, e ho recuperato bene le fatiche della settimana scorsa». Dopo il bye, lo attende subito un match delicato con Raonic, che ha battuto Tsonga dopo 2 ore e 53′ di battaglia. Djokovic invece insegue il primato in classifica, un’impresa eroica se si pensa che appena cinque mesi fa, da queste parti, perdeva ai quarti del Roland Garros da Marco Cecchinato e pareva sull’orlo di una crisi di nervi. Per tornare numero uno e poi difendere il primato al Masters di fine anno, deve fare un turno in più di Nadal. La corsa intanto comincia con un successo su Sousa, più complicato del previsto nel primo set, quando il portoghese ha la palla break per andare a servire per il set, prima che Nole alzi il livello quanto basta per vincere senza troppi patemi. Prossimo ostacolo il bosniaco Dzumhur, che annienta uno Tsitsipas con il fiato corto dopo una stagione incredibile, che si chiuderà con le Next Gen Finals della settimana prossima. A proposito di Next Gen, a Milano non ci sarà Shapovalov, eliminato lunedì da Gasquet e, parole sue, «esausto» al culmine di un anno molto lungo. Al suo posto entra il polacco Hubert Hurkacz, 79 Atp, che sta giocando un challenger in Germania.

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Caccia al n. 1. Djokovic, quattro mesi ad alta velocità (Stefano Semeraro, La Stampa)

«Il concetto di velocità è relativo», dice Novak Djokovic applicando la teoria di Einstein al tennis. «Dipende da chi la deve giudicare. Per me, non è stato veloce». Nole si riferisce allo strepitoso periodo di quattro mesi in cui si è teletrasportato dal numero 22 della classifica mondiale (18 giugno) a un soffio dal numero 1 vincendo due Slam, Wimbledon e Us Open, due Masters 1000 a Cincinnati e Shanghai e rimaterializzandosi sui talloni di Nadal e davanti a Federer: mentre Rafa e Roger scontavano una prevedibile inerzia dopo tante vittorie nella prima metà della stagione, Novak ringiovaniva balzando nel suo personale iperspazio. A Parigi-Bercy – dove ieri sera ha battuto Joao Sousa 7-5 6-1 – gli basterà fare un turno in più di Rafa, completando così una rimonta vertiginosa. Il ventenne Marat Safin nel 2000 fece ancora meglio, passando da n.38 a n.1, ma fu una scalata lunga da febbraio a novembre. Djokovic ha impiegato metà del tempo. Dopo la sconfitta nei quarti del Roland Garros contro Marco Cecchinato il Djoker ha vinto 28 match su 29, inciampando solo negli ottavi di Toronto contro Stefanos Tsitsipas. Una striscia impressionante, ma per chi vive dentro una bolla di eccezionalità ogni stupore è transitorio. «Non voglio sembrare arrogante – dice – ma ho sempre saputo e creduto che dopo l’intervento al gomito sarei potuto tornare a questi livelli. Ho avuto quattro mesi per prepararmi alla stagione sull’erba, dove è cominciato tutto; più passavano i giorni più mi sentivo a mio agio. Agli Us Open e a Shanghai ho giocato come ai vecchi tempi, ora sono al meglio. E farò di tutto per ritornare numero 1». Ricucito il rapporto con lo storico e fraterno coach Marian Vajda, chiusa la crisi famigliare, ritrovata la salute e le motivazioni evaporate dopo il successo a Parigi di due anni fa, Djokovic sembra di nuovo quello del 2015 e della prima metà del 2016. «Sapevamo tutti che Djokovic sarebbe tornato grande», dice Nadal, che proprio come il rivale (e Federer e Connors in passato) punta a chiudere per la quinta volta l’anno da Number One (solo Sampras è arrivato a sei). Federer, che a Bercy debutta oggi dopo la vittoria al torneo di Basilea (99° torneo vinto in carriera), è invece tagliato fuori dalla gara per il primato, ma insegue la cifra tonda che lo porterebbe a -9 dal record di 109 tornei vinti in carriera di Jimmy Connors. «Mi piacerebbe raggiungerlo, comunque non giocherò tornei minori per farcela», ha avvertito lo svizzero. Sensazione a pelle: potrebbe arrivarci. Magari non a Bercy, ma prima o poi. Più o meno velocemente – tutto è relativo, no? – e soprattutto Djokovic permettendo.


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